Come se non bastasse la rizomania, ai bieticoltori rimasti in Italia resta comunque da pensare a un secondo tipo di affezione virale, ovvero il giallume virotico.
"È la seconda malattia causata da virus e può essere causata dal virus Byv, acronimo di Beet yellow virus, in tal caso la malattia si manifesta in forma grave, oppure dal virus Bmyv, ovvero il Beet mild yellowing Virus, con manifestazioni della malattia in forma più leggera".
I due virus hanno comportamento indipendente o sono in qualche modo legati fra loro?
"Pur essendo virus differenti, spesso si mescolano fra loro ed è per questo che vengono trattati assieme. La sintomatologia è comunque un ingiallimento delle foglie che man mano divengono talmente fragili che stringendole letteralmente crepano. È evidente che in un campo di barbabietole una espansione importante di fogliame così ingiallito limita la fotosintesi e quindi influenza anche la produttività".
È solo la barbabietola a fungere da ospite o vi sono anche altre specie?
"I virus colonizzano tutte le chenopodiacee e molte altre piante spontanee e ciò permette loro la perpetuazione invernale. La malattia è peraltro molto più temibile nelle zone bieticole nordeuropee rispetto all'Italia, ove si manifesta evidente laddove vi è commistione tra bietola da seme e bietola industriale, in quanto la contaminazione da parte degli afidi è facilitata per l'esistenza della prima durante l'inverno".
Quindi, sono gli afidi a fungere da vettori per i due virus.
"Sì, i vettori della malattia sono gli afidi: Mizuz persicae, o afide verde, più attivo, e Aphis fabae, o afide nero, meno attivo. L'afide infetto può trasmettere il virus per 24-27 ore e dopo questo periodo si deve reinfettare su piante portatrici del virus per altre 48-72 ore. La gravità dell'infezione è quindi legata al numero di insetti infettanti".
Quindi per contenere la malattia vanno controllati in primis i vettori?
"La lotta al giallume virotico può effettuarsi solo colpendo gli afidi, visto che al momento vi sono solo resistenze genetiche molto parziali, ma questi in primavera compaiono in date e in numero diversi a seconda del clima dell'anno. Ecco quindi che nelle bieticolture avanzate si interveniva dopo aver tenuto sotto controllo il numero di apparizione degli afidi".
Monitorare come prima cosa, ma come?
"Un tempo venivano posizionate in campo bacinelle trappola piene di acqua con pareti dal fondo giallo, attrattivo per gli afidi. Ciò si faceva già negli anni '60/70. Ecco un esempio di come in agricoltura per sviluppare i concetti di Lotta integrata non si sono dovute attendere le pressioni ecologiste, bensì si è contato sul senso di responsabilità degli agricoltori. Anche perché in quel tempo i prodotti disponibili erano altamente tossici, come per esempio gli esteri fosforici, distribuiti a pieno campo".
La fitoiatria si è comunque evoluta negli anni successivi...
"Molto. Successivamente all'epoca menzionata, con l'avvento dei neonicotinoidi e della concia delle sementi il problema si risolse egregiamente sia per gli agricoltori sia per l'ambiente. Infatti ai primi voli degli afidi e alle prime punture fatte da questi sulle foglie l'effetto sistemico del prodotto conciante era ancora attivo e uccideva gli afidi. Tenendo sotto controllo i primi voli si ritardava molto l'avvento della malattia o al limite la si scongiurava del tutto e quindi la protezione era molto più efficace e a costi molto minori".
Quindi dopo la cacciata dei neonicotinoidi, cosa si è dovuto fare?
"Purtroppo, la proibizione dei tre concianti neonicotinoidi ha obbligato a intervenire ancora in pieno campo. In Francia l'anno scorso da zero trattamenti effettuati, quando era possibile conciare i semi, si è dovuti ricorrere mediamente a 2,5 irrorazioni di pieno campo e chi le ha sbagliate si è ritrovato i campi invasi dal giallume virotico".
Concludendo, cosa possiamo dire delle diverse virosi che affliggono la barbabietola da zucchero?
"Dunque, come si è visto per la rizomania fu un lavoro lungo 30 o 40 anni per far fronte alla malattia, solo che avendo inserito resistenze monogenetiche si è sempre sotto scacco se interviene una mutazione del virus che aggira la resistenza. Inoltre non si è potuta usare la resistenza tipo Alba per la complessità del lavoro applicando i metodi di genetica classica. Per quanto riguarda invece il giallume si sono sfruttate solo quelle parzialissime resistenze genetiche esistenti, purtroppo largamente insufficienti a evitare i trattamenti chimici o sul seme o in pieno campo".
Una luce in fondo al tunnel, si vede?
"Certo, se avessimo a disposizione le moderne biotecnologie sicuramente le problematiche sanitarie, ma anche agronomiche, si potrebbero risolvere in minor tempo e in modo più radicale, o trasferendo geni di resistenza o inducendo mutazioni. Paradosso dei paradossi è che ora che abbiamo strumenti moderni ed efficaci, come il Genome editing, ci si dice che non possono essere usati perché l'ideologia imperante e la creazione di paure inconsulte hanno paralizzato un'opinione pubblica la quale dà ormai pochissimo credito alla scienza. Anzi, spesso la osteggia".
Un problema non da poco, quello dell'avversione alle moderne biotecnologie, stranamente osteggiate proprio dai medesimi schieramenti che di solito chiedono la riduzione della chimica nei campi.