Sulla terrazza di un elegante albergo romano, la multinazionale Jt International e il Consorzio Trasformatori Tabacco Italia hanno firmato l'accordo per l'acquisto di tabacco Virginia coltivato in Italia.
La durata dell'impegno è biennale. A officiare il rito della sacra firma, è intervenuto il ministro delle Politiche agricole, Mario Catania, per il quale il problema delle relazioni commerciali tra mondo agricolo e grandi acquirenti è diventata ormai una priorità ben nota. Da profondo conoscitore dei negoziati comunitari, Catania non ha mai nascosto le difficoltà del negoziato sulla riforma Pac, che per l'Italia promette lacrime e sangue.
 

Non abbassa la guardia e a Bruxelles annuncia battaglia. Ma intanto si preoccupa di predicare nei tanti convegni ai quali è invitato, e volentieri partecipa, che quello che la vecchia Pac non garantirà più come negli anni passati il mondo agricolo dovrà conquistarselo sul mercato: aggregandosi per concentrare l'offerta e rafforzare il proprio potere contrattuale.

Lui, il ministro, la sua parte la sta facendo con l'ormai famoso articolo 62 del decreto sulle liberalizzazioni, che prevede contratti scritti per dare più trasparenza alle relazioni commerciali nel settore agroalimentare e tempi brevi e certi per i pagamenti. Fatta la legge, scritto cioè il principio, ora però bisogna varare i decreti applicativi. E qui le cose sembrano complicarsi e le resistenze, a tutti i livelli, non mancano.

Quale migliore occasione, allora, di un contratto con una multinazionale, per di più di durata biennale, per mostrare al mondo agricolo intero che se ci si organizza anche il piccolo agricoltore può fare affari con i grandi gruppi mondiali?
Forse, al ministro sarebbe piaciuto molto di più se la controparte fosse stata una multinazionale italiana (che so, un accordo per la fornitura pluriennale alla Ferrero da parte di un consorzio di coricoltori per la famosa crema di gianduja famosa in tutto il mondo; un'intesa di filiera nel triangolo del riso made in Italy). L'importante, comunque, è dare l'esempio e utilizzare quello che passa il mercato.

E quello del tabacco è sicuramente un esempio di settore organizzato: quando c'era in ballo la riforma sul disaccoppiamento, le associazioni tabacchicole hanno lottato fino alla fine, mettendo in campo tutte le loro lobby per resistere al punto più 'oscuro' dei 50 anni di Pac: sussidiare anche chi non produce. Le imprese più strutturate si sono organizzate in Consorzi di prima trasformazione, condizione necessaria per poter dialogare con le grandi compagnie mondiali del tabacco, ma anche un modo per aumentare la quota di valore aggiunto.

E anche ora che l'onda del decoupling li ha investiti, i tabacchicoltori sono ancora lì che resistono e con i loro Consorzi fanno affari con le multinazionali. Oggi la Jti, ieri la Philip Morris, domani un qualunque altro player mondiale di turno.

Ma non c'è solo in tabacco. Non è forse una multinazionale della grande distribuzione il gruppo Auchan, con il quale è stato recentemente rinnovato l'accordo, sponsor lo stesso ministero, per valorizzare con i suoi scaffali sparsi in tutto il mondo i prodotti tipici italiani?

E McDonald, che ha proposto nei suoi locali una linea di panini imbottiti di Parmigiano Reggiano? A scorrere la lista, per ora, non si leggono nomi italiani.

Vuoi vedere che le tanto contestate multinazionali sono più 'amiche' degli agricoltori (intendiamoci, non è filantropia, ma business, l'importante è firmare) di quanto riescano ad esserlo le industrie di trasformazione e le catene di distribuzione made in Italy!

Comprese le public company, che viaggiano sotto le 'insegne della cooperazione', le stesse che hanno ringhiato più ferocemente quando dal cilindro del decreto sulle liberalizzazioni il ministro Catania ha estratto l'articolo 62.