L'agricoltura rigenerativa sta ricevendo sempre più attenzione da parte di produttori, rivenditori, ricercatori e consumatori, nonché da parte di politici e media. Non c'è da spaventarsi: non si tratta di qualcosa di nuovo da dover imparare da zero. Anzi, molte delle pratiche rigenerative come le colture di copertura e il compostaggio fanno parte della gestione dell'azienda agricola da generazioni con l'obiettivo finale di aumentare la sostanza organica nel suolo.

 

Il termine agricoltura rigenerativa è nato negli anni '80 grazie al Rodale Institute, un istituto di ricerca senza scopo di lucro, per descrivere un tipo di agricoltura biologica che non solo preserva le risorse naturali, ma le migliora anche.

 

Ad oggi non esiste una definizione legale o normativa del termine "agricoltura rigenerativa". Viene descritta come un insieme di principi e pratiche agricole e agroecologiche che hanno l'obiettivo di aumentare la biodiversità, arricchire i suoli, migliorare i bacini idrografici e migliorare i servizi ecosistemici (Terra Genesis International, 2020). Una strategia di agricoltura alternativa che ha il potenziale per sequestrare carbonio, ridurre l'inquinamento e mitigare il cambiamento climatico. Ovviamente tutto questo non può essere fatto solo dall'agricoltore: l'agricoltura rigenerativa implica che ci sia un cambiamento anche della dimensione sociale ed economica della produzione agroalimentare, quindi anche da parte del consumatore e delle istituzioni.

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Proprio perché in grado di rispondere alle moderne sfide del mondo agricolo, l'agricoltura rigenerativa interessa il settore pubblico, privato e no profit. A livello pubblico si dà risalto al fatto che possa contribuire ai piani d'azione per il clima: l'Ipcc, il Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico, in un rapporto del 2019 cita l'agricoltura rigenerativa come pratica efficace nell'aumentare la resilienza degli agroecosistemi.

 

Nel mondo esistono già certificazioni per l'agricoltura rigenerativa. Una di queste è stata istituita dalla Regenerative Organic Alliance, una collaborazione di agricoltori, aziende ed esperti che oltre alla salute del suolo, si focalizza sul benessere degli animali e sull'equità sociale.

 

Invece, proprio verso la fine del 2023 è nata Eara, l'Alleanza Europea per l'Agricoltura Rigenerativa. Si sono incontrati in 50 agricoltori, provenienti da 20 paesi europei, in Germania per definire vision, mission e principi di una alleanza che mira ad unire tutti gli agricoltori anche con diversi background e diversi tipi di aziende, per portare la loro voce a livello politico degli stati membri. Dall'incontro è nato un documento sulla visione di Eara: "Insieme per ecosistemi agroalimentari rigenerativi".

 

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Eara, l'Alleanza Europea per l'Agricoltura Rigenerativa

(Fonte: Eara - Filmkrug - Nina Reichmann)

 

In questo articolo parliamo di agricoltura rigenerativa facendo riferimento al libro di Matteo Mancini "Agricoltura organica e rigenerativa" e all'intervista fatta a Matteo Mazzola dell'azienda agricola Iside, perito agrario e consulente tecnico di agricoltura rigenerativa e sistemi agroecologici integrati.

 

Perché partire dal suolo?

Il 30 novembre 2023 a Roma, Re Soil Foundation, la Fondazione per la Tutela del Suolo, ha presentato il rapporto "La Salute del suolo italiano ai tempi della crisi climatica". È emerso che il 65% dei suoli europei non è in salute e non è in grado di fornire adeguatamente servizi ecosistemici. In Italia la percentuale è del 47% e tra i problemi principali c'è l'erosione dovuta soprattutto alla scarsa copertura vegetale; erosione che a sua volta causa l'emissione di CO2 in atmosfera, contribuendo al cambiamento climatico, e la perdita di carbonio dal suolo che in alcune zone d'Italia raggiunge valori anche al di sotto dell'1%.

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Durante la presentazione del rapporto è stato evidenziato che è necessario aumentare l'accumulo di carbonio organico nel suolo, ed è qui che entra in gioco la "rigenerazione" che significa ricondizionare un terreno portandolo a uno stato migliore.

