C'è chi ne ha memoria e chi non lo conosce affatto. Il carrubo (Ceratonia siliqua) è un albero da frutto sempreverde appartenente alla famiglia delle leguminose, un grande tesoro per il bacino del Mediterraneo dove è originario.

 

Il frutto, chiamato carruba, è un baccello con la loro polpa zuccherina che veniva dato ai bambini in passato come sostituto del cacao e soprannominato per questo "cioccolato dei poveri". Oggi invece i semi sono utilizzati per l'alimentazione umana sotto forma di additivo di numerosi prodotti industriali, mentre la polpa è usata come mangime per gli animale.

 

Il carrubo è senza dubbio una pianta che va rivalorizzata per ridare dignità a tutti quegli alberi secolari che nel Sud Italia, come in Sicilia e in Puglia, rappresentano un patrimonio paesaggistico e culturale di cui ha senso parlare soprattutto adesso, vista la persistente siccità che sta colpendo il Sud della penisola.

 

Il carrubo ha il vantaggio di riuscire a sopravvivere anche a lunghi periodi con ridotte disponibilità idriche. Ciò non vuol dire che non gli serva acqua per produrre, anzi, come tutte le colture se avesse dell'acqua produrrebbe di più, ma almeno è una pianta molto resistente; in questi casi la resa può calare perché il frutto pesa di meno ma la pianta resta comunque produttiva.

 

Inoltre, non ha bisogno di tante cure perché è una pianta estremamente rustica. Gli alberi sono utili anche come frangivento e imboschimento: la loro chioma è molto espansa e può raggiungere anche i 10 metri di altezza; il bestiame può brucare sulle foglie e il legno è adatto come combustibile. I legumi, non meno importanti, sono particolarmente salutari con un modesto contenuto di fibre e ridotto quantitativo di grassi e zuccheri, inoltre non contengono né caffeina né glutine.

 

Circa 200mila ettari a livello mondiale sono dedicati alla coltivazione del carrubo, di cui 148mila solo in Europa tra Spagna, Italia, Portogallo e Grecia, che rappresentano circa il 70% della produzione mondiale. In Italia la produzione si è dimezzata tra il 1955 e il 1995 facendo perdere valore alla coltura.

 

AgroNotizie® ha intervistato Luca Iozzia, agricoltore siciliano che, partendo dalla storia di suo nonno che coltivava carrube per la produzione di alcol, ci racconta la sua idea per rivalorizzare questa coltura dai mille usi.

 

L'azienda Le Chiuse di Guadagna

Luca Iozzia e sua sorella hanno ereditato 5 ettari di carrubeto in Sicilia, nella zona tra Modica e Scicli (in provincia di Ragusa). Proprio qui, un tempo, suo nonno vendeva le carrube per farci l'alcol: "C'era un vero e proprio sistema semi industriale, dai primi del '900 fino agli anni '50, attraverso il quale tutte le carrube venivano vendute e raccolte in magazzini di stoccaggio che pagavano i contadini. Ce n'erano diversi di magazzini, in particolare i più grossi erano a Modica e a Rosolini. Quello di Rosolini era addirittura collegato ad una ferrovia, per cui caricavano i treni di carrube e le portavano allo stabilimento di Pozzallo, dove venivano lavorate attraverso la fermentazione della polpa per ottenere alcol disinfettante.

 

Questo è il valore storico che aveva il carrubo. C'era un'industria che dava reddito a circa 400 persone tra operai e rispettive famiglie".

 

L'importanza del carrubo è diminuita quando sono nate le prime industrie per la sintesi dell'alcol; lo stabilimento di Pozzallo è stato chiuso e i carrubeti hanno cominciato ad essere abbandonati o destinati solo alla produzione di mangime per animali. La situazione è però cambiata circa 20 anni fa quando ha cominciato ad essere venduto il seme.


"È stato un declino, tant'è che 15 anni fa, quando sono tornato in Sicilia, si diceva che i carrubi erano da togliere perché nessuno li curava e non c’era un vantaggio economico nella loro coltivazione.


Per questo voglio rivalorizzarlo. In realtà è una pianta estremamente vantaggiosa perché non ci devi fare quasi niente, non va irrigata e non ci vogliono molte cure. Ora, per esempio, nonostante la siccità di quest'anno abbiamo gli alberi carichi! È strano ma è questo che succede quando hai una pianta così autoctona e così adattata a questi climi".


Caratteristiche del carrubo e tecniche colturali

Anche se può sembrare una ripetizione, è importante ribadirlo: la caratteristica principale del carrubo è la sua rusticità, infatti, non ha bisogno di molte cure colturali e cresce bene in terreni aridi e poveri, anche con molto calcare e sassi. Ciò che non sopporta sono le gelate, le temperature sotto i 2 gradi e i ristagni idrici.

