Cinque priorità per la trattativa a Bruxelles: no allo zuccheraggio, definizione del ruolo delle Op vitivinicole, ampliamento delle misure delle enveloppes, mantenimento del sostegno allo smaltimento dei sottoprodotti e netto rifiuto all’indicazione del vitigno sui vini senza origine geografica. Il 70% del vino mondiale viene prodotto da 7 Paesi - Francia, Italia, Spagna, Usa, Australia, Sud Africa e Cile. Dal 1999, anno in cui è entrato in vigore il precedente regolamento Ocm, a fronte di un andamento stabile del volume di vino prodotto (dai 281 mln Hl 1999, ai 284 mln Hl prodotti nel 2006, +1%), i due maggiori Paesi produttori al mondo, Francia e Italia, hanno ridotto il proprio potenziale viticolo rispettivamente del -15% e del -9%, in linea con l’andamento del loro consumo interno. Al contrario, Paesi come Spagna (+15%), Australia (+64%), Sud Africa (+15%) Cile (+76%), hanno continuato ad aumentare le produzioni con incrementi superiori al 70%. In Europa, il Paese che ha fatto registrare le migliori performance è stata l’Italia, che ha incrementato la quota di prodotto esportato dal 25,5% al 30% del vino prodotto ogni anno. "La nostra preoccupazione è che uno stravolgimento dell’attuale normativa di settore potrebbe portare ai produttori più costi che benefici”. Questo il commento del presidente di Fedagri-Confcooperative, Paolo Bruni, al seminario organizzato dalla federazione: “Riforma Ocm vino: quale sostenibilità per la cooperazione vitivinicola europea?”. “Il comparto vitivinicolo europeo ed italiano – ha aggiunto Bruni - ha bisogno di una Ocm più snella, in grado di preservare le tipicità e le diversità varietali del patrimonio viticolo, dalla standardizzazione dei vini provenienti dal Nuovo Mondo”. “Incentivare gli investimenti in promozione – ha spiegato Bruni - deve restare una priorità per questa Ocm e non solo verso mercati terzi, ma anche verso mercato interno".