 

Le pratiche di agricoltura rigenerativa

"In Italia i primi corsi sull'agricoltura rigenerativa sono partiti negli anni 2000 con formatori che erano individui pionieri in determinati ambiti agroecologici. Progressivamente, con l'unirsi di varie pratiche e principi connessi alla rigenerazione ambientale, al sequestro di carbonio, al controllo dell'erosione e della desertificazione, è andata via via componendosi la cassetta degli attrezzi dell'agricoltura rigenerativa e dell'allevamento rigenerativo", racconta Matteo Mazzola.

 

Prima di addentrarci nelle pratiche che fanno parte dell'agricoltura rigenerativa va precisato che questo tipo di agricoltura non descrive semplicemente cosa "non fare", ha una veste meno prescrittiva e più descrittiva e si basa principalmente sui risultati. Come spiega il tecnico: "Il rigenerativo è un bilancio nell'arco del breve, del medio e del lungo termine che deve puntare ad un miglioramento generale dell'incremento del profilo nutraceutico dei prodotti, della diminuzione dei composti chimici o organici dannosi per l'ambiente e ovviamente un incremento dei servizi ecosistemici".

 

Inoltre, non esiste un approccio universale. Queste pratiche devono essere adattate ad ogni singola azienda, al singolo contesto climatico, ambientale, economico e sociale: "L'agricoltore deve avere un legame con la sua terra, conoscerla per poter fare delle scelte che non fanno parte di un disciplinare ma sono e devono essere contesto specifiche".

 

Ad ogni modo, le pratiche si basano principalmente su alcuni principi come la riduzione al minimo del disturbo del suolo, il mantenimento del suolo coperto, l'aumento della biodiversità e l'integrazione degli animali. A queste pratiche si possono incorporare sistemi agroforestali capaci di contribuire al raggiungimento degli obiettivi dell'agricoltura rigenerativa.

 

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Sistema agroforestale e orto dell'azienda Iside

(Fonte: Merel Gerritse)

 

Minima lavorazione

Le lavorazioni del terreno in agricoltura rigenerativa, non è che non ci siano ma si cerca di ridurle al minimo indispensabile. Smuovere meno terreno possibile riduce le perdite di sostanza organica e la dispersione del carbonio, i pori e gli aggregati formati dai processi biologici rimangono stabili e si risparmia sulla manodopera e sul carburante.

 

Matteo Mazzola ci parla di uno degli attrezzi da lui più usato in orticoltura biointensiva per lavorare il terreno: "Io così come parlo di genetica vegetale e animale parlo di genetica della meccanizzazione per cui trasformo le attrezzature in estensioni di funzioni del paesaggio. Ho cominciato a costruirmi le bioforche anni fa, prendendo ispirazione dalla grelinette francese. Questa non mi piaceva perché si spaccava e non era abbastanza ergonomica. Quindi ho cominciato a produrre una bioforca che fosse pensata per agricoltori che possiedono fino ad 1 ettaro di ortaggi. Si trattava di un attrezzo che doveva essere snello e veloce e ho fatto calcoli anche sull'efficienza e la velocità di lavorazione del suolo; doveva avere denti intercambiabili visto che con il tempo si consumano o si stortano. Infatti, i denti della nostra bioforca possono essere sostituiti progressivamente alla rigenerazione del suolo e man mano si aumenta la loro lunghezza

 

Nella progressione verso una scalabilità a sistemi su maggiori superfici, la bioforca viene sostituita da attrezzature come subsoilers, ripuntatori Michel o comunque organi di lavoro che minimizzino il rimescolamento degli strati del suolo e la distruzione degli aggregati. L'obiettivo rimane comunque di far lavorare le radici di colture e cover crops ed adottare la meccanizzazione solo per apportare l'ossigeno necessario ai processi di decomposizione e per rompere le suole di lavorazione più tenaci. Nel nostro caso in particolare utilizziamo un ripuntatore Yeomans".

 

La grelinette o bioforca serve per arieggiare il terreno senza rivoltare le zolle. È costituita da 2 manici e in genere da 5 denti che vengono conficcati nel terreno in profondità.

