Nel mercato globale il grano è trattato come una commodity, ovvero un prodotto indistinto, il cui prezzo è determinato da dinamiche internazionali e talvolta speculative, su cui l'agricoltore non ha alcun controllo. Appiattendo le differenze tra le diverse tipologie di prodotto, il mercato delle commodity penalizza gli agricoltori che offrono produzioni di qualità e sostenibili, costretti a vendere a prezzi bassi senza possibilità di valorizzare il proprio lavoro.
È in questo contesto che nasce VIVA La Farina, un progetto che punta a trasformare il grano da semplice commodity a prodotto distintivo, caratterizzato da qualità superiore, sostenibilità e filiera corta. "Il progetto non si limita alla produzione di farine macinate a pietra, ma include pratiche agricole mirate alla riduzione dell'impronta carbonica", ci racconta Andrea Badino, fondatore di VIVA La Farina. "Grazie all'uso di tecnologie di agricoltura di precisione, VIVA La Farina è riuscita a ridurre le emissioni di CO2 a 0,116 chilogrammi per ogni chilogrammo di grano prodotto, contro una media nazionale di 0,320 chilogrammi".
Come nasce VIVA La Farina?
"Io e mio fratello gestiamo un'azienda di stoccaggio di cereali e mangimi e abbiamo sempre sentito gli agricoltori lamentarsi dei prezzi troppo bassi. Abbiamo pensato: perché non provare a creare una filiera che dia maggiore valore al prodotto? Così nel 2017 abbiamo costituito Viva Srl, insieme ad altri soci, e abbiamo iniziato a lavorare con alcuni agricoltori che producevano grano. Poi abbiamo ampliato la gamma con segale, farro, mais e grano duro".
Quali sono le tecniche agronomiche che utilizzate per abbassare l'impronta carbonica?
"Uno degli interventi più efficaci è stata la riduzione dell'uso di fertilizzanti azotati. Tradizionalmente, nei nostri areali la produttività è di circa 60-70 quintali di granella ad ettaro, anche se molto dipende dall'andamento meteo, e si applicano circa 250-300 unità di azoto per ettaro. Oltre ad una fertilizzazione modesta in semina, si effettuano due concimazioni di copertura, ad accestimento e in levata. Rispetto allo standard, noi siamo riusciti a scendere ad una sola applicazione, con una dose di appena 70-80 chilogrammi di azoto".
Il team di VIVA La Farina
(Fonte foto: VIVA La Farina)
Con produzioni invariate?
"Esatto. Ci siamo accorti che spesso alle piante viene fornito molto più azoto di quello che realmente necessitano. Così abbiamo pensato di ridurre le dosi e di applicare i fertilizzanti nei momenti più critici. Questo ha permesso di mantenere le stesse rese produttive riducendo però l'impatto ambientale, visto che per produrre i concimi azotati si consuma molta energia e si hanno anche importanti emissioni in atmosfera di CO2 dopo l'applicazione in campo".
Ci sono altre pratiche?
"Adottiamo la rotazione delle colture, spesso con il mais, per migliorare la fertilità del suolo e ridurre l'impiego di diserbanti. Stiamo anche cercando di limitare le lavorazioni profonde del terreno, perché sappiamo che arature troppo intense aumentano le emissioni di CO2 dal suolo. In futuro vogliamo sperimentare anche le cover crop, ovvero colture di copertura che aiutano a sequestrare carbonio e migliorano la struttura del terreno".
Quante aziende agricole fanno parte della filiera VIVA La Farina?
"Attualmente siamo diciannove aziende agricole, che coltivano circa 120 ettari di grano e altri cereali, come ad esempio mais, segale e farro. Ogni anno cerchiamo di coinvolgere nuove aziende, ma vogliamo che tutti rispettino il nostro disciplinare di produzione".
Quali sono le condizioni per entrare nella vostra filiera?
"Chiediamo che gli agricoltori, quando possibile, utilizzino letame invece di fertilizzanti di sintesi, che rispettino le indicazioni sull'uso dell'azoto e, possibilmente, adottino tecniche di agricoltura di precisione. Non tutti hanno ancora strumenti avanzati, ma cerchiamo di supportarli fornendo mappe di prescrizione per ottimizzare le concimazioni".
L'agronomo Federico Pasqualini, consulente di VIVA La Farina, utilizza la piattaforma Agricolus®
(Fonte foto: VIVA La Farina)
Come valorizzate la vostra farina rispetto a quelle industriali?
"La nostra farina è macinata a pietra, questo permette di conservare meglio le qualità nutrizionali del grano. Inoltre abbiamo un ampio catalogo di referenze: farina per pane, per pizza, per dolci, oltre a segale, farro, grano duro e mais".
Quali sono le differenze di prezzo con i prodotti standard?
"A differenza delle farine industriali, che si trovano a 0,90 euro al chilogrammo, la nostra costa 2,50 euro al chilogrammo. Il prezzo è più alto perché dietro c'è una filiera controllata, agricoltori pagati il giusto e una produzione più sostenibile. Per questo motivo non siamo presenti nei supermercati, preferiamo vendere a pizzerie, panifici e pasticcerie artigianali, dove possiamo spiegare il valore del nostro prodotto".
Quando avete iniziato a lavorare sul concetto di carbon farming?
"Abbiamo iniziato circa due anni fa, sentendo parlare sempre più spesso di agricoltura rigenerativa e riduzione dell'impronta carbonica. Abbiamo pensato che, essendo già noi bravi a ridurre l'uso dell'azoto, che ha un'impronta carbonica importante, avremmo potuto adottare tecniche innovative per ridurre le emissioni di CO2 e sequestrarla nei terreni".
A che punto siete oggi?
"Grazie al consulente Federico Pasqualini e alla piattaforma Agricolus® stiamo facendo la mappatura dei terreni per individuare quelle aree che sono più adatte alle pratiche di carbon farming. Il nostro obiettivo è diventare carbon neutral, compensando tutte le emissioni. E se gli agricoltori riescono a generare crediti in eccesso, potrebbero anche venderli, creando un'ulteriore fonte di reddito".
I consumatori sono sensibili alla riduzione dell'impronta carbonica?
"Purtroppo oggi la consapevolezza è ancora bassa. Molti consumatori guardano solo il prezzo, senza considerare l'impatto ambientale del prodotto. Tuttavia, chi lavora nel settore, come pizzaioli e panettieri, sta iniziando a capire l'importanza di farine più sostenibili".
Quali sono i prossimi passi per VIVA La Farina?
"Vogliamo proseguire sulla strada del carbon farming, certificando i sequestri di carbonio. Inoltre intendiamo ampliare la rete di agricoltori, migliorare ulteriormente la sostenibilità della filiera e lavorare sempre di più sulla comunicazione. Il nostro obiettivo è dimostrare che produrre grano in modo sostenibile è possibile, senza compromettere la qualità o la redditività per gli agricoltori".