La crisi lattiera sembra alle spalle, i prezzi europei hanno raggiunto la media di 33,3 euro al quintale, il 29,57% in più rispetto ai 25,7 euro dell'estate 2016, quando la crisi aveva raggiunto il suo picco. Molteplici le motivazioni di questa svolta, dall'andamento delle produzioni mondiali ai flussi di import-export dei paesi maggiori produttori.

Spinta alla riduzione
All'uscita dalla crisi ha contribuito il programma di riduzione della produzione lanciato dalla Commissione europea la scorsa estate. Agli allevatori che hanno aderito al programma (in totale 48mila, con in testa Francia e Germania) sono stati offerti 14 centesimi per ogni litro di latte in meno uscito dalle loro stalle.
L'operazione è costata 150 milioni di euro, messi a disposizione dalla Commissione, grazie ai quali è stato possibile ridurre la produzione europea di 861mila tonnellate.
Rispetto al gennaio 2016 il calo della produzione comunitaria di latte è stato del 2,4%. E gli effetti sul prezzo si sono visti anche in Italia. Il prezzo medio de latte italiano è passato dai 30,63 euro al quintale della scorsa estate ai 36,55 del marzo 2017.

Cala il latte spot
In queste ultime settimane il prezzo del latte spot, quello venduto fuori contratto, ha iniziato a scendere, passando dai 37,5 euro al quintale della prima settimana di marzo ai 34,25 euro dei primi giorni di aprile.
Una flessione “fisiologica”, che replica l'andamento del mercato che ogni anno si verifica in questo periodo. Secondo questo schema i prossimi mesi dovrebbero riportare i prezzi verso l'alto.

Il pericolo Nuova Zelanda
Sempre che il normale equilibrio del mercato non venga turbato da nuovi fattori. Cosa che potrebbe verificarsi se andranno in porto i negoziati fra Unione europea e Nuova Zelanda per definire un accordo commerciale di libero scambio.
E' bene ricordare che la Nuova Zelanda è uno dei più importanti produttori mondiali di latte e figura fra i principali esportatori di prodotti lattieri. Al latte italiano potrebbe capitare la stessa sorte del riso, “strangolato” dalle importazioni a dazio agevolato dai grandi produttori dell'Est.

Pochi vantaggi per l'Italia
Il mercato italiano, costretto a importare quasi la metà del proprio fabbisogno in latte, è di certo molto interessante per le esportazioni neozelandesi. Assai più di quanto possa valere il nostro export di formaggi verso la Nuova Zelanda, che pure è raddoppiato in pochi anni, per raggiungere quota 251 tonnellate.
Un'inezia
rispetto alle 388mila tonnellate di formaggi esportati dall'Italia nel 2016 (fonte Assolatte).

Di fronte a questi numeri poco conta che il commissario al Commercio Cecilia Malmostrom e il ministro neozelandese Hon Todd McClay abbiano inserito nei memorandum che precedono l'accordo il tema del riconoscimento e della tutela delle nostre indicazioni geografiche.

Momento difficile
Questa proposta di libero scambio con la Nuova Zelanda giunge in un momento molto delicato. Con la fine di aprile scadono infatti gli accordi sul prezzo del latte siglati in Lombardia fra allevatori e trasformatori.
Ora il negoziato si riapre ed è alto il timore che le industrie puntino al ribasso. A dar loro man forte c'è sia il calo del prezzo del latte spot, sia la possibile apertura di un mercato, quello della Nuova Zelanda, capace di offrire grandi quantità di latte a prezzi competitivi. C'è di che preoccuparsi.