 

Guarda il video dell'azienda Iside sulla bioforca


Un terreno coperto: cover crop e pacciamatura

Lasciare un terreno nudo velocizza i fenomeni di ossidazione e degradazione della sostanza organica e in più aumenta il rischio di erosione e lisciviazione di acqua ed elementi nutritivi. Per questo sono importanti le colture di copertura: colture che non vengono raccolte ma restano in campo per arricchire e proteggere il suolo. In più, la loro presenza è sinonimo di biodiversità che stimola la crescita dei microrganismi del suolo, funge da riparo per insetti predatori e utili e da competizione per le erbe infestanti.

 

Le colture di copertura possono essere seminate in qualsiasi periodo dell'anno su terreno concimato qualche settimana prima e se c'è la possibilità possono essere irrigate nei momenti più importanti del loro ciclo aiutandole a sviluppare tutto il loro potenziale.

 

Come colture di copertura si possono usare specie erbacee annuali o perenni, sia singole oppure in miscugli di specie: le famiglie più importanti sono le graminacee perché apportano tanta biomassa e quindi carbonio, le leguminose perché fissano l'azoto atmosferico al suolo e le brassicacee che lavorano con le loro radici decompattando i terreni pesanti e molte possono avere potere biocida.

 

In primavera poi questo inerbimento può essere lavorato applicando il sovescio o la pacciamatura. Nel primo caso le colture di copertura vengono sfalciate e interrate nel terreno, in questo modo si migliora la capacità del terreno di trattenere l'acqua e vengono rilasciati nutrienti preziosi. Allo stesso tempo però, con questa tecnica si rischia di perdere parte del carbonio accumulato nelle radici o nei tessuti della pianta quando queste vengono frantumate e rivoltate con la zolla oppure si perde tutto il lavoro meccanico svolto dalle radici.

 

La pacciamatura invece non prevede l'interramento e può essere svolta in 2 modalità: sfalciando le colture e distribuendo la biomassa sul terreno per trattenere l'umidità e controllare le infestanti oppure schiacciando le colture al suolo, permettendo alla biomassa delle radici di restare ancorata al terreno per degradarsi lentamente.

 

Per questa pratica è stato sviluppato un rullo costipatore detto roller crimper che opera allettando le colture che una volta seccatesi mantengono il suolo fresco, protetto da forti piogge e dai raggi del sole, contengono lo sviluppo delle infestanti e migliorano la struttura del suolo grazie al lavoro meccanico delle radici.

 

Rotazione delle colture, policoltura e aumento della biodiversità

Le pratiche agricole convenzionali tendono a semplificare gli agroecosistemi piuttosto che ad incentivarne la biodiversità funzionale. Questa permette di regolare le funzioni degli ecosistemi riducendo la necessità di ricorrere ad input esterni.

 

Le pratiche agricole rigenerative, come le colture di copertura ma soprattutto le policolture e le rotazioni possono aumentare la diversità complessiva delle specie riducendo le popolazioni di parassiti.

 

È per questo che anche l'agroforestazione è una pratica agroecologia e rigenerativa. Consiste nella coltivazione multipla di specie arboree e/o arbustive perenni (da legno, da frutto o altro prodotto) e di seminativi e/o pascoli nella stessa unità di superficie, con la possibilità, anche, di aggiungere degli animali (silvopascolo o pascolo arborato).

 

Oltre a benefici dal punto di vista ambientale, queste pratiche possono diversificare i raccolti e quindi garantire più profitti nell'arco dell'anno.

 

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Sistema agroforestale dell'azienda Iside

(Fonte: Leon Schleep)

 

Zootecnia rigenerativa

Anche integrare il bestiame può migliorare la salute del suolo e diversificare il flusso di reddito: "Diciamo che il pascolo, purtroppo, viene ancora considerato troppo poco rispetto al discorso puramente agricolo. In ambito zootecnico ci sono circa 12 metodi riconosciuti di pascolamento rigenerativo e di gestione di animali in maniera rigenerativa. Ognuno di questi metodi è nato in funzione del singolo contesto e ha permesso così di sviluppare un certo tipo di metodologia di gestione degli animali sul pascolo: come questi vengono mossi, come vengono fatte le successioni delle varie specie all'interno del sistema e come il sistema si deve evolvere nel tempo per potenziarsi", spiega Matteo Mazzola.

