Chi ama i fumetti sa bene di cosa si parla. Non c'era proprio niente da fare per i legionari romani: avevano occupato tutta la Gallia, imponendo tasse e balzelli e manovrando i capi locali come teste di paglia, ma c'era un villaggio che resisteva agevolmente alle legioni e grazie a una "pozione magica" trasformava i propri abitanti in guerrieri la cui forza era seconda solo alla loro simpatia.
 
Paolo Nolli non ha i baffoni di Asterix, né porta in giro un menhir come Obelix, bensì è un signore con oltre 25 anni di esperienza nel management amministrativo e finanziario ed è il direttore generale del Consorzio agrario di Cremona. Nonostante l'aspetto tutt'altro che da barbaro, però, di "legionari romani" intorno a lui non se ne vedono comunque.
 
In un momento difficile per l'economia italiana, e dopo il recente "pasticciaccio brutto" dei libri contabili portati in tribunale dal Cap Milano-Lodi-Monza-Brianza, Agronotizie ha deciso di intervistare Paolo Nolli per scoprire quale sia la "pozione magica" che rende il Cap Cremona una sorta di villaggio di Asterix nell'ambito del mondo consortile italiano.
 
Come si sa, nel 2009 i consorzi agrari sono confluiti in "Consorzi agrari d'Italia", una holding nella cui stanza dei bottoni siede Coldiretti. Il Cap Cremona, invece, è rimasto fuori dal "CAI" ed ha continuato a camminare per la propria strada. Anche il sindacato di riferimento è diverso, dal momento che a Cremona prevale la "Libera", associazione di agricoltori facente capo a Confagricoltura, storico controaltare di Coldiretti su molti temi, Ogm inclusi. Cremona è un caso che in Italia appare quindi più unico che raro.
 
Non che nella città delle torri e del torrone la vita sia tutta rose e fiori, ci tiene a chiarire Nolli. Le vicissitudini del mondo consortile italiano impattano infatti anche un'isola felice come Cremona, a causa della crescente diffidenza del mondo del credito. Praticamente ogni anno, negli ultimi sei, è fallito un consorzio agrario e perfino all'estero le grandi multinazionali s'interrogano con grande preoccupazione sul da farsi. Di questa situazione, in qualche modo, soffre quindi anche Cremona, pur non essendo parte del "CAI".
 
La "pozione magica", secondo Nolli, è semplicemente la gestione imprenditoriale del Consorzio. Anche se è strutturato come cooperativa, e quindi con uno statuto che più che prevedere utili mira al sostegno dei soci e dell'agricoltura in genere, il Cap Cremona opera con una mentalità "da privato" quando si parli di commercio e aspetti finanziari. Un conto è infatti essere una realtà senza fini di lucro, un altro è trasformarsi in un pozzo senza fondo. Apparentemente senza fondo, perché prima o poi il fondo arriva e a bagno ci finiscono tutti. O quasi tutti.
 
Nolli è alla guida del consorzio da tre anni, come pure il consiglio di amministrazione è stato rinnovato nel 2012 con il preciso obiettivo di garantire due cose: una redditività minima e una finanza sana. Credito ed esposizione vanno infatti tenute sotto ferreo controllo tanto quanto gli aspetti puramente commerciali.
Secondo Nolli si è rivelato strategico cambiare la mentalità dei soci, resi più consapevoli delle mutate necessità pur nel rispetto del loro ruolo. Vanno cioè valorizzati soci e clienti che sono sempre stati corretti e hanno sempre pagato. Nonostante si trovi in un'area a forte vocazione zootecnica, il Cap non deve essere infatti percepito come una vacca da mungere, bensì un'entità che basa sul rispetto reciproco i rapporti con soci e clienti.

Aumentando i livelli di esposizione è stato necessario varare una procedura per la gestione del credito, anche alla luce di un'annata difficile come quella 2012, avversata da un clima siccitoso oltre la media. L'art 62, peraltro, ha fatto concentrare molti debiti in un lasso temporale ristretto. Come soluzione, il Cap ha deciso di congelare il debito pregresso e di redigere appositi piani di rientro per soci e clienti, i quali devono però diventare pagatori puntuali da adesso in poi.
Basta infatti che una banca chiuda il rubinetto e s'innalza il rischio di scatenare un domino disastroso. Le manovre sul fronte finanziario, anche se inizialmente impopolari, devono quindi essere fatte e spiegate.
 
Sempre secondo Nolli, l'immobiliare non deve peraltro servire a pareggiare un esercizio commerciale sballato. L'azienda deve sopravvivere per le proprie performance e non svendendo o dando in gestione a terzi i propri "gioielli di famiglia".
Nei fabbricati c'è però molta obsolescenza e ciò richiede un lento processo di valorizzazione del pregresso e di sostituzione con nuove strutture più moderne e funzionali.
Ottime sono risultate per esempio le manovre immobiliari effettuate a Pizzighettone e Casalbuttano, ove ora ci sono nuove strutture più efficienti acquisite vendendo i vecchi immobili a prezzi vantaggiosi. Il processo sarà quindi lento ma inesorabile, cogliendo le opportunità ogni volta che si presenteranno.
Il problema dell'amianto per esempio è serio: grazie a un finanziamento Inail, ottenuto attraverso apposito bando, a Porto Canale verranno rimossi seimila metri quadri di cemento amianto.
 
Il Cap Cremona in cifre
 
Ben 140 i dipendenti, ai quali si aggiunge una rete commerciale di agenti.
Con 3.200 soci (circa 4.500 clienti complessivi), come fatturato il Cap Cremona sfiora i 190 milioni di euro. Di questi, 95 provengono dalla vendita di mangimi, 45 dai prodotti "agronomici" (fertilizzanti, sementi, agrofarmaci), 20 dai carbolubrificanti e 16 dal servizio macchine. Circa queste ultime, il Cap è concessionario "dual" di  Cnh. Per le attrezzature i fornitori di eccellenza sono Pottinger, Er.Mo, Maschio Gaspardo e Gruppo Benati. In tema di biogas, il consorzio lavora sui sollevatori telescopici Manitou.
È stato recentemente lanciato anche un progetto di risanamento e di efficientamento dei parchi macchine, dal quale è nato un trend di risultati crescente. Il settore ha infatti dimezzato le perdite e si prefigura a breve il ritorno al pareggio e quindi all'utile.
 
Forte anche l'attenzione ai servizi: sono ben 240 mila le tonnellate di mangimi forniti e il "Lattogeno" è un marchio storico cremonese. Dal momento che l'allevatore deve fare qualità, e la qualità viene dal mangime, oltre a fornire quest'ultimo il consorzio offre agli allevatori anche l'assistenza costante di tecnici.
Il Cap è peraltro dotato di un laboratorio interno per effettuare l'analisi dei mangimi, questo per monitorare il problema aflatossine, per esempio. Le maglie del pettine sono finissime: alle 7 di mattina il laboratorio analizza ogni partita prodotta nella notte e non esce nulla che non sia stato verificato essere a norma.