 

Le piante coltivate sono prevalentemente dioiche cioè piante con soli fiori maschili e altre con soli fiori femminili, sono sempre verdi e possono avere contemporaneamente sia fiori, che frutti e foglie perché la maturazione dei frutti è molto lunga. Infatti, se la fioritura avviene a fine estate, la maturazione dei frutti si completa tra agosto e ottobre dell'anno successivo alla fioritura. L'impollinazione può avvenire sia tramite il vento (anemofila) che grazie agli insetti, infatti il carrubo è molto frequentati dalle api.

 

Oltre ad avere un apparato radicale molto sviluppato, il carrubo possiede altre caratteristiche morfologiche che gli consentono di resistere a fenomeni di siccità estremi. Il carrubo può mantenere gli stomi aperti e un alto contenuto di acqua nelle foglie anche in condizioni di scarsa disponibilità idrica del suolo e può sintetizzare della cera fogliare, soprattutto durante lo stress, riducendo la permeabilità cuticolare e proteggendo così la pianta dall'eccessiva traspirazione.

 

Il carrubo è improduttivo per i primi 10 anni di vita, dopo di che la pianta comincia a produrre gradualmente sempre di più e può raggiungere anche i 200 chili di produzione. È una pianta pluricentenaria che a 50 anni è ancora giovane e a 100, se in buone condizioni, può ancora produrre molto.

 

Per quanto riguarda le varietà coltivate, la propagazione agamica, tramite innesto di marze su portinnesti da seme o su piante spontanee, ha diffuso le cultivar selezionate. In passato, la selezione si basava sulla quantità di polpa del frutto, ma negli ultimi 20 anni il seme è diventato la componente economicamente più importante, rendendo obsolete molte vecchie cultivar.

 

Paese Regione Cultivar
Italia Sicilia Latinissima, Racemosa, Pasta, Ibla, Saccarata, Falcata, Targia, Ermafrodita Tantillo, Ermafrodita Sangimignana, F Sortino
  Puglia Amele di Bari, Cavallato, Schiovinesca, Triggianese
Spagna Catalogna Negra, Banya Mulata, Galhosa
  Murcia Mollar, Mollar Er Mirador, Mollar Los Brianes, Imidia d-2, Chaparrita, Aguilucho, Carascoy
Portogallo Algarve Canela, Aida de Cabra, Rojal, Gallì, Costela Canela, Galhosa, Mulata
Marocco Marrakech e Agadir Piante allo stato selvatico
Grecia Creta Hemere
Cipro   Tylliria, Koundrourka, Koumbousta
Tunisia   Sfax e piante selvatiche

(Fonte: Tous et al. 2013)

 

Le cultivar siciliane che hanno una maggiore resa in seme sono la Pasta (11,3%), la Ibla (16,6%) e la Latinissima (10,1%).

 

A livello di impianto colturale, tradizionalmente i carrubeti mediterranei hanno densità basse (25-50 alberi per ettaro) con sesti di 15x15 o 20x20 metri e spesso sono consociati con mandorlo, olivo o altre specie. Nei carrubeti moderni le densità variano tra 100 e 155 alberi per ettaro con sesti di 10x10 metri o 8x8 metri.

 

Non è richiesta molta gestione della coltivazione, per esempio non c'è bisogno di somministrare acqua quindi i carrubeti sono tutti gestiti in aridocoltura. Sono necessarie solo potature leggere e lavorazioni occasionali per ridurre le erbe infestanti.

 

La potatura ideale è all'inizio dell'autunno, rimuovendo rami spessi 5-7 centimetri e lunghi meno di 30 centimetri, e quelli morti o indesiderati. La forma dell'albero dovrebbe essere a vaso aperto o sferico. "Il principio di base per la potatura del carrubo è l'equilibrio della chioma", ci spiega Luca Iozzia "perché il tronco tende a svuotarsi e in annate cariche e giornate di vento i rami si possono spezzare. Non ci sono delle vere e proprie regole, è più un'opinione personale ma non credo nelle potature importanti perché poi la pianta ci mette un po' a riprendersi".

 

Difesa e malattie del carrubo

Lo stesso discorso vale anche per le malattie della pianta, essendo una pianta molto rustica non ha bisogno di un controllo convenzionale. La maggior parte delle infestazioni, infatti, possono essere gestite attraverso pratiche agronomiche adeguate, come la potatura, l'irrigazione controllata e, quando necessario, l'uso mirato di insetticidi.

 

Tra le malattie più importanti si ricordano l'oidio del carrubo causato da Oidium ceratoniae, il marciume del legno causato da vari basidiomiceti della famiglia Polyporaceae e la ruggine del carrubo provocata da Phyllosticta ceratoniae.

