La coltivazione del mais in Italia è in declino. Negli ultimi venti anni la produzione nazionale, sufficiente a soddisfare i bisogni delle filiere agroalimentari nazionali, è passata da 10 milioni di tonnellate a 6,2 milioni (Ismea). E oggi importiamo più della metà del mais (6,4 milioni di tonnellate nel 2019) di cui il settore agroalimentare ha bisogno.

La nostra dipendenza dall'estero ci espone anche alla fluttuazione dei prezzi delle commodity. Per quanto riguarda il mais ad esempio nel giro di un anno il prezzo è aumentato di quasi il 50%, con ripercussioni soprattutto sul settore dell'allevamento e sul comparto lattiero caseario.

In questo articolo analizzeremo le cause del declino e cercheremo di raccontare quel percorso di rilancio tratteggiato nel nuovo Piano maidicolo approvato lo scorso anno.


Le ragioni del declino della maiscoltura italiana

In questo articolo abbiamo fatto i conti in tasca alle aziende maidicole italiane e risulta che la quasi totalità opera in perdita al netto dei premi Pac. Questa è la ragione fondamentale che ha spinto moltissimi agricoltori ad abbandonare il mais per dedicarsi ad altre colture, come la soia.

"Gli agricoltori nel corso dell'ultimo decennio hanno perso fiducia nel mais a seguito di una serie di concomitanti criticità. Tra di esse i cambiamenti climatici hanno causato un aumento della frequenza degli eventi atmosferici avversi che negli ultimi anni hanno portato ad una diminuzione delle rese e ad un aumento delle problematiche sanitarie riguardanti la presenza di micotossine nella granella", racconta Carlotta Balconi, ricercatrice del centro Crea di cerealicoltura e colture industriali di Bergamo, nonché cocoordinatrice di uno dei Gruppi di lavoro del Tavolo tecnico che ha contribuito a redarre il Piano maidicolo nazionale. "La contrazione dei prezzi di mercato con conseguente effetto negativo sulla redditività della coltura e i rischi sanitari con riduzione della qualità produttiva a causa di derrate contaminate,  sono tra i principali  motivi che hanno  causato la disaffezione degli agricoltori al mais; per questo molti sono passati ad altro".

E infatti se si guarda alle aziende maidicole che coltivano con profitto il granturco (al netto dei premi Pac) si nota che insistono in territori, come la provincia di Torino, in cui la costanza delle precipitazioni continua ad assicurare il soddisfacimento del fabbisogno idrico della coltura senza che si debba intervenire con l'irrigazione. Assenza di stress idrici significa produzioni abbondanti (13-14 tonnellate/ettaro) e bassa presenza di micotossine.


Il rilancio della coltura del mais: innovazione e sostegno pubblico

Posto che la produzione di mais risulta essere strategica per la filiera agroalimentare italiana, il Mipaaf, insieme alle università, ai centri di ricerca, alle regioni e a tutti gli stakeholder ha promosso un Piano maidicolo nazionale, approvato nel 2020 dalla Conferenza Stato-Regioni.

Il piano si articola in tre filoni: orientamento al mercato, aumento della competitività e promozione di politiche efficienti.


Orientamento al mercato

Uno strumento identificato come vincente è il contratto di filiera che cerca di creare una alleanza tra produttori e acquirenti assicurando ai primi un prezzo certo e premiale (grazie anche al sostegno del Mipaaf) e ai secondi un approvvigionamento sicuro e della qualità richiesta.

Si chiede poi di disciplinare l'impiego del mais a livello energetico, settore che assorbe una quota rilevante del mais prodotto in Italia e che negli scorsi anni ha avuto una forte espansione proprio grazie a politiche pubbliche di sostegno.

Si vuole poi tentare di slegare le produzioni italiane dal mercato delle commodity, valorizzando le produzioni nostrane e le filiere. "Occorre individuare e valorizzare tipologie particolari di mais da destinare a specifiche filiere in risposta a richieste ed esigenze espresse dalla parte industriale, mangimistica, alimentare, etc… in modo da implementare il processo di informazione sul ruolo del mais e migliorarne l'immagine", sottolinea Carlotta Balconi.


Aumento della competitività

Il secondo obiettivo è quello di aumentare la produttività delle aziende agricole sia a livello di quantità di granella prodotta che di qualità e abbassare i costi di gestione. Per questo sono state individuate differenti linee di intervento.

Un primo elemento riguarda il rafforzamento della Rete nazionale di confronto varietale che ha come obiettivo quello di testare in campo, in più areali e con diverse gestioni agronomiche, gli ibridi oggi disponibili sul mercato al fine di caratterizzarli e di suggerirne l'impiego più adatto agli agricoltori.

Ma anche i tecnici delle ditte sementiere possono supportare i maiscoltori nella scelta dell'ibrido corretto per il proprio contesto. Sarebbe poi utile avere una piattaforma digitale, come negli Usa Farmer business network, che grazie al contributo di tutti gli agricoltori sia in grado di offrire un supporto alle decisioni efficace e super partes.

Dal punto di vista del miglioramento genetico un elemento di svolta potrebbe arrivare dallo sdoganamento delle Tea, le Tecnologie di evoluzione assistita (o Nbt, New breeding techniques) che consentirebbero di avere ibridi di mais altamente performanti e resistenti agli stress abiotici e biotici.
 
Un terzo elemento riguarda la gestione agronomica che in futuro dovrà fare sempre più ricorso al paradigma 4.0. E cioè agricoltura di precisione e digitale. La prima è utile per ottimizzare l'impiego di input, aumentando la sostenibilità economica e ambientale delle aziende. Il secondo invece permette di avere una gestione più accorta delle risorse, come quella idrica, che genera un impatto positivo anche sulla sanità della granella (a riguardo abbiamo raccontato il progetto MicotAP, un Dss che aiuta i maiscoltori a ridurre la presenza di micotossine).
 
Ma tutti questi strumenti saranno inutili se non ci sarà un adeguato trasferimento di conoscenze e tecnologie dai centri di ricerca e dalle aziende ai maiscoltori. Già oggi sono disponibili piattaforme digitali e attrezzature in grado di supportare gli agricoltori e aiutarli a gestire in maniera "moderna" l'azienda, ma sono poco utilizzati.


Promozione di politiche efficienti

La ricerca nel campo della maiscoltura sarà finanziata attraverso un Progetto strategico di ricerca, in fase di definizione, mentre il cambiamento all'interno delle aziende agricole deve essere sostenuto da politiche pubbliche, ad esempio per quanto riguarda i trasferimenti diretti e i Psr.

Già oggi i pagamenti diretti rappresentano l'ancora di salvezza della maggioranza delle aziende maidicole italiane. Ma se si vuole che oltre alla sopravvivenza ci sia un rilancio del settore è necessario che nei futuri Psr (verosimilmente a partire dal 2023) ci siano delle azioni dedicate proprio a questa coltura. Anche perché sul lungo periodo l'architettura dei pagamenti diretti non sembra godere di buona salute.

Si dovrebbe infatti sostenere la realizzazione di impianti quali pivot, ranger, rotoloni, subirrigazione e irrigazione a goccia. Nonché attrezzature che gestiscano il rateo variabile (seminatrici e spandiconcime) e piattaforme digitali.

Il Tavolo tecnico auspica poi il sostegno alla formazione e alla stipula di contratti di assicurazione, anche per quanto riguarda le contaminazioni da micotossine, nonché interventi per ammodernare i centri di essiccazione e stoccaggio, oggi alquanto obsoleti e dimensionati sulle esigenze della maiscoltura di trenta