Prima un caso di influenza A H1N1 (quella impropriamente definita “suina”) in Veneto, seguito da un altro in Puglia, poi un decesso in Toscana attribuito alla Bse, forse più nota come “vacca pazza”. Si è aperto così il 2011 rispolverando l’ansia da allarme alimentare che in momenti di penuria di fatti importanti, come accade durante le feste di fine anno, trova subito ampia eco su giornali e Tv. Poi ci si è ricordati che l’ecatombe annunciata per colpa di vacca pazza c’è stata solo nella fantasia di qualcuno e che l’influenza suina come quella aviaria ha preoccupato solo i polli (con le piume e senza…). Così l’allarme è presto rientrato, per spostarsi immediatamente dopo sulla contaminazione da diossine (ce ne sono almeno 200 fra loro differenti) nelle uova tedesche. E visto che talune  diossine sono davvero pericolose  i media ci si sono buttati a capofitto. Poco importa che per correre davvero qualche rischio bisognerebbe mangiare uova (contaminate) a colazione, pranzo e cena per settimane. E nemmeno importa che per le uova siamo autosufficienti e dunque che le importazioni siano ridotte a casi isolati. Come se non bastasse si è lanciato subito il sospetto che ad essere contaminate siano non solo le uova, ma anche il latte e la carne, prodotti che invece importiamo in quantità proprio dalla Germania. La notizia che i suini di un allevamento tedesco (uno solo, si badi bene) sono stati contaminati dalle diossine ha poi gettato altra benzina sul fuoco.

 

In Italia più sicurezza

I fatti sono noti, quasi inutile ripercorrerli. Un’industria tedesca che lavora sostanze dalle quali residuano diossine e che al contempo produce grassi per la produzione di mangimi, ha visto la contaminazione di questi ultimi. E invece di correre immediatamente ai ripari e denunciare l’accaduto ha preferito il silenzio. Cosa grave e con le conseguenze oggi note, fra le quali la chiusura di 4709 allevamenti tedeschi. Non a caso questi “incidenti” avvengono con maggiore frequenza dove i servizi veterinari non sono ben strutturati e capillari come avviene invece in Italia, un campo nel quale il nostro Paese può vantare un’ottima ed efficiente organizzazione.

In Italia è stata una corsa a sdrammatizzare il problema. Il ministro della Salute, Ferruccio Fazio, ha subito spiegato che dalla Germania non importiamo uova, se non in modeste quantità, perfettamente tracciabili. E poi Nas dei Carabinieri e tutti gli organismi di controllo sono in allerta per evitare l’arrivo di prodotti contaminati. Rita Pasquarelli, direttore dell’Unione nazionale dell’Avicoltura, ha ricordato che siamo in una fase di sovrapproduzione di uova e che dunque non c’è motivo per acquistare merce all’estero. Anche dalle altre associazioni di settore, come Assolatte e Assica, rispettivamente per il mondo delle industrie del latte la prima e per quelle della trasformazione delle carni la seconda, sono arrivati messaggi tranquillizzanti sulla sicurezza dei prodotti che giungono sulle tavole dei consumatori italiani.

Tutti a tranquillizzare, ma intanto più se ne parla e più cresce l’ansia dei consumatori che nell’incertezza sul da farsi potrebbero reagire, come già accaduto in passato, “astenendosi”. Meno uova sul piatto e meno latte nelle tazze. E già che ci siamo anche meno carne. Un altro duro colpo alle stalle e agli allevamenti italiani, che con diossine, influenze e prioni non hanno nulla a che fare.

 

Avanti con le etichette

Ma come dice l’adagio, non tutti i mali vengono per nuocere. L’occasione è buona per ribadire la necessità di riportare sulle etichette il luogo di origine dei prodotti. Coldiretti sulla scia di questo ennesimo caso di allarme alimentare ha ribadito la necessità di indicare la provenienza su tutti i prodotti. Anche la Cia insiste per l’obbligo di tracciabilità per tutti i prodotti alimentari e sulla stessa lunghezza d’onda Confagricoltura ribadisce che i numerosi controlli ai quali sono sottoposti i prodotti della filiera agricola italiana sono un’ulteriore garanzia di sicurezza. Sull’argomento è sceso in campo anche il presidente della commissione Agricoltura del Parlamento Europeo, Paolo De Castro. Evitare allarmismi, questo l’invito di De Castro, che al contempo sollecita il Governo italiano a difendere le norme europee in tema di rintracciabilità. “La bocciatura – ha affermato De Castro - da parte dei ministri della Salute UE, della norma sull'etichettatura obbligatoria dei prodotti agricoli, approvata con la consueta intraprendenza dal Parlamento Europeo, è stata un'occasione persa.  

 

Basta con gli inutili allarmismi

 Intanto anche  i consumatori più disattenti hanno appreso da questa vicenda che su ogni uovo è stampigliata una sigla dalla quale si può sapere in quale nazione l’uovo è stato prodotto e persino quale sia il tipo di allevamento (a terra, in batteria, biologico) nel quale sono tenute le galline.  L’importante, adesso, è che non monti su questo episodio un allarmismo ingiustificato. A lanciare l’allarme è la Cia, che chiede un’informazione più chiara e responsabile da parte di tutti. Torna utile ricordare che l’Associazione per la scienza e le produzioni animali (Aspa) si è messa a disposizione di tutti, media compresi, per dare supporto scientifico alla comprensione del fenomeno, per valutarlo in termini reali e per prevenirlo. Prima di gridare “al lupo” meglio allora consultarsi con chi può fornire informazioni certe e documentate anche sotto il profilo scientifico.