A dirlo è Fabio Leonardi, amministratore delegato di Igor srl, 140 milioni di euro di fatturato nel 2014 e una quota export che supera il 50% della produzione totale. Il core business, naturalmente, è il Gorgonzola Dop, tanto che Igor rappresenta il 45% della produzione totale del formaggio piemontese-lombardo.
Dottor Leonardi, quali sono i piani di investimento di Igor?
“Sono importanti: 35 milioni di euro per avere a regime entro Pasqua 2017 un impianto produttivo per il Gorgonzola ad alta tecnologia ed efficienza, potenziare i reparti di stagionatura del gorgonzola e il confezionamento e sviluppare il segmento per la lavorazione del latte e la concentrazione del siero. Parliamo di un’estensione della superficie coperta di 12mila metri quadrati, di cui 15mila calpestabili. Realizzeremo, inoltre, un reparto di ricerca e sviluppo, tutto nell’area di produzione di Cameri, nel Novarese”.
Obiettivi coraggiosi…
“Sì. Sono appena tornato dalla missione al Food Marketing Institute di Chicago, guidata dal viceministro Calenda e devo dirle che sono fiducioso, perché finalmente vediamo che il mondo politico è al nostro fianco con un progetto e con adeguate risorse e non solo a parole: dei 40 milioni investiti negli Usa, circa la metà sarà inserito per la promozione in store dei prodotti Dop e Igp italiani. Inoltre, per la prima volta si è mosso il sistema fieristico del food & wine made in Italy, affiancato dalle sedi Ice della Costa orientale degli Usa”.
Qual è la missione?
“Educare il consumatore americano al vero made in Italy, valorizzando appunto il prodotto autentico. Sa quanti gorgonzola prodotti negli Stati Uniti ho trovato nel corso della nostra visita? Sette. Mentre uno soltanto era originale, autentico Gorgonzola Dop. Significa che le potenzialità del mercato sono enormi, a patto che si dia attenzione alle produzioni originali”.
Il mercato statunitense ha esigenze particolari?
“Sì. Per questo potenzieremo il nostro reparto di ricerca e sviluppo, perché il consumatore americano chiede un prodotto molto orientato al servizio, come ad esempio il Gorgonzola già cubettato, per le insalate. Dobbiamo offrire quella qualità che ci distingue dall’imitazione”.
Le performance all’estero del Gorgonzola sono positive, in ogni caso.
“Molto. Nel primo trimestre del 2015, l’export è aumentato del 14,4% sullo stesso periodo del 2014, secondo quanto ha rilevato Clal. Significa che tutti i sacrifici di noi imprenditori, che hanno investito risorse e sono andati in giro per il mondo, hanno dato buoni risultati. Anche perché non dimentichiamo che la crescita del 14,4% fra gennaio e marzo 2015 è avvenuta con un embargo russo in atto”.
Quali paesi, in particolare, hanno aumentato le importazioni?
“L’Europa e in particolare la Francia e la Germania, ma anche la Corea del Sud, il Giappone e l’Australia. Se posso dare un consiglio ai miei colleghi, non solo quelli che producono Gorgonzola, dico che puntare sulla Vecchia Europa è ancora una sicurezza, innanzitutto perché è un mercato vicino e poi perché lì le Dop sono tutelate”.
Era presente anche lei al 5° Dairy Forum di Clal, quando il presidente della European dairy association, Michel Nalet, ha lanciato l’allarme sul Ttip, per il quale si sa molto poco, e sull’Asia, dove l’Ue non ha accordi strategici per l’export. Cosa dice a riguardo?
“Parto dall’Asia: non è vero che non vi siano accordi. La Corea del Sud, ad esempio, si era impegnata a proteggere le nostre Dop e io personalmente ho segnalato al Mise le contraffazioni che ho scoperto. Questo devono fare gli imprenditori e i Consorzi di tutela, collaborare per segnalare eventuali anomalie. Ad esempio, sei anni fa il mercato sudcoreano era a zero per il Gorgonzola Dop. Ci abbiamo lavorato e nel 2013 abbiamo esportato 200 tonnellate. Nel 2014 ci siamo fermati sulle stesse quantità, nonostante le prospettive incoraggianti”.
