Anche per i mangimi si è interrotto il ciclo di crescita registrato negli ultimi anni. Lo si è appreso dalla recente assemblea  di Assalzoo, l'associazione delle imprese mangimistiche, che si è svolta nei giorni scorsi a Ospedaletto di Pescantina, nei pressi di Verona. Tutt'altro che una debacle, ma l'aver perso per strada 500mila tonnellate di produzione su un totale di 14,5 milioni raggiunto nel 2011, è una conferma che la crisi picchia duro anche nelle stalle. Un “calo fisiologico” lo ha definito il presidente di Assalzoo Alberto Allodi, peraltro ampiamente previsto dalle industrie mangimistiche. Fisiologico o no, è un campanello d'allarme sulle sofferenze del settore, con gli allevamenti di suini in perenne stato di crisi, il prezzo del latte (ancora senza contratto) che fatica a recuperare i costi di produzione, la carne bovina che ogni giorno perde competitività rispetto al prodotto importato. Persino i conigli, nel loro piccolo, da anni osservano impotenti il continuo chiudere di allevamenti, sopraffatti dalle difficoltà di mercato e dalla assenza di politiche di settore. Di fronte ad un tal scenario prevedere un calo del consumo di mangimi è stata impresa facile. Semmai c'è da stupirsi che il calo si sia fermato ad un modesto meno 1,7%. Se debacle non c'è stata il merito è forse del settore avicolo, l'unico che sembra affrontare meglio i venti della crisi. Settore dove peraltro le industrie mangimistiche sono presenti in prima persona attraverso contratti di soccida stipulati con gli allevatori, in questo caso più prestatori d'opera che imprenditori.

Sofferenza comune
Soffre la zootecnia, ma soffre di conseguenza anche il mondo della mangimistica e non solo per il calo della produzione, tutto sommato irrilevante. A calare nel 2012 sono stati i margini delle industrie mangimistiche, erosi dal crescente aumento dei prezzi delle materie prime. Meno soldi in cassa, dunque, sebbene il fatturato del settore sia passato dai 7,5 miliardi del 2011 ai 7,7 miliardi dello scorso anno.  Ad acuire le difficoltà è poi arrivata la stretta creditizia. “In momenti di così grave difficoltà economica - ha detto il presidente di Assalzoo - è fondamentale garantire alle aziende un adeguato accesso al credito, per superare una barriera che rende difficilissima anche la gestione ordinaria, costringendole a tagliare investimenti, con possibili riflessi sull’occupazione, e ostacolando la ripresa.” Ciò nonostante le aziende hanno saputo reagire mantenendo praticamente inalterato il numero di addetti, che nel complesso assommano a circa 8500 unità. Non solo, il “sistema” mangimistico italiano ha consentito anche nel 2012 che il 96,3% degli allevamenti italiani potesse continuare ad essere alimentato con mangimi italiani. I mangimi utilizzati dagli allevatori, è stato rimarcato durante l'assemblea di Assalzoo, escono tutti da stabilimenti italiani rispettando standard di produzione e norme igienico-sanitarie ritenute universalmente come le più sicure e affidabili.

Debiti e crediti
A dare una mano alle aziende mangimistiche è il varo dell'articolo 62 della legge 27/2012 che ha stabilito termini stretti (30 e 60 giorni) nelle compravendite di prodotti alimentari e fra questi i mangimi. Prima di questa norma le industrie lamentavano tempi di pagamento lunghissimi, anche di molti mesi. Per gli allevatori era una sorta di “finanziamento” che consentiva di affrontare meglio i ricorrenti momenti di difficoltà. Ma che poneva seri problemi di concorrenza sleale fra le stesse industrie. Ora gli allevatori onorano con tempestività, seppure a malincuore, i loro debiti, ma non altrettanto può dirsi per lo Stato. A causa dei “perversi” meccanismi di imposizione fiscale le industrie mangimistiche si trovano perennemente a credito di Iva. Crediti che l'Agenzia delle Entrate liquida con una lentezza esasperante. In ballo ci sono 200 milioni di euro. Non è poco.