Il pino d'Aleppo (Pinus halepensis Mill.) è tipico degli ambienti mediterranei, caratteristico per la chioma generalmente irregolare e gli aghi riuniti a ciuffetti. L'altezza raramente raggiunge i 20 metri. Come indica il suo nome, la specie proviene dall'Asia Minore ma oggi viene ampiamente coltivato per rimboschimento in tutta l'area mediterranea. È presente in quasi tutta l'Italia in comunità isolate o misto ad altre specie, con una superficie totale complessiva di circa 20mila ettari.

 

Si tratta di una specie eliofila, xerofila e termofila, quindi cresce bene in posizioni soleggiate, con temperature estive fino a 40°C e temperature medie minime di +2,5/+3°C nel mese più freddo, potendo tollerare brevi ghiacciate occasionali fino a -18°C. Prospera con precipitazioni di 300-400 millimetri/anno, ma non tollera luoghi con oltre i 700-800 millimetri/anno. Riesce a superare i periodi di siccità mediante una parziale perdita di aghi per diminuire la traspirazione. L'aspetto che lo rende interessante nell'attuale contesto di cambiamento climatico è la sua spiccata capacità di crescere su terreni marginali, aridi, degradati e dunali. Non vegeta bene sui terreni argillosi soggetti a ristagno d'acqua, né in località con nevicate frequenti ed abbondanti, giacché i suoi rami si spezzano per la scarsa resistenza al peso della neve.

 

Il legno, di color bruno chiaro, è uno dei più densi fra le conifere (810 chilogrammi/m3 con umidità del 13%). Ha una grana grossolana ed è di qualità mediocre per l'utilizzo come legname da opera. Anticamente veniva utilizzato per la costruzione di imbarcazioni, le più famose sono quelle trovate nel Lago di Nemi che reggevano il palazzo galleggiante di Caligola. Ai nostri giorni il legno di pino d'Aleppo viene utilizzato per paleria, scortecciato e ricoperto di olio di creosoto, oppure i tronchetti vengono cippati per la produzione di pannelli truciolari. L'attività di estrazione della resina è ormai limitata a piccole produzioni in Grecia, Spagna e Portogallo.

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Il Potere Calorifico Inferiore (Pci) della sua legna è di 4,09 kWh/chilogrammo (stagionato al coperto oltre un anno), pari a quello dell'abete bianco, ma con quasi il doppio di densità. Quest'ultimo fatto lo rende una biomassa interessante per la produzione di cippato o legna da ardere spaccata, risparmiando il costo energetico del processo di pellettizzazione.

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Per l'impianto si usano semenzali di cinque, sei mesi se ben sviluppati, oppure trapianti di uno, due anni avvolti in pane di terra se impiegati in stazioni aride. La densità d'impianto si aggira sulle 2.500-3mila piante/ettaro (distanze da 1,80 x 1,80 metri a 2,00 x 2,00 metri). Mediante successivi e frequenti diradamenti si arriva a 300-500 piante/ettaro prima della maturità, intorno ai sessanta, settanta anni, con tronchi del diametro di 30-50 centimetri a petto d'uomo. Oltre a ripuliture e sfollamenti, per aiutare le piantine più promettenti nella fase di accrescimento iniziale sono fondamentali le spalcature, da effettuarsi già intorno a quattro, cinque anni di età, onde evitare la presenza di rami secchi che possono innescare incendi e che trasferiscono le fiamme dal terreno alla chioma. I diradamenti devono creare spaziature sufficienti fra le chiome, tali da assecondare l'eliofilia della specie e permettere la rinnovazione naturale (1).

 

Una caratteristica interessante del pino d'Aleppo come specie da biomassa in zone aride è che, contrariamente a quanto accade con altre specie facilmente infiammabili come l'eucalipto, le perdite economiche in caso di incendio sono minori. La corteccia del pino d'Aleppo è spessa e composta prevalentemente da lignina, ma contiene molti sali. Quindi, durante gli incendi boschivi arde, ma una volta calcinata funge da ignifugo. Il calore uccide gli alberi ma la loro biomassa rimane inalterata. Ciò rende possibile recuperare la biomassa rimasta in piedi come legna da ardere o per la produzione di pasta di carta (2).