Come mai?
“Per la concorrenza del Gorgonzola made in Usa. Abbiamo denunciato la situazione e ci aspettiamo di aumentare la corsa nel 2015”.
Cosa dice, invece, del Ttip?
“Dovremmo partire da quanto è stato raggiunto nell’accordo Ceta col Canada, cioè una tutela delle Dop europee, anche se non è proprio perfetta, perché purtroppo le nostre denominazioni d’origine protetta vengono molto spesso utilizzate come merce di scambio. Ad esempio, in Canada gorgonzola e Asiago possono essere prodotti a determinate condizioni da produttori canadesi. Ma soltanto da loro. Ciò significa che se la danese Arla esporta un simil-Gorgonzola in Canada, noi produttori italiani siamo tutelati. Questo però, per ora, solo sulla carta, dal momento che l’accordo non è ancora stato ratificato”.
Il mercato Usa “vale” circa 300 milioni di consumatori. Se non fosse possibile tutelare pienamente le Dop anche negli Stati Uniti, che cosa propone?
“La priorità rimane la difesa delle indicazioni geografiche. In subordine, dobbiamo ottenere una riduzione dei dazi di importazione e ridurre il sistema delle licenze quantitative. Con il Ceta sono stati ridotti i dazi e la quantità esportabile è aumentata del 150 per cento. Cerchiamo almeno di ottenere un risultato analogo o migliore con gli Usa”.
Poi c’è l’embargo russo. È fiducioso?
“Non mi sbilancio, ma devo fare i miei complimenti a Luigi Scordamaglia, presidente di Federalimentare, per la determinazione. Temo che le sanzioni europee verranno confermate fino al gennaio 2016, con la conseguenza che non mancherà la risposta russa. Spero però di sbagliarmi. Condivido la posizione però, come detto, del numero uno di Federalimentare, che dichiara che l’Europa non sta rappresentando l’agroalimentare. Mi auguro che Renzi firmi con Putin un accordo bilaterale per poter esportare, ma per fare questo serve coraggio…”.
Sul prezzo del latte alla stalla in Lombardia, condivide indicizzazione sulla base delle principali Dop?
“Ravvedo alcune problematiche. Se facciamo analisi retroattive, notiamo che vi sono Dop lattiero casearie che hanno fluttuato troppo, come ad esempio il Parmigiano-Reggiano, ancor più del Grana Padano. Sono favorevole, personalmente, a un indice più rappresentativo”.
Vale a dire?
“Vale a dire il mercato tedesco del latte alla stalla. La settimana scorsa il mercato tedesco ha avuto un rialzo e il produttore percepisce immediatamente il rialzo. Se facciamo un indice simile con un premio aggiuntivo per la destinazione del latte a Dop, secondo me può essere sostenibile. Le due condizioni da tenere presenti dovrebbero essere la posizione geografica dell’allevamento, cioè la pianura o la montagna e la destinazione del latte a prodotti a denominazione d’origine. Come industriali non vogliamo fare l’affare dell’anno e fregare il produttore, perché è nel nostro interesse che i produttori non chiudano le stalle, ma noi già oggi paghiamo il latte il 20% in più della media europea. E se applichiamo l’indicizzazione, ritengo che il latte tedesco sia più rappresentativo, anche perché non subisce oscillazioni eccessive come il latte francese, che è gestito massicciamente dall’industria”.
Come giudica il decreto Martina sul latte?
“Non serve, sarebbero più utili degli sgravi alle imprese. E poi, il decreto dice che il differenziale fra quanto pagato dall’azienda e quanto definito da Ismea non dovrà essere palesemente inferiore. Nel palesemente inferiore ci sta il mondo. Ripeto: gli industriali vogliono assumere e non far chiudere le stalle”.