La Direzione generale per l’Agricoltura e lo sviluppo rurale della Commissione Ue ha proposto all’organo esecutivo dell’Unione europea una rettifica finanziaria negativa al primo pilastro della Politica agricola comune dell’Italia pari a 351,8 milioni di euro sul Fondo europeo agricolo di garanzia (Feaga), al netto di altre operazioni.
Si tratta di una vera e propria sanzione che al momento aleggia sulle teste dei numerosi beneficiari, tutti agricoltori in convergenza sulla domanda unica della Pac, che potrebbero essere soggetti a revoca del 5% dell’aiuto accordato: perché la richiesta della Dg Agri - sulla quale è chiamata a decidere la Commissione Ue, sentito il parere del Comitato fondi agricoli - insiste sulle annualità 2016, 2017 e 2018.

Il provvedimento sanzionatorio è stato richiesto a causa di una serie di anomalie che sarebbero state compiute – secondo la Dg Agri - nella gestione italiana delle così dette “Pratiche locali tradizionali”: consistenti nell’aver consentito di poter beneficiare degli aiuti a capo e superficie del primo pilastro della Pac anche alle aziende zootecniche che hanno allevamenti con pascolo fuori dai prati permanenti, ma anche in zona di macchia con una prevalente presenza di essenze arbustive.

Questo perché l’Italia non ha fornito indicazioni sulle specie arbustive di interesse foraggero, non ha indicato con precisione le superfici di bosco coinvolte nel piano d’azione e, in ultima analisi, non ha fornito indicazioni utili per il calcolo del rischio per il Feaga.
La posizione definitiva della Dg Agri, che ha fatto seguito alla relazione dell'organo di conciliazione adito sul caso, è stata già notificata all’Italia con lettera del direttore generale Jerzy Plewa, indirizzata all’ambasciatore italiano presso l'Ue, Maurizio Massari, ed alla direttrice Agea a Roma, Silvia Lorenzini.
 

Ptl, che cosa è e quando si adotta

Secondo la Dg Agri: “In una prima fase è essenziale che lo Stato membro definisca correttamente i terreni ammissibili e, se lo desidera, applichi la definizione ampliata di prato permanente entrata in vigore a partire dal primo gennaio 2015. Tale definizione, secondo la quale il termine "prato" può inoltre designare "altre specie, segnatamente arbustive e/o arboree, che possono essere utilizzate per il pascolo", non comporta alcuna interferenza con le "Pratiche locali tradizionali".

La nozione di Plt serve esclusivamente a rendere ammissibili particelle che non sono occupate da piante erbacee per più del 50%, vale a dire "qualora nelle superfici di pascolo non siano tradizionalmente predominanti erba e altre piante erbacee da foraggio" ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1 e lettera h del Regolamento 1307/2013.
 

I rilievi della Dg Agri all’Italia sul caso Ptl

Secondo la Dg Agri “In tal senso, il fatto che 'In Italia, si ritiene che le specie foraggere arbustive non rientrino nella nozione di prato permanente (non Plt)’, dimostra chiaramente che le autorità italiane non hanno attuato correttamente le disposizioni dell'articolo 4, paragrafo 1, lettera h), del regolamento 1307/2013".

Ma gli errori rispetto alla normativa comunitaria e rilevati anche in sede di conciliazione non si fermano qui. Secondo la Dg Agri infatti l’Italia ha commesso anche altre omissioni, quali:
  • non sono state identificate le regioni in cui sarebbero state ritenute ammissibili le specie arbustive e/o arboree;
  • la superficie massima ammissibile registrata nel Sistema di identificazione delle particelle agricole e utilizzata per i controlli incrociati non rispecchiava correttamente la situazione sul campo, né era stata valutata a norma dell’articolo 4 del regolamento 1307/2013,
  • gli agricoltori non erano stati correttamente informati circa la superficie massima ammissibile di ciascuna delle loro particelle e delle modalità secondo cui erano tenuti a dichiararle
Inoltre, tenuto conto del calcolo del valore dei diritti all’aiuto e delle scelte fatta dall’Italia su come assegnarli sulla base del regolamento 1307/2013, “E’ indispensabile che la superficie ammissibile al regime di pagamento di base sia correttamente determinata e registrata per tutti gli agricoltori. Questo perché, in base alle suddette disposizioni, il numero di diritti da utilizzare è il numero di diritti assegnati all’agricoltore, che a sua volta è basato sulla superficie determinata nel 2015" sottolinea la Dg Agri.
Infine, tale condotta si è spinta ad una sottovalutazione del rischio per il fondo agricolo europeo; infatti, secondo le verifiche effettuate dalla Dg Agri, non era chiara la quantificazione delle superfici aventi diritto all’aiuto.
 

Chi sono gli agricoltori a rischio revoca

Per tutti questi motivi, la Dg Agri chiede alla Commissione Ue di tagliare il Feaga a titolo forfettario del 5% e per gli anni di domanda dal 2016 al 2018, agli agricoltori italiani in convergenza, che a questo punto rischiano di vedersi revocato l’aiuto già concesso e in molti casi anche già erogato.
In particolare, la revoca a forfait del 5%, in caso di decisione positiva della Commissione, potrebbe riguardare:
  • i pagamenti per i piccoli agricoltori, ma senza spese inerenti alle misure connesse alla superficie nell'ambito del sostegno accoppiato facoltativo;
  • i pagamenti nell’ambito del regime di pagamento di base;
  • i pagamenti di inverdimento (Greening);
  • i pagamenti nell'ambito del regime per i giovani agricoltori.