Le dinamiche per influenzare il prezzo sono essenzialmente due, al netto degli eventi inaspettati legati ai cambiamenti climatici: la riduzione dell'offerta e un riequilibrio connesso alla domanda e la vivacità degli scambi.
Lo aveva detto Angelo Rossi, fondatore di Clal.it, in apertura del sesto Dairy forum mondiale e la lettura è corretta. Sulle stesse posizioni, peraltro, lo stesso commissario europeo all'Agricoltura, Phil Hogan, in un'intervista rilasciata nei giorni scorsi al quotidiano francese Le Figaro.

Rimane l'incognita di quali effetti avrà sul mercato il contenimento delle produzioni, dopo oltre 18 mesi di incremento produttivo, in Europa sospinto dalla fine delle quote latte.
Nell'emisfero australe si sta andando verso l'estate e la naturale riduzione di latte prodotto. Un trend che sembra essere arrivato in anticipo. Secondo i più recenti report di Clal.it, infatti, la produzione lattiera in Australia lo scorso agosto è stata inferiore del 9,28% rispetto allo stesso periodo del 2015.

Non dimentichiamo che nel nuovissimo continente il boom produttivo e il combinato crollo dei prezzi aveva portato una crisi drammatica delle "super-farm" australiane, con forti indebitamenti, rischi di chiusura, suicidi fra gli allevatori, tanto che era stata avanzata un'ipotesi che dietro al crollo di mercato ci fosse una precisa strategia cinese.

Partito nel biennio 2013-2014, il boom delle importazioni cinesi di polveri di latte si era dapprima convertito in una richiesta di prodotti finiti (come ad esempio il formaggio) per poi rallentare molto.
Morale: con il gigante asiatico in anossia, il surplus di latte prodotto aveva trovato notevoli difficoltà ad essere assorbito. Così nell'Unione europea post quote latte, ma anche in Nuova Zelanda e Australia.

Di qui la crisi delle grandi aziende e l'offerta di acquisto di terre e allevamenti da parte di grandi investitori cinesi. Un caso? Un complotto? Si è favoleggiato di tutto e il cronista si astiene da qualsiasi valutazione o, peggio, illazione di sorta.

La Cina si conferma un mercato molto interessante per l'export globale, dall'Oceania all'Unione europea. L'obiettivo di Pechino di raggiungere l'autosufficienza nelle produzioni di latte e derivati sembra piuttosto ardua da raggiungere, per quanto gli sforzi del Governo della Repubblica popolare siano intensi.

Secondo alcune fonti, infatti, mentre nel 2009 la Cina riusciva a coprire oltre il 90% del proprio fabbisogno di prodotti lattiero caseari, oggi supera di poco il 70%, anche per l'incremento dei consumi. Il miglioramento della capacità di spesa dei consumatori cinesi, inoltre, ha negli anni modificato le importazioni, con un incremento nella richiesta dei prodotti finiti a scapito delle polveri.

Tornando nell'alveo delle mercuriali, bisogna riconoscere che il settore agroalimentare non è estraneo alle speculazioni e, se la volatilità dei mercati è positiva se rimane entro certi limiti, il continuo rally dei listini con crolli repentini e impennate impedisce una corretta programmazione produttiva e provoca incertezze.

Sul tema sembra essere molto attiva in chiave politica la Francia, con il ministro Le Foll che ha ribadito la propria disponibilità ad approfondire la proposta avanzata a inizio settembre di definire un Terzo pilastro della Pac, finalizzato proprio alla gestione dei rischi.

Più o meno sulla stessa lunghezza d'onda, seppure con soluzioni specificatamente delimitate al contesto lattiero, si schiera l'Emb (European milk board), che ha presentato un "Programma di responsabilizzazione del mercato", il quale prevede che il prezzo del latte oscilli tra un minimo e un massimo che formino i due estremi di una sorta di "tunnel di prezzo", senza tuttavia tornare al sistema delle quote.
La proposta, riporta Le Figaro, sarebbe stata in parte ripresa e rilanciata da alcuni deputati francesi, con l'idea di istituire fondi mutualistici o di reindirizzare una parte dei fondi europei verso meccanismi assicurativi che possano intervenire in periodi di crisi.

Oggi, 20 ottobre 2016, a Milano, intanto, è stato convocato dall'assessore all'Agricoltura della Lombardia, Gianni Fava, il Tavolo latte.
Si tratta di una prima occasione di confronto fra l'istituzione regionale, da sempre attenta alle dinamiche del settore, rappresentando circa il 45% della produzione lattiera made in Italy, e il mondo agricolo che, in base alla congiuntura di mercato, potrebbe chiedere alla Regione di sostenere l'appello degli allevatori a rivedere verso l'alto i prezzi dei contratti.

Alcuni marchi italiani di proprietà francese, infatti, avrebbero previsto di pagare le consegne di latte alla stalla fino a 34 centesimi al litro a tutto il mese di dicembre, partendo da una media di 32 centesimi in ottobre. Una cifra non proprio armonica con l'andamento dei listini attuali.
Lo scorso lunedì 17 ottobre la piazza di Verona ha quotato il latte crudo spot 41,75 euro/100 chilogrammi, in crescita del 2,45% rispetto alla settimana precedente e del 17,61% rispetto allo stesso periodo del 2015.

Gli analisti non si sbilanciano a fare previsioni sul medio periodo, ma le condizioni per una ripresa dei prezzi sembrano essere favorevoli. E così, seppure siano state meno di mille le stalle che hanno aderito al programma europeo di riduzione volontaria delle produzioni, la massiccia adesione alla formula "14 centesimi per litro di latte non prodotto" di Stati particolarmente legati al mercato italiano come Francia e Germania, unitamente a una fase di contrazione delle produzioni già partita nei mesi scorsi, sta riverberando effetti positivi anche sul mercato italiano.

In base ai report del sito Clal.it, in Germania è dal 3 giugno scorso che le produzioni di latte registrano settimanalmente una diminuzione della produzione su base tendenziale, cioè rispetto alle medesime settimane dell'anno precedente. Da oltre un mese, in particolare, i cali oscillano fra il 3,4 e il 4,5%.

Analogo discorso in Francia, dove il periodo di contenimento delle produzioni è cominciato su base tendenziale dalla settimana numero 21, cioè sette giorni prima dell'inizio della frenata tedesca.
In Francia, però, le produzioni settimanali stanno registrando un decremento maggiore rispetto al mercato teutonico, con punte nell'ultimo mese fra il 6,7 e il 7,7% e addirittura in alcune regioni ad alta vocazione lattiera come Auvergne- Rhone Alpes dell'ordine dell'11,7%.

Nessuna previsione, ma un paio di domande legittime: si sta andando verso il riequilibrio illustrato da Angelo Rossi e il suo team al recente Dairy forum? E se dovesse riallineare le richieste di domanda e offerta, quanto durerà una ripresa che, ad oggi, seppure timida, sembra fare capolino sui listini?