 

Tra gli insetti dannosi invece si ricorda il coleottero Xylosandrus compactus, originario dell'Asia e introdotto in Sicilia nel 2011. Le sue larve scavano gallerie nel legno, compromettendo la struttura della pianta e facilitando l'insediamento di funghi simbionti dannosi come Ambrosiella xylebori e Fusarium solani.

 

"Per esperienza personale posso dire che c'è stato un po' di allarmismo quando è arrivato questo coleottero perché effettivamente aveva un impatto sulle piante", ci racconta Luca Iozzia "Di solito è difficile vedere un carrubo morto o secco ma in quegli anni effettivamente si vedevano (2018-2019). Si potevano vedere i rami spogli e questa specie di canale dentro il tronco. Il carrubo è fruttifero nei rami di secondo anno e proprio questo insetto si andava ad annidare nei rami di primo e secondo anno e quindi andava a distruggere il raccolto.

 

Oggi se andiamo nei campi l'insetto c'è, si nota sugli alberi però questi non soffrono più come prima. Si era pensato di trovare delle sostanze attive contro il coleottero ma non c'è stato nemmeno il tempo di finire l'iter per un eventuale prodotto fitosanitario che la pianta si era adattata. Quello che è stato fatto ha riguardato soltanto la potatura e la bruciatura dei rami per evitare la riproduzione dell'insetto.

 

Secondo me c'è stato un po' di panico all’epoca e si fecero delle potature folli ma il carrubo soffre quando lo poti pesantemente perché ci mette anni a rifare la sua chioma. Si aveva paura che succedesse la stessa cosa che stava succedendo con gli olivi in Puglia. Ma di fatto ad oggi non è più un problema".


Cosa si produce e come valorizzarlo?

Dalla coltivazione del carrubo oggi si ottengono principalmente la farina di semi e la farina del baccello. La prima viene sfruttata molto bene in ambito industriale principalmente come prodotto addensante naturale perché è composta da un'altissima quantità di carrubina, che ha la capacità di assorbire acqua in quantità pari a 100 volte il suo peso. Viene utilizzata per la produzione di gelati, zuppe, salse, carne in scatola, dolciumi, prodotti da forno e alimenti per animali domestici.


I baccelli maturi possono essere mangiati così come sono e  si conservano per molto tempo. La loro farina viene principalmente utilizzata come mangime per gli animali ma potrebbe avere numerosi altri usi soprattutto nel contesto dell'alimentazione umana.


"La farina che si ottiene dalla polpa in questo momento non ha un mercato reale ed è questo l'obiettivo della nostra azienda, fare un laboratorio di sperimentazione e trasformazione del carrubo per valorizzare il prodotto ottenuto dalla polpa e abbinarlo il più possibile con dei menù" racconta Luca.


"Il progetto nasce da una mia ricerca personale. Ho scoperto che il carrubo ha una tradizione in tutta l'area del Mediterraneo e Medio Oriente dove lo utilizzano abbinandolo a vari altri alimenti a colazione. Quindi mi sono interessato a capire se c'era una tradizione da parte nostra e ho intervistato le nonne scoprendo delle cose un po' dimenticate.

 

Noi adesso stiamo lavorando sulla ricetta di 2 creme spalmabili fatte con solo 2 ingredienti: carrubo e mandorlo, e carrubo e sesamo senza conservanti e vegane. Stiamo cercando di stabilizzare la ricetta perché questi elementi tendono a separarsi, cambiando il sapore della crema. Da dicembre 2023 abbiamo una piccola produzione che vendiamo ad alcuni clienti oltre agli ospiti del nostro agriturismo".

 

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La crema spalmabile prodotta nell'azienda Le Chiuse di Guadagna

(Fonte: Luca Iozzia)


Eppure, non tutti sanno cos'è la carruba, come viene presentata agli eventuali clienti? "Il carrubo ha una memoria, nel senso che se parli con qualcuno che ha più di 50-60 anni e ha passato l'infanzia nel dopoguerra si ricorda del carrubo perché è stato il sostituto del cioccolato. Quindi molto spesso è come se ci fosse una conoscenza sotterranea e non si parte completamente da zero. 


Dopo c'è anche il lato enogastronomico e turistico. Il fatto che per alcuni sia poco conosciuto lega il carrubo alla scoperta e si può parlare, per esempio, di turismo esperienziale. In questo caso si tratta della la scoperta di qualcosa che esiste da tantissimo tempo e che ha diritto ad una nuova vita".


Un altro prodotto legato alla coltivazione del carrubo, su cui Luca vuole lavorare, è il fungo del carrubo, Laetiporus sulphureus. "Subito dopo l'estate, quando ci sono le prime piogge, arriva questo parassita del carrubo che è un fungo commestibile, previa cottura.