 

In agricoltura rigenerativa il pascolo deve essere ricco di specie foraggere differenti. Ciò serve per garantire il massimo apporto di energia, proteine e fibra agli animali. Inoltre si predilige un pascolo ad alto carico animale, a rotazione piuttosto che continuo e con diverse specie.

 

Per rendere il sistema efficiente vanno rispettati i tempi di recupero, evitando o che gli animali stazionino troppo tempo nello stesso recinto o che vi ritornino troppo rapidamente.

 

In più, grazie anche al discorso dell'agroforestazione e ai sistemi agro silvo pastorali, il foraggio può essere integrato con gli alberi, che acquistano anche la funzione di riparare gli animali dal sole. Le foglie sono ricche di energia e minerali e spesso sono altamente digeribili soprattutto ad inizio stagione: possono essere brucate liberamente, oppure si possono tagliare i rami freschi più bassi e portarli nel pascolo o ancora si possono tagliare i polloni, essiccare le foglie e integrarle alla razione invernale.

 

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Pecore e impianto silvo pastorale all'azienda Iside

(Fonte: azienda agricola Iside)

 

Gli input: controllo delle malattie e fertilizzazione

In agricoltura rigenerativa si cerca di pensare in maniera preventiva a soluzioni che permettano alle aziende di contenere i costi di produzione e ridurre la dipendenza dagli input esterni. Ma ovviamente questo non vuol dire che non possano essere utilizzati. Come detto all'inizio non esiste una lista di cose da non fare, per questo anche l'uso degli agrofarmaci di sintesi è accettato nel momento in cui si lavora per ridurne o eliminarne gradualmente l'uso.

 

Anche tutto il mondo delle soluzioni biologiche viene preso in considerazione: "Trovo molto interessante l'utilizzo di composti naturali prodotti dal mondo vegetale, fungino e batterico come i metaboliti secondari, i composti strutturali, gli acidi organici, gli oli essenziali, gli idrolati e le componenti volatili. Direi che c'è un mondo infinito da scoprire", afferma il tecnico, e si possono aggiungere anche tutti gli agenti di controllo biologico macro e microrganismi.

 

Anche per quanto riguarda la fertilizzazione vale la stesso principio di diminuire l'utilizzo di fertilizzanti di sintesi e incentivare l'uso di composti organici, biofertilizzanti e biostimolanti.

 

La concimazione organica prevede l'apporto di letame, compost e vermicompost preferibilmente da autoprodursi in azienda. Grazie all'elevato contenuto di sostanza organica, questi possono apportare una serie di vantaggi: migliorano la struttura del terreno, aumentano la capacità di ritenzione idrica, controllano le variazioni di pH, mantengono uniforme entro certi limiti la temperatura del terreno, incentivano lo sviluppo del microbiota del suolo, rilasciano acidi organici secreti dai microrganismi durante la decomposizione, cedono minerali in modo lento e costante, hanno una elevata capacità di scambio cationico e degradano le sostanze tossiche.

 

A questi composti si può aggiungere il carbone vegetale o biochar. Si tratta del residuo biologico ottenuto dal processo di pirolisi, una decomposizione termica di materiali organici in condizioni di assenza di ossigeno e a temperature elevate (400-750 °C). È in grado di assorbire e trattenere fino a 5 volte il suo peso in acqua e nutrienti. È in grado di assorbire e trattenere fino a 5 volte il suo peso in acqua e nutrienti.

 

Per arricchire ulteriormente i suoli e i compost di elementi minerali, molto interessanti sono le polveri di roccia che si ottengono come sottoprodotto dell'estrazione delle cave. Ce ne sono di diversi tipi e ognuno può possedere caratteristiche specifiche. I vantaggi principali però, riguardano l'incremento nel medio e nel lungo termine della fertilità inorganica del terreno, l'incremento della biomassa prodotta e della produttività delle piante, l'aumento della resilienza delle piante a stress biotici e abiotici ed in certi casi un grande potenziale di sequestro di carbonio indiretto attraverso il processo di carbonatazione.

