Farmageddon, il libro scritto da Philip Lymbery, intende svegliare questa consapevolezza, senza dire quale sia la scelta giusta da fare in materia di alimentazione. L'autore parla della distruzione provocata dalle colture e dagli allevamenti intensivi: racconta la sua esperienza negli Stati Uniti e ricorda come, in California, la terra del latte e del miele, le api non esistano più, a causa dell'inquinamento, e tutto sia coperto da un tappeto di monocolture. Gli allevamenti intensivi per la produzione della carne causano sofferenza negli animali: sia polli che bovini e suini sono spesso bombardati di antibiotici per evitare l'insorgenza di malattie, con gravi conseguenze per la salute umana. E l'incontro che si è tenuto lo scorso sabato al Festival Internazionale di Ferrara dal titolo forse un po' fuorviante "La tavola verde - Vegetariani, vegani e carnivori: chi ha ragione?" ha messo in luce proprio questo aspetto: quali sono gli effetti di determinate scelte di alimentazione a livello di sostenibilità e sicurezza alimentare?
Sulla questione sono intervenuti Paolo Bruni presidente del Cso, Centro servizi ortofrutticoli, Marco Costantini del Wwf e Philip Lymbery di Compassion in world farming, moderati da Pietro Del Soldà di Rai-RAdio3.
Se Lymbery ha portato l'esempio dell'allevamento intensivo in California e degli effetti negativi che produce sull'ambiente, secondo Costantini in Italia la gente non è molto più consapevole rispetto agli americani. Se il primo pensiero dell'uomo primitivo era "Cosa mangerò oggi?" ora l'essere umano dovrebbe chiedersi invece: "Che tipo di cibo mangerò e come lo avrò?".
Bruni, che all'incontro rappresentava chi produce frutta e verdura, ha sottolineato: "Io difendo la dieta mediterranea. Non bisogna nemmeno esasperare il problema dall'altra parte: i progressi dell'industria alimentare sono necessari, la produttività è un'esigenza per sfamare al popolazione mondiale. E' necessario chiedersi come tenere la barra al centro della sostenibilità. Attenzione anche a esaltare l'artigianalità perché non sempre è sinonimo di sicurezza (e ha riportato l'esempio del botulino nelle conserve), mentre le industrie devono rispettare obbligatoriamente le norme vigenti. E ricordiamoci che l'Italia ha una posizione privilegiata in materia di sicurezza alimentare: solo lo 0,3% dei prodotti ortofrutticoli italiani presenta residui di agrofarmaci fuori dai limiti di legge. Inoltre le eccellenze italiane, ovvero le Denominazioni di origine, sono 276 sulle circa mille in Ue".
Secondo Lymbery il mantra "we need to feed the world" è un non senso perché ci sarebbe abbastanza cibo per tutti ma viene sprecato: la chiave è quindi trovare un modo per uscire dal circolo vizioso dello spreco. "Ognuno deve vedere la parte che fa - ha detto Lymbery -. L'importante è avere un approccio di buon senso".
Il tema della pesca non selettiva è stato poi affrontato da Costantini che ha messo in guardia sulla crescente perdita di biodiversità che si registra nel Pianeta.
"Il Cso promuove i consumi di ortofrutta - ha ribadito Bruni -. Dobbiamo abituarci a mangiare meno e meglio ed è necessaria un'equa distribuzione: ridurre gli sprechi in tutta la filiera, dal contadino che produce, alla famiglia che consuma. Tracciabilità ed etichetta sono i termini che fanno la differenza, come l'obbligo che vige in Italia di indicare l'origine dei prodotti ortofrutticoli. Mangiare italiano significa anche mangiare più sano. Per quanto riguarda cibo, alimentazione e stili di vita è aumentata la sensibilità del cittadino, del consumatore. Produttori e distributori dovranno dare risposte etiche a queste esigenze".