Purtroppo non è coltivabile, almeno per ora, perché da solo non può crescere ed è in sinergia non solo con il carrubo ma anche con tutte le altre condizioni ambientali. Qualcuno ci prova ma bisogna sapere dov'è il carrubo giusto. Se si riuscisse a far crescere diventerebbe, forse, il prodotto più enogastronomica legato alla coltivazione del carrubo. Si cucina in zuppa e qualcuno ci fa anche la pizza".


Punti di forza e punti di debolezza del carrubo: una coltura sostenibile

Il carrubo potrebbe essere considerata un'arma contro i cambiamenti climatici: resiste alla siccità e la sua rusticità lo rende una specie facilmente adattabile e resiliente. Inoltre non ha bisogno di molti input e per questo è vantaggiosa sia da un punto di vista ambientale che economico.

 

Il carrubo potrebbe anche essere coltivato in associazione con altre piante in una visione agroecologica e di agroforestazione. Per esempio, si può abbinare a colture come il grano, i legumi e ad altri alberi come il mandorlo, l'olivo o la vite, altre piante aridoresistenti per eccellenza.

Leggi anche: Olivo, quando aridocoltura vuol dire resilienza

Inoltre, grazie alla sua chioma molto espansa può fare sia da ombra che fornire foraggio agli animali al pascolo.


Per non parlare del frutto che ha delle caratteristiche uniche: "Intanto è frutta secca e si conserva molto bene, ha le caratteristiche di un super food: la carruba è ricca di proteine e ha anche un basso indice glicemico quindi può essere usata anche in diete speciali".


I limiti legati alla sua coltivazione riguardano principalmente la situazione del mercato e dei prezzi. Questi ultimi, infatti, tendono ad essere ciclici con lunghi divari e picchi elevati. Ciò rende il mercato instabile e produce un effetto negativo sulla domanda. Luca ci racconta la sua esperienza: "La situazione dei prezzi è un mistero perché ci sono delle oscillazioni pazzesche. Quando ho iniziato con l'azienda, il prezzo delle carrube era intorno ai 25-30 centesimi al chilo, subito dopo c'è stato un anno in cui il prezzo è salito a 2-3 euro al chilo (2-3 anni fa) e l'anno scorso è sceso di nuovo a 50 centesimi. Non so davvero spiegarti il perché".

 

Storia e curiosità sul carrubo

Sì, il carrubo è originario del bacino del Mediterraneo ma quando ha cominciato ad essere coltivato ed è comparso per la prima volta in Italia? Per la sua introduzione nel Sud Italia bisogna ringraziare principalmente i greci che iniziarono a coltivarlo circa 4mila anni fa; ma la massima diffusione della coltivazione del carrubo è dovuta agli arabi che lo portarono anche nel Nord Africa e in Spagna.

 

Oggi il carrubo è arrivato anche oltreoceano ed è stato introdotti in alcune zone calde del pianeta come l'Australia, il Cile, il Messico e la California.


Inorno al nome ruotano mille e una storia. Quello latino, Ceratonia siliqua, in parte deriva dal greco: kèras vuol dire corno e in questo caso si allude alla forma del baccello, invece la siliqua viene dal latino e rappresenta il frutto a baccello tipico delle piante leguminose.

 

In Italia, comunemente, si chiama carrubo e deriva dalla parola araba charub che significa carato. A raccontarci la storia di questo nome ci ha pensato Luca Iozzia: "Ciò che c'è dietro è tra lo storico e il narrato. Se si prendono mille semi di carrubo statisticamente avranno un peso simile e questa caratteristica veniva sfruttata per il commercio delle merci dal Nord Africa alla Sicilia. Il sistema funzionava così: chi vendeva un bene prezioso lo dava ad un trasportatore, quindi alla nave, e glielo vendeva. Il trasportatore per assicurarsi del valore di questo oggetto prezioso usava i semi del carrubo. Poi, a sua volta, il trasportatore lo rivendeva quando arrivava dall'altra parte ed era come una specie di assicurazione nel caso in cui, per esempio, il mezzo affondava. Da lì nasce un po' la storia del carato come unità di misura di beni preziosi".

 

Infine, nel Nord Europa è meglio conosciuto come pane di San Giovanni (St. John's-bread in inglese e Johannisbrotbaum in tedesco) da San Giovanni Battista che, si dice, si sia nutrito di carrube durante il suo periodo di vita nel deserto.

 

Anche a livello botanico ci sono delle curiosità. Il carrubo è dotato di caulifloria cioè la capacità di fiorire sulle parti (o rami) più vecchie e legnose del fusto (o delle branche), invece che sulle parti più giovani della chioma come succede comunemente.

 

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Fenomeno della caulifloria su carrubo

(Fonte: © Megan Marie Weaver - Adobe Stock)