 

I biofertilizzanti sono preparazioni contenenti microrganismi vivi (batteri, funghi, lieviti e protozoi), in grado di favorire l'incremento della fertilità del suolo. Tra questi i Pgpb (Plant growth promoting bacteria) possono aiutare le piante nell'acquisizione di sostanze nutritive oppure possono aumentare la loro resistenza agli attacchi degli agenti patogeni.

 

Sfide e rigenerazione sociale

Quanto è produttivo fare agricoltura rigenerativa?

"È difficile dirlo", spiega Matteo Mazzola, perché dipende dal grado di rigenerazione e da che cosa si considera produttivo. "Noi come azienda Iside, negli anni abbiamo raggiunto produzioni che hanno anche superato il convenzionale ma c'è anche tanto altro…", continua Matteo Mazzola.

 

Come accennato all'inizio, alla produttività vanno sommati i risultati a livello di benefici ambientali e sociali: "Infatti, per essere veramente rigenerativa, un'azienda deve considerare tutti gli attori del sistema agricolo, dal microbioma del suolo, agli animali e ai lavoratori, in maniera olistica".

 

"Non voglio vendere il sistema rigenerativo come l'alternativa al convenzionale produttivo. Ma è ovvio che se si incrementano tutta una serie di aspetti come la biodiversità e determinati aspetti connessi alla produttività, questa alla fine può migliorare". In più, lavorando contemporaneamente con più colture e animali, la produzione aziendale è diversificata, così anche se un'annata può essere meno produttiva per una specie, ci sarà l'altra a compensare il mancato reddito, oppure ci sarà la produzione di carne, di latte, di uova e così via.

 

È per questo che l'agricoltura rigenerativa sembra semplice ma in realtà è molto complessa e pretende che gli agricoltori tornino a studiare il suolo e le piante in maniera diversa anche attraverso l'uso delle moderne tecnologie: "L'agricoltore deve dimostrare che sta sequestrando del carbonio, che sta aumentando la biodiversità, che sta usando meno acqua o che sta aumentando la porosità e la permeabilità dei suoli. E tutto ciò va misurato con i giusti strumenti".

 

Quali ostacoli possono incontrare gli agricoltori a livello burocratico nel fare agricoltura rigenerativa?

"Potenzialmente molti - spiega Mazzola - Io, per esempio, in azienda ho un sistema agroforestale complesso dove ho animali che pascolano, quindi ho già 2 livelli produttivi (pecore e galline), sulla fila ho alberi da frutto e piccoli frutti, a destra e a sinistra delle fasce a frutta ho cespugli da foraggio e in certi punti anche delle erbacee. Ho una stratificazione multilivello che è un problema per il fascicolo aziendale. Per questa e altre ragioni non mi viene riconosciuto il lavoro che faccio a livello di benefici ecosistemici".

 

L'approccio rigenerativo vuole anche creare o rigenerare le reti di relazioni tra produttori e cittadini, in un contesto di filiera corta o cortissima. Si prediligono infatti mercati locali, gruppi di acquisto solidali (Gas) o comunità che supportano l'agricoltura (Csa), capaci di mettere in connessione diretta il consumatore con il produttore, fargli seguire l'evoluzione dell'azienda partecipando a visite aziendali e fargli vedere da dove provengono le verdure che mangeranno.

 

Non basta quindi agire in un certo modo in campo, va rigenerato anche l'approccio all'agricoltura e all'intero sistema alimentare. "L'agricoltura rigenerativa è una cosa che ci può permettere di creare delle basi per l'umanità del futuro, che ci può permettere di incrementare, attraverso una gestione del paesaggio completa e complessa, progressivamente la qualità dei prodotti che ci ritroviamo sulle tavole. Non dobbiamo soffermaci solo nel fare agricoltura per avere una maggior quantità di prodotti, dobbiamo puntare anche alla qualità".

 

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Schema dei principi dell'Eara nella gestione dell'agricoltura rigenerativa e delle loro interazioni simbiotiche con l'ecosistema agroalimentare

(Fonte: Eara)