La permacultura è un sistema multidisciplinare e transdisciplinare che oltre alla coltivazione delle piante e all'allevamento degli animali si occupa di ingegneria, idraulica, architettura, paesaggio, energia e si basa su solidi modelli agroecologici.
Non si tratta, quindi, di un semplice modo alternativo di fare agricoltura. Tutte queste discipline e tecniche messe insieme formano un sistema di progettazione che ha
come obiettivo la creazione di insediamenti umani sostenibili, stabili, efficienti e resilienti.
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Quando si progetta in permacultura la terra e tutti gli altri elementi del sistema, piante, animali, edifici e infrastrutture non vengono considerati semplicemente come dei fattori di produzione. Ad ognuno di questi elementi vengono riconosciute più funzioni ma anche bisogni e prodotti (income/outcome). Svolgere questa analisi e mettere in relazione tra di loro questi elementi permette di individuare la loro giusta collocazione; si combina così un sistema permanente in grado di provvedere ai fabbisogni interni evitando ogni forma di sfruttamento e inquinamento, un sistema sostenibile soprattutto nel lungo periodo.
L'essenza della permacultura è la progettazione, che vuol dire connettere tra loro i vari elementi del sistema.
Analisi delle caratteristiche, dei bisogni, dei prodotti e dei comportamenti di una gallina allo scopo di individuare la sua giusta collocazione nell'azienda rispetto agli altri elementi del sistema
(Fonte: AgroNotizie®, grafica ispirata al libro "Introduzione alla permacultura" di Bill Mollison e Reny Mia Slay)
La permacultura oggi è conosciuta, studiata ed applicata in tutto il mondo. Ci sono molti corsi, anche in Italia, che seguono il programma base preparato da Bill Mollison, che negli anni '70 concepì il sistema di progettazione e nel '92 ha pubblicato il libro "Introduzione alla permacultura".
La permacultura può essere utilizzata per progettare un'azienda agricola. Ma come si passa dalla teoria alla pratica?
Per rispondere a questa domanda abbiamo intervistato Lorenzo Costa che partendo proprio dalle etiche e dai principi della permacultura ha progettato un'azienda agricola in Toscana. Si tratta de La Scoscesa, un'azienda di 9 ettari nella zona del Chianti dove oggi si producono 148 varietà di piante diverse all'anno e nella quale sono stati infiltrati nel sottosuolo più di 9 milioni di litri di acqua che altrimenti sarebbero andati persi per ruscellamento.
Principi etici e pratici di permacultura
La permacultura si basa su 3 principi etici che sono alla base della progettazione:
- cura della terra cioè di tutti gli esseri viventi, mettendo in pratica attività non dannose e in grado di ripristinare gli equilibri ambientali alterati;
- cura delle persone dal punto di vista dell'alimentazione, dell'abitazione, dell'istruzione, del lavoro e dei rapporti sociali;
- cura del futuro dedicando il surplus di tempo, denaro ed energia proprio alla cura della terra e delle persone aiutando gli altri a raggiungere gli stessi scopi.
I principi di progettazione, invece, sono tanti e provengono da diversi campi e discipline:
- ubicazione relativa, significa che ciascun elemento del sistema (casa, orto, stalla, ecc.) è collocato in relazione agli altri elementi, in modo che ognuno sia di supporto agli altri;
- ciascun elemento svolge molteplici funzioni;
- ogni funzione importante è supportata da più elementi;
- pianificazione energetica efficiente per la casa e le altre strutture a essa connesse;
- preferenza nell'uso di risorse d'origine biologica rispetto a quelle derivanti da combustibili fossili;
- riciclo in loco dell'energia;
- utilizzare e accelerare avvicendamenti naturali di piante per realizzare ambienti e terreni favorevoli;
- ricorso alla policoltura e impiego di una grande diversità di specie utili;
- uso di modelli (pattern) naturali e valorizzazione dell'effetto margine (ecotono o spazio intermedio fra 2 ecosistemi limitrofi, caratterizzato dalla compresenza di specie animali e vegetali di entrambi) per ottenere il miglior risultato possibile.
