Non sarà un mandato facile quello di Riccardo Vanelli, da poco nominato presidente di Agrofarma, l'Associazione all'interno di Federchimica che raggruppa la quasi totalità delle aziende produttrici di agrofarmaci.
Vanelli dovrà affrontare diverse problematiche: dalla spinta dell'Unione Europea verso una riduzione dei prodotti utilizzabili in agricoltura, all'avversione dell'opinione pubblica verso la chimica, dal nuovo Pan alla lotta alle resistenze. La parola chiave per Vanelli è essere realistici e affrontare i problemi prendendo decisioni sulla base di dati scientifici.
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Presidente Vanelli, qual è la sua priorità come nuovo presidente di Agrofarma?
"Il mio impegno e quello dell'Associazione sarà di costruire un sistema di contesto, a livello Paese, che consenta alle imprese di continuare a fornire agli agricoltori soluzioni efficaci per la protezione delle colture, che mettano gli operatori del settore nelle condizioni di continuare a produrre cibo buono e sano in maniera profittevole e sostenibile per l'ambiente".
Un impegno non da poco visto che l'Unione Europea si è posta degli obiettivi molto ambiziosi di riduzione dell'impiego degli agrofarmaci. Come vi ponete rispetto al Green Deal e alla strategia Farm to Fork?
"Noi condividiamo gli obiettivi di massima di questa politica europea, ma non possiamo condividere la metodologia con cui vengono perseguiti. Imporre tagli drastici e indiscriminati a tutti i Paesi non è corretto. Occorre declinare gli obiettivi sulle caratteristiche di ogni singolo Stato, che è caratterizzato da un sistema produttivo unico. Inoltre gli obiettivi devono essere realistici e non penalizzare l'agricoltura europea e italiana".
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Il made in Italy è a rischio?
"Dobbiamo ancora vedere come questa politica sarà declinata operativamente, ma se si priveranno, in maniera ingiustificata, gli agricoltori degli strumenti per fare in maniera corretta il proprio lavoro non potremo che avere un calo della produttività, con effetti pesanti sul made in Italy. Sono stati fatti degli studi a riguardo e tagliare semplicemente la quantità di agrofarmaci utilizzata non è sostenibile".
Di sostenibilità si parla in ogni sede. Come si può fare a coniugare sostenibilità economica dell'azienda agricola e sostenibilità ambientale?
"Puntare sull'innovazione è l'unica strada. Gli associati di Agrofarma investono in media circa il 6% del fatturato annuo in ricerca e sviluppo al fine di individuare nuove sostanze attive che siano efficaci e al contempo sostenibili per l'ambiente e le persone. Innovare è tuttavia un processo che richiede tempo e risorse e porre oggi degli obiettivi così ambiziosi, come dimostrato dagli studi di impatto condotti, rischia di penalizzare indiscriminatamente tutto il settore primario. Il realismo è ciò che chiediamo a Bruxelles".
In quali direttrici si concretizza la ricerca dei soci?
"Oltre alla ricerca di nuove sostanze attive di sintesi sempre più performanti, oggi circa un terzo delle risorse viene investito nella ricerca di sostanze attive impiegabili anche in agricoltura biologica. Prodotti che sempre di più sono in grado di assicurare una difesa efficace delle colture con il minor impatto ambientale possibile. Altra nuova area di ricerca su cui gli investimenti sono in costante crescita è l'Agricoltura 4.0".
Spesso di questi agrofarmaci viene sottolineato il fatto di non lasciare residui sulle derrate alimentari. I consumatori sono molto sensibili a questo tema, ma non si rischia di rincorrere una moda controproducente?