 

La maggior percentuale della biomassa di un pino d'Aleppo corrisponde alla chioma, seguita dall'apparato radicale e infine dal tronco (3). Questo spiega perché un'esperienza condotta in Spagna (4) ha dimostrato che la produttività di cippato da biomassa residua (ramaglie e diradamenti) o da abbattimenti convenzionali in terreni dismessi riforestati con pino d'Aleppo, è nel range di 22,5-24,5 tonnellate/ettaro di biomassa fresca, con 45% di umidità. La qualità del cippato è simile in entrambe le ipotesi di governo dell'appezzamento. L'energia da fonti fossili consumata per la produzione del cippato è dello stesso ordine, circa un decimo dell'energia primaria ottenibile dalla biomassa raccolta, sia essa da abbattimento o dalle operazioni di potatura e pulizia. Il fatto che la produzione di cippato da ramaglie sia pressoché uguale a quella risultante da abbattimenti consente il rispetto del "principio di cascata" che la Commissione Europea potrebbe fare obbligatorio con la Red III.

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La crescita del pino d'Aleppo è modulata da tre fattori: temperature annue, precipitazioni ed altitudine. In alcune stazioni soggette a incendi periodici può diventare una specie invasiva per la sua spiccata capacità di rigenerazione. I coni possono conservare i semi viabili per molti anni e si aprono se riscaldati oltre una certa temperatura, liberando i semi, che dopo il passaggio del fuoco non trovano concorrenza e colonizzano rapidamente il territorio. Anche cervi e cinghiali che si cibano dei semi contribuiscono alla loro dispersione. La biomassa di una foresta di pino d'Aleppo si concentra maggiormente nelle chiome, nelle radici, e solo una frazione minore nei tronchi. A ventisette anni la biomassa totale di una foresta di questa specie arriva a 17,55 tonnellate/ettaro, a quarantotto anni raggiunge 764,86 tonnellate/ettaro, 1.192 tonnllate/ettaro a settanta anni e si stabilizza a 1.406 tonnellate/ettaro a cento anni. La quantità media di biomassa residua (ramaglie e coni) che si può estrarre dalle operazioni di pulizia di una foresta di pino d'Aleppo matura va da 33,5 a 110 tonnellate/ettaro, dipendendo dall'età media degli alberi e dalle condizioni pedoclimatiche locali.

 

La resistenza del pino d'Aleppo alla siccità è un fattore di sicuro interesse produttivo, ma porta con sé un prezzo da pagare: la pianta reagisce allo stress idrico accumulando etanolo nel suo floema, il quale attira a sua volta il pericoloso coleottero distruttore (Tomicus destruens), che prolifera e può attaccare anche altre conifere adiacenti, compromettendo la salute dell'intero bosco (5).

 

Benché i pinoli del pino d'Aleppo siano commestibili, non sono conosciuti in Europa. Vengono consumati solo nell'Africa settentrionale, dove si prepara una specie di budino chiamato assidat zgougou in dialetto tunisino.

Tuttavia, la spiccata capacità di crescere su suoli poveri e di resistere alla siccità rende il pino d'Aleppo ideale come portainnesto del pino domestico, i cui pinoli hanno maggiore valore di mercato in Europa. La pratica dell'innesto consente inoltre di selezionare e propagare in tempi più brevi i pini domestici con maggiore produttività. In Spagna si è riscontrato che la resa di pinoli di una coltivazione di pino domestico è di 290 chilogrammi/ettaro, ma nelle stesse condizioni gli innesti di pino domestico su pini d'Aleppo hanno reso 376 chilogrammi/ettaro (3, già citato).

 

La biomassa del pino d'Aleppo è composta da 30,9% di lignina, 39,3% di cellulosa, 21,3% di emicellulosa, e 7,3% di estratti in etanolo (resine e gomme). È possibile saccarificare detta biomassa mediante il trattamento a 90°C con una soluzione di acido solforico. La successiva fermentazione può produrre etanolo (6), ma purtroppo lo studio citato contiene qualche errore tipografico sulle quantità, perché il bilancio di massa non quadra.

 

Possiamo attingere ai risultati di un'altra ricerca condotta in Italia (7) su campioni di ramaglie di pino non specificati (probabilmente pino domestico), aventi il 32% di cellulosa, dai quali è stato possibile ricavare 10,6 grammi di etanolo per ogni 100 grammi di biomassa. Poiché il legno di pino d'Aleppo conterrebbe il 22% in più di cellulosa rispetto al pino comune, sarebbe dunque più conveniente coltivare il primo come materia prima per la produzione di pasta di carta o di etanolo di seconda generazione.