Per mettere in pratica i principi della permacultura bisogna sistemare in modo efficiente le aree coltivate, gli allevamenti e le infrastrutture secondo zone e settori specifici. Le zone dove ci si reca quotidianamente vanno collocate vicino all'abitazione mentre quelle visitate meno frequentemente vanno poste più lontano. Nella grafica viene rappresentata un'area ideale, nella realtà potrebbe risultare molto più complessa la suddivisione in zone
(Fonte: AgroNotizie®, grafica ispirata al libro "Introduzione alla permacultura" di Bill Mollison e Reny Mia Slay)
A Gaiole in provincia di Siena si fa permacultura
Nel 2015 Lorenzo Costa decide di avviare un'azienda agricola e acquistare un terreno a Gaiole in Chianti, dove oggi vive, in provincia di Siena. "Io non facevo l'agricoltore, sono laureato e ho un dottorato in storia contemporanea ma lavoravo da 22 anni al Dipartimento Biotecnologie, Chimica e Farmacia dell'Università di Siena come tecnico di laboratorio. Il terreno che ho comprato è un terreno particolare perché è marginale e probabilmente nessuno ci farebbe agricoltura oggi", racconta Lorenzo.
Si tratta, infatti, di un terreno interamente terrazzato con 5 chilometri di muro a secco e 130 metri di dislivello: 9 ettari in totale di cui una metà è bosco e l'altra un'oliveta abbandonata.
"Ci ho messo 2 anni a progettare l'azienda avvicinandomi alla progettazione in permacultura, ma solo dal 2018 ho cominciato a lavorare fattivamente grazie al Psr primo insediamento con il quale ho potuto avviare la recinzione, importantissima per cominciare a coltivare perché qui la pressione animale è tanta".
Piuttosto che cominciare a produrre tanta varietà sin da subito, Lorenzo ha iniziato coltivando solo patate e aglio ma pian piano si è ritrovato a fare un importante lavoro di analisi del territorio: "Quando si progetta un'azienda agricola è importante capire il territorio in cui si è. La zona del Chianti è un territorio particolarissimo dove tutti fanno solo vino. Noi ad oggi siamo l'unica azienda agricola iscritta alla camera di commercio per orticoltura nel comune di Gaiole in Chianti - il comune ha un'estensione di 128,89 chilometri quadrati, per capire quanto è grande - Un deserto alimentare dove nessuno produce cibo. Oltre a decidere, quindi, di coltivare del cibo ho analizzato anche la tipologia di ristoranti della zona: ce n'erano una sessantina solo nel comune di Gaiole tra trattorie, agriturismi e ristoranti stellati. Ho deciso che quella sarebbe stata la mia nicchia di mercato e con il tempo ho cominciato a lavorare anche con le famiglie".
Ad oggi l'azienda agricola La Scoscesa lavora principalmente per una ventina di famiglie a cui vengono preparate delle cassette di verdura settimanali e dai 3 ai 7 ristoranti alla volta a seconda della stagione.
La Scoscesa comprende 9 ettari suddivisi tra bosco e zone coltivate. La prima zona coltivata, grande 2 ettari e mezzo e recintata, a sua volta si divide in 1 ettaro e mezzo di colture a pieno campo, dove vengono fatte delle rotazioni ogni anno fra patate, legumi e grano e 1 ettaro caratterizzato da un'oliveta terrazzata. Qui ci sono 29 terrazze di cui 12 coltivate con aiuole fisse di 80 centimetri e camminamento di 30 centimetri con impianto di irrigazione.
La prima e la seconda zona coltivata sono separate da 1 ettaro di bosco e al di là c'è mezzo ettaro di oliveta terrazzata anch'essa composta da aiuole di 80 centimetri situate sia sotto agli alberi di olivo che al margine, al confine con il bosco.
(Fonte: Lorenzo Costa - Azienda agricola La Scoscesa)
Alla Scoscesa si coltiva anche nel bosco, qui infatti ci sono delle piccole terrazze con ribes e uva spina, tanti asparagi selvatici, aromatiche perenni, e simili.
"In un anno noi raccogliamo 148 varietà diverse di piante, in 2 ettari e mezzo, fra ortaggi coltivati e perenni. Ci sono infatti piante commestibili selvatiche che abbiamo introdotto in azienda per cercare di avere delle stagioni di raccolta precise, piuttosto che andare a cercarle ogni volta allungando i tempi di raccolta. In questo modo, per esempio, abbiamo delle zone più ricche di aneto, papavero, rucola selvatica, spinaci selvatici, eccetera che sappiamo dove sono e mi permettono di coltivare extra orto e ottenere una produzione molto particolare che vendo bene ai ristoranti. Inoltre, le piante extra orto richiedono meno impegno perché germinano facilmente quando è il momento giusto e vogliono meno annaffiature", spiega Lorenzo.
(Fonte: Lorenzo Costa - Azienda agricola La Scoscesa)
Fare permacultura vuol dire progettazione
"La cosa che a me è servita tanto nell'avvio dell'azienda è stata la progettazione in permacultura. Si parla tanto di business plan e piani economici, che sono comunque parte integrante della progettazione in permacultura, ma prima ci deve essere la visione dell'ecosistema aziendale.
