E' ufficiale: dalla vendemmia 2012 si potrà portare finalmente in tavola il 'vino biologico'.

Infatti, dopo oltre un ventennio di tentativi fallimentari, l’8 marzo 2012 è stato approvato il Regolamento di esecuzione (UE) n. 203 della Commissione che modifica il regolamento (CE) n. 889/2008 recante modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 834/2007 del Consiglio in ordine alle modalità di applicazione relative al vino biologico.
Tale Regolamento stabilisce che, a partire dal 1° agosto 2012, si può parlare di 'vino biologico' e non soltanto di “vino prodotto da uve biologiche”: infatti, oltre alla provenienza delle uve, verranno certificate anche le tecniche di produzione e di conservazione.

In applicazione di quanto dettato da tale Regolamento, sulla Gazzetta Ufficiale n. 177 del 31 luglio 2012, è stato pubblicato il DM n. 15992 del 12 luglio 2012 concernente le modalità applicative della nuova normativa sopracitata.

Come spesso capita in Italia per le novità legislative, al momento si rilevano alcuni problemi burocratici inerenti la certificazione, nonché l’identificazione degli stessi organismi di controllo che dovrebbero effettuarla. Il ministero delle Politiche agricole, infatti, non ha ancora concesso la possibilità di certificare i vini biologici e questo ha provocato non poche polemiche connesse al fatto che, sebbene si autorizzi la produzione nell’immediato del vino bio, di fatto il sistema che ne certifica provenienza, produzione e conservazione è in stand by.

Alla luce di tali normative si pone, dunque, il problema della tracciabilità del vino biologico, dalla vite allo scaffale. Infatti, dato per assodato che tale certificazione si rende necessaria, bisogna capire se questa si tradurrà in un ulteriore aggravio di tempo e lavoro sulle spalle del produttore o se, invece, potrà effettuarsi mediante procedure snelle e di, relativo, poco impegno per il produttore stesso.

In un Paese come il nostro, in cui l'applicazione di norme semplici spesso si traduce in un farragginoso sistema all'interno del quale pochi riescono ad essere veramente 'a norma' (pensiamo alla Privacy...), la tentazione per il produttore medio sarà senz'altro quella di fare quel minimo indispensabile, necessario e sufficiente ad evitare problemi in caso di controlli da parte delle autorità preposte.

Tuttavia, a ben vedere, l'occasione è di quelle ghiotte per trasformare un potenziale 'inghippo burocratico' in un'opportunità:  infatti, non è sbagliato pensare, ad avviso di chi scrive, che improntare un sistema di tracciabilità strutturato e di alto livello possa diventare uno strumento utile per il produttore e che possa fornire a quest'ultimo un valore aggiunto.

Infatti, oltre alla protezione garantita dal sistema di tracciabilità 'strutturato' nelle ipotesi di eventuali controlli che, qualora verificassero la mancanza di qualità certificate, potrebbero far decadere la certificazione di biologico (con il relativo ritorno negativo d’immagine sul mercato), c’è un altro punto di peculiare importanza che spesso si sottovaluta, ossia quello di poter offrire e garantire un prodotto di qualità certificata al consumatore.

Infatti, sulla base di quanto stabilito dall’art. 2 del Decreto Legislativo 6 settembre 2005 n. 206, altrimenti detto Codice del Consumo, il rapporto tra imprenditore e consumatore acquista una nuova percezione giuridica. Questa prevede che la qualità del prodotto debba essere garantita quale elemento del contratto stipulato tra consumatore e produttore; pertanto, tutte le caratteristiche del prodotto “promesse” (in etichetta piuttosto che in pubblicità) sono da considerarsi come contrattualmente garantite e non mere aspettative del consumatore.

In base a tale principio, pertanto, il consumatore ha il diritto di avere accesso alle certificazioni del prodotto che gli consentano di verificare la conformità dello stesso al contratto.
E allora, quale modo migliore per garantire qualità e caratteristiche peculiari di un prodotto se non attraverso la certificazione della produzione e la tracciabilità dell’intera filiera?

La certificazione dell’intera filiera del prodotto biologico, infatti, se svolta secondo i giusti criteri, assolve in pieno la funzione di garantire le qualità promesse al consumatore, che potrà agevolmente verificarne l’esistenza.

Inoltre, in un periodo non facile come quello attuale, appare evidente come tale certificazione possa cogliere i famosi “due piccioni con una fava”, traducendosi in un’operazione di marketing che attiri l’attenzione del consumatore e che, perché no, lo incuriosisca e lo avvicini al prodotto: non dimentichiamo, infatti, che il consumatore di prodotti biologici è notoriamente attento, curioso ed esigente in ordine alla qualità dei prodotti che finiscono nel suo carrello della spesa.



[1] Testo normativo con il quale l’Italia ha recepito in modo organico una serie di direttive europee volte alla tutela del “consumatore” inteso come la persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta. L'articolo 2, comma secondo lettera b espressamente prevede che ai consumatori ed agli utenti sono riconosciuti come fondamentali i diritti alla sicurezza e alla qualità dei prodotti e dei servizi.
 

A cura di Stefano Fiorentino e Cristina Gaia Giurdanella
Studio Legale Fiorentino



 

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Lo Studio Legale Fiorentino, sin dalla sua nascita nel 1999, opera nei principali settori del diritto civile, commerciale e societario, sia in campo giudiziale che stragiudiziale, in ambito nazionale ed internazionale.

Storicamente operante nel settore delle biotecnologie medicali, lo Studio nell’ultimo periodo ha iniziato un percorso regolatorio anche in ambito agri-food ed in particolare nel settore vitivinicolo, regolamentato da una normativa in continua evoluzione e di rilevante interesse giuridico per gli operatori del settore.

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