 

Un altro studio sulla saccarificazione e ulteriore fermentazione della biomassa dei coni (8) indica un 74% di efficienza nella conversione in zuccheri, e 33,3% di efficienza di conversione degli zuccheri in etanolo, quindi 24,6% di efficienza globale di conversione della biomassa dei coni in alcol. Dopo la saccarificazione, la lignina residua dei coni si può trasformare ulteriormente per produrre vanillina mediante la coltivazione di un particolare fungo (9).

 

Concludiamo l'articolo sulle potenzialità agroindustriali del pino d'Aleppo con un aspetto poco studiato dalla scienza occidentale: gli usi medicinali. Nella medicina popolare nordafricana e mediorientale il pino d'Aleppo viene utilizzato da tempi antichi. I suoi estratti servono per la preparazione di unguenti per lenire le cicatrici, come astringente, antifungino e per trattare la tubercolosi. Si utilizza per trattare la diarrea, le ferite, i reumatismi, la tosse, i dissesti gastrointestinali, l'ipertensione e le emorroidi.

 

Ricerche moderne dimostrano che gli estratti e gli oli essenziali di P. halepensis Mill. hanno svariate attività farmacologiche: antimicrobiche, antidiabetiche, antinfiammatorie citotossiche, antiparassitarie, ed epatoprotettive. I metaboliti secondari che la pianta produce in risposta agli stress esterni potrebbero avere applicazioni nel trattamento di malattie neurodegenerative come il parkinson e l'alzheimer, ma le ricerche in questo campo sono appena gli inizi, così come le indagini cliniche sui potenziali effetti indesiderati (10).

 

Bibliografia

(1) Regione Marche, agricoltura e foreste.

(2) Antonovic, Alan & Barcic, Damir & Kljak, Jaroslav & Ištvanic, Josip & Podvorec, Tomislav & Stanešic, Juraj. (2018). The Quality of Fired Aleppo Pine Wood (Pinus Halepensis Mill.) Biomass for Biorefinery Products. Croatian Journal of Forest Engineering. 39. 313-324.

(3) Mechergui K, Naghmouchi S,  Alsubeie M, Jaouadi W, Ammari Y (2022). Biomass, radial growth and regeneration capacity of Aleppo pine, and its possible use as rootstock in arid and degraded areas. iForest 15: 213-219.

(4) Lerma-Arce V, Oliver-Villanueva J-V, Segura-Orenga G, Urchueguia-Schölzel JF (2021). Comparison of alternative harvesting systems for selective thinning in a Mediterranean pine afforestation (Pinus halepensis Mill.) for bioenergy use. iForest 14: 465-472. - doi: 10.3832/ifor3636-014.

(5) Kelsey Rick G., Gallego D., Sánchez-García F.J., and Pajares J.A.. Ethanol accumulation during severe drought may signal tree vulnerability to detection and attack by bark beetles. Canadian Journal of Forest Research. 44(6): 554-561.

(6) Ghouri AS, Noor S, Munawar A, Awan JA (2015) Production of Ethanol from Quetta Pinus halepensis by Fermentation. J Chem Eng Process Technol 6: 254. doi:10.4172/2157-7048.1000254.

(7) Cotana, F. & Cavalaglio, G. & Gelosia, Mattia & Nicolini, Andrea & Coccia, Valentina & Petrozzi, Alessandro. (2014). Production of Bioethanol in a Second Generation Prototype from Pine Wood Chips. Energy Procedia. 45. 10.1016/j.egypro.2014.01.006.

(8) Yosra Messaoudi, Neila Smichi, Tamara Allaf, Karim Allaf, Mohamed Gargouri, Effect of instant controlled pressure drop pretreatment of lignocellulosic wastes on enzymatic saccharification and ethanol production, Industrial Crops and Products, Volume 77, 2015, Pages 910-919, ISSN 0926-6690.

(9) Messaoudi, Y., Smichi, N., Bouachir, F. et al. Fractionation and Biotransformation of Lignocelluloses-Based Wastes for Bioethanol, Xylose and Vanillin Production. Waste Biomass Valor 10, 357–367 (2019).

(10) Nasreddine El Omari, Fatima Ezzahrae Guaouguaou, Naoual El Menyiy, Taoufiq Benali, Tariq Aanniz, Imane Chamkhi, Abdelaali Balahbib, Douae Taha, Mohammad Ali Shariati, Ghokhan Zengin, Mohamed El-Shazly, Abdelhakim Bouyahya; Phytochemical and biological activities of Pinus halepensis mill., and their ethnomedicinal use, Journal of Ethnopharmacology, Volume 268, 2021, 113661, ISSN 0378-8741.