In Italia se ne parlava già con Pietro Cuppari, il primo preside della facoltà di Agraria di Pisa, che nel 1870 scrisse il Manuale dell'Agricoltore dove tratta l'azienda agricola come un ecosistema, facendo attenzione a tutto quello che c'è all'interno di un'azienda e soprattutto connette e mette in relazione le diverse produzioni aziendali a quelli che sono i cicli dei nutrienti, per cui quello che è uno scarto di una produzione diventa risorsa per un'altra produzione o per un altro ambito aziendale. Così facendo si chiudono i cicli aziendali. Eppure, oggi si tende spesso a fare il contrario, ci si rivolge, cioè, all'esterno per riuscire ad integrare quello che non si ha in azienda", ci spiega Lorenzo Costa.
La permacultura, quindi, insegna a lavorare per avere tutte le risorse in azienda e per fare questo bisogna partire necessariamente dallo stabilire relazioni funzionali tra tutti gli elementi in modo che le esigenze dell'uno possano essere soddisfatte dalla produzione dell'altro. Nulla deve essere posizionato a caso ma tutto deve essere connesso e ogni cosa svolge una funzione per qualcos'altro.
"Un altro principio di progettazione in permacultura che ho applicato molto in azienda è sicuramente "usa e valorizza il margine" - continua Costa - dove per margine si intende il punto di incontro tra due ecosistemi, nel mio caso il bosco e l'oliveta. Si tratta di una zona in realtà molto fertile". A La Scoscesa nel margine hanno posizionato tantissime aiuole tra i muretti a secco e coltivano diverse specie: spinaci, aromatiche, un particolare finochietto viola che sa di liquirizia, diversi tipi di agli perenni, eccetera. "Quindi, intorno agli orti abbiamo sistemato la vera potenzialità dell'azienda agricola La Scoscesa, attraverso tutte quelle piante che non occuperanno mai lo spazio nell'orto ma diventano piante fondamentali per la tipologia di azienda come la nostra che lavora con la ristorazione".
Fare permacultura vuol dire chiudere i cicli
Il suolo a La Scoscesa ha un pH basico (circa 8.1) ed è molto ricco di calcare attivo che può creare problemi alla crescita delle piante e inibire l'assimilazione dei nutrienti da parte di alcune orticole, soprattutto le cucurbitacee.
"Per risolvere il problema abbiamo inizialmente cominciato ad aggiungere compost mischiato a zolfo alle aiuole dell'orto, perché inibisce l'effetto del calcare. Facendo permacultura però e avendo come obiettivo quello di chiudere i cicli abbiamo cominciato a studiare l'accumulazione dei minerali all'interno dei tessuti delle piante per capire quali piante accumulano più zolfo e abbiamo scoperto che sono le piante appartenenti alle famiglie delle Alliacee e delle Brassicaceae", ci spiega Lorenzo. A questo punto in azienda hanno cominciato a fermentare queste piante per estrarre lo zolfo e ad oggi sono ben 5 anni che lo usano e hanno eliminato il problema.
Quindi, seguendo i principi della progettazione in permacultura la soluzione è stata trovata all'interno dell'azienda stessa mettendo in relazione più elementi in grado di svolgere molteplici funzioni.
"Per la fertilità del suolo lavoriamo in 2 modi, da un lato c'è la produzione di biochar che è il carbone vegetale. Abbiamo una fornace in azienda autocostruita e facciamo dai 300 ai 600 chili di biochar all'anno. Lo inoculiamo con il fermentato di brassicace e aglio per aggiungere zolfo e poi lo mettiamo nel terreno, circa 2 chili per metro quadrato sulle aiuole".
Inoltre, in azienda fermentano anche altre piante per ottenere microrganismi benefici: "Fermentiamo per esempio le piante di pomodoro (radici, steli, foglie e pomodori) riempiendo un bidone da 200 litri di pezzi di pianta tagliati grossolanamente, aggiungiamo lettiera di bosco dove ci sono foglie e microrganismi come attinomiceti e funghi e facciamo fermentare poi con acqua per 4 mesi. Una volta fermentate la parte di residui vegetale andrà a fondo e rimane la madre. Questo fermentato dura anche 10 anni, si può usare come trattamento fogliare e funziona da stimolante e corroborante per la pianta.
Visto che si usano molto anche i distillati di legno abbiamo provato a fermentare ghiande, legno di quercia, marroni e rami di castagno. Ormai sono 2 anni che lo facciamo estraendo tannini che poi diamo alle piante. L'unico investimento fatto è stata la tanica da 200 litri".