"Facciamo una premessa, parlare di residuo zero è scientificamente scorretto. Potremmo, al massimo, parlare di limite di rilevabilità. Ciò detto, ci tengo a sottolineare come oggi i prodotti alimentari in commercio siano sicurissimi poiché il limite massimo di residuo ammesso è molto al di sotto (cento volte tanto) della soglia di possibile effetto sulla salute dell'uomo. Certo, il consumatore vorrebbe l'attuale livello di qualità e di prezzo dei prodotti alimentari, ma con residui minimi o nulli. È un'aspirazione legittima che noi cerchiamo di soddisfare attraverso l'ottimizzazione dell'uso degli agrofarmaci, pur tenendo a mente la doverosa premessa fatta in apertura".
Nell'opinione pubblica si percepisce ormai da diversi anni un sentimento antiscientifico in generale e nello specifico anti chimica. Come mai secondo lei e qual è l'approccio dell'Associazione a questo tema?
"Abbiamo potuto toccare con mano durante l'epidemia di covid-19 le criticità che il sentimento antiscientifico di una parte dell'opinione pubblica hanno portato. Io credo che la scienza sia lo strumento migliore per affrontare i problemi che abbiamo davanti e credo che tutte le decisioni politiche, sia livello nazionale che europeo, dovrebbero essere basate su evidenze scientifiche e non su posizioni ideologiche. Come Agrofarma continueremo ad investire sul fronte della comunicazione per spiegare l'importanza degli agrofarmaci nell'assicurare ad una popolazione mondiale in crescita cibo buono, salutare e ad un prezzo accessibile".
Secondo lei c'è il rischio che si formi una contrapposizione tra agricoltura biologica e convenzionale?
"Non dovrebbe perché sono due approcci diversi ma complementari. Credo che facciano entrambi parte della soluzione ai problemi dell'agricoltura. D'altronde diversi agrofarmaci autorizzati in biologico sono utilizzati anche da chi fa convenzionale".
La tendenza dell'Unione Europea a ridurre le sostanze attive disponibili e l'emersione di nuove problematiche, come ad esempio l'arrivo di microrganismi o insetti alieni, stanno mettendo in seria difficoltà gli agricoltori. Continuerà l'impegno di Agrofarma sul fronte degli usi eccezionali?
"Le autorizzazioni in deroga sono uno strumento determinante per affrontare momenti di emergenza, che i portatori di interesse, in primis gli agricoltori, possono utilizzare per richiedere l'uso di agrofarmaci per proteggere le proprie colture in assenza di strumenti a disposizione sul mercato. Da parte nostra, quindi, continueremo a cercare di soddisfare al meglio le legittime richieste degli agricoltori per fornire loro le soluzioni di cui hanno bisogno".
C'è chi ritiene che il numero sia troppo elevato.
"Siamo al fianco delle istituzioni per trovare le modalità di ridurre il più possibile il numero di autorizzazioni d'emergenza, ma è uno strumento che deve essere preservato perché il solo che consente agli agricoltori di far fronte a situazioni emergenziali in tempi ragionevoli, soprattutto in un Paese come l'Italia caratterizzato da una varietà colturale senza eguali".
In questa fase di cambiamento è necessario un cambio di mentalità anche da parte degli agricoltori?
"Certamente per ottenere un'agricoltura produttiva e sostenibile un ruolo centrale lo giocano gli agricoltori, che noi dobbiamo supportare attraverso la formazione, perché fare agricoltura sarà sempre più difficile. Un tema centrale ad esempio è quello delle resistenze sviluppate da insetti, funghi e malerbe nei confronti degli agrofarmaci disponibili. Il loro corretto utilizzo è essenziale per ridurre questo fenomeno, come anche per continuare a produrre cibo sano e sicuro".
Come categoria che cosa chiedete alla politica?
"Sicuramente di prendere decisioni sulla base di dati scientifici e di porre dei target da raggiungere che siano proporzionali all'obiettivo e che quindi non penalizzino il comparto. Inoltre vorremmo poter lavorare all'interno di un quadro normativo certo e stabile, che ci metta nelle condizioni di pianificare gli investimenti in ricerca e sviluppo".