Lorenzo Costa ci parla anche dell'Agricoltura Naturale Coreana (Knf) a cui è molto interessato e per questo da un po' di anni cerca di mettere in pratica qualche tecnica. Si tratta di un sistema che incoraggia la crescita di microrganismi indigeni presenti in natura (Imo, indigenus microrganism): "Di fatto è come se facessimo una grossa piastra Petri. Prepariamo una coltura di microrganismi partendo da riso semi bollito e messo in un recipiente di legno nel bosco. Qui questo viene colonizzato dai microrganismi presenti nella lettiera di bosco e raggiunge così la prima fase chiamata Imo 1.
Riso colonizzato dai microrganismi (Imo 1)
(Fonte: Lorenzo Costa - Azienda agricola La Scoscesa)
Per la seconda fase (Imo 2) il riso colonizzato viene mischiato con zucchero di canna grezzo che mette in stasi i microrganismi dandogli tanto da mangiare. Questo composto viene poi diluito in acqua e viene inoculato con della crusca di grano (dipende da ciò che si trova nella propria azienda, in Corea per esempio userebbero la pula di riso). Dopo una settimana la crusca di grano si è trasformata in un tocco solido di microrganismi, è tutta bianca per gli attinomiceti e ci sono anche alghe e funghi. Questo è Imo 3.
Crusca di grano e microrganismi (Imo 3)
(Fonte: Lorenzo Costa - Azienda agricola La Scoscesa)
Nella fase 4 si mischia la stessa quantità di crusca con la stessa quantità di suolo aziendale e si lascia l'inoculo per una settimana e a quel punto si ottiene Imo 4. Questo si può spargere sul suolo dove ci sarà la coltura e in questo modo vengono attivati una serie di processi di decomposizione della sostanza organica grazie all'attivazione di tantissima microfauna del suolo".
Inoculo con il suolo aziendale (Imo 4)
(Fonte: Lorenzo Costa - Azienda agricola La Scoscesa)
Fare permacultura vuol dire gestione dell'acqua
"L'acqua ha un solo posto dove deve stare, nel suolo": afferma Lorenzo che a La Scoscesa utilizza molto bene l'acqua piovana lavorando sulla sua infiltrazione. L'obiettivo è reimmettere l'acqua nel sottosuolo affinché ricarichi le falde e si possano utilizzare i pozzi. Per fare ciò ha lavorato su più livelli: il primo è quello della fertilità del terreno, aumentando la sostanza organica e utilizzando il biochar si trattiene moltissima acqua e si aumentare la capacità di ritenzione idrica del terreno; il secondo livello riguarda i bacini di infiltrazione, delle buche nel terreno che vanno dai 5, ai 30 e 48mila litri.
"Noi ad oggi abbiamo nei 2 ettari e mezzo recintati 19 bacini di infiltrazione per un totale di 190 mila litri di acqua che da 5 anni infiltriamo nel sottosuolo in questi ettari recintati. Abbiamo infiltrato ad oggi probabilmente 9 milioni e 800mila litri di acqua che sarebbero stati persi per ruscellamento essendo noi in collina".
Un bacino di infiltrazione dell'azienda
(Fonte: Lorenzo Costa - Azienda agricola La Scoscesa)
Fare permacultura vuol dire collaborare con clienti, consumatori e istituzioni
Arrivati a questo punto una domanda sorge spontanea: i ristoranti di cui parla Lorenzo cosa ne pensano di cucinare e preparare piatti a base di piante spontanee o coltivate in permacultura?
"A volte i ristoratori vanno educati e bisogna spiegargli come usare un determinato tipo di prodotto. Altre volte devo educarli più che sull'uso di certe piante proprio sull'uso delle piante stesse. Nel senso che questa è una zona dove si mangia carne e il contorno è al massimo composto da patate arrosto, è raro trovare un menù completamente vegetariano".
In 5 anni Lorenzo è riuscito a far sì che un ristorante stellato aggiungesse al suo menù una proposta completamente vegetariana basata sulle verdure della sua azienda e adesso sta collaborando con un altro ristorante stellato della zona per fare la stessa cosa.
Dietro c'è quindi un grande lavoro di comunicazione e condivisione: agricoltore e ristoratore ragionano insieme per capire che tipo di menù proporre in base alla stagione e quindi alle piante presenti in campo.
"Ovviamente con i ristoranti stellati e con la ristorazione una parte delle verdure che vendo sono quelle classiche, ma due terzi sono tutte aromatiche o erbe molto particolari che da 5 anni selezioniamo e riproduciamo qui in azienda. Ad esempio, ora ho in campo una pianta che non ho ancora venduto e la sto riproducendo per arrivare, l'anno prossimo, a 10 piante e quindi fra 3 anni, magari, metterla in vendita a più ristoranti. All'inizio posso venderla anche solo ad un ristorante per testare e vedere come la usa. Perché alla fine grande parte del lavoro è imparare come la ristorazione usa quell'ingrediente e quindi come presentarlo agli altri clienti".
Tanto è vero che Costa si studia anche tanti libri di cucina del '500, '600 e '700 per cercare di ispirare un po' i ristoratori locali con ingredienti che probabilmente ora consideriamo semplici erbacce ma che un tempo erano alla base di molte ricette.
Per quanto riguarda le famiglie che ordinano la cassetta di verdura settimanale funziona così: "Io mando una lista di cose disponibili alle famiglie e loro scelgono cosa vogliono. Per me è un modo sia per vendere l'eccedenza che il ristorante non mi ha comprato sia per conoscere i bisogni dei miei clienti. Infatti, c'è la coppia di 80 anni che non prenderà mai 5 chili di verdure a settimana ma c'è anche la coppia che sta svezzando la figlia e loro sì che consumeranno tantissima verdura. Per questo è inutile per me proporre una soluzione preconfezionata".
A livello istituzionale e burocratico, La Scoscesa è un terreno che ha 7 vincoli paesaggistici e quindi ci sono voluti 6 mesi per avere i primi permessi, ma una volta ricevuti e presentato il piano di miglioramento aziendale non ci sono stati più problemi.
"Il Comune non capisce realmente ciò che facciamo ma gli piace l'idea perché attiviamo varie visite. Ci sono varie università interessate che vengono con studenti e studentesse a visitarci quindi il Comune sa che portiamo persone sul territorio. Ho visto una grande risposta soprattutto della Regione: quando abbiamo presentato il piano di miglioramento aziendale, io e le agronome che mi seguivano abbiamo fatto un'introduzione in cui si spiegava che cos'è la permacultura ed è passata in commissione; in seguito ho saputo che 2 anni dopo si è presentata un'altra azienda agricola progettata come la nostra in permacultura e in Regione avevano già capito di cosa si trattava. Abbiamo così creato un precedente che è fondamentale in questi casi.
Bisogna cominciare a spiegare le cose e questo vuol dire che qualcuno deve prendersi la responsabilità di andare a dirglielo e farglielo vedere, a quel punto si crea un precedente che rende più facile la vita a quello che verrà dopo di noi".
Consigli per chi è scettico nei confronti della permacultura o per chi invece ha deciso di cominciare a metterla in pratica
“A chi è scettico direi di visitare progetti di permacoltura - dice Lorenzo Costa - Iniziano ad essercene tanti in Italia, in diverse zone della penisola. Inoltre, consiglierei di parlare con qualcuno che si occupa di progettazione, che sa quello di cui sta parlando e che ha applicato le cose.
Non esistono tecniche di permacultura ma la permacultura come sistema di progettazione ha al suo interno tutta una serie di tecniche che chiunque può adottare. Si puoi fare biologico o convenzionale ed essere comunque in permacultura".
Per maggiori informazioni a questo link si trova una mappa delle realtà che fanno permacultura in Italia.
A chi vuole cominciare a metterla in pratica Lorenzo consiglia di iniziare da un corso, che se focalizzato soprattutto sulla progettazione può dare delle buone basi di partenza. "Spesso tutti vogliamo prima di tutto fare e saltiamo la fase più importate, cioè quella di progettazione. Il rischio è quello di fare dei grossi errori". Bisogna analizzare quali elementi servono per rispondere in primis alle proprie esigenze, possibilità e tempi, quali sono quelli da mettere prima e quelli da mettere dopo e quali investimenti prevedono.
"Bisogna avere anche la capacità di progettare un piano b all'inizio perché nessun progetto darà un reddito già i primi anni. Un'azienda agricola prima di 10 anni non si stabilizza economicamente da un punto di vista di sostenibilità, se si è bravi ci vogliono 5-7 anni a fare un minimo di utile e a coprire una serie di costi.
Per esempio si deve valutare anche la possibilità di avere altri redditi perché in Italia rispetto ad altri paesi nel mondo c'è un altro mercato e non si guadagna così facilmente. Si può diversificare tanto andando a coltivare perenni e alberi che ci mettono anni ad entrare in produzione. A me invece aiutano molto la consulenza e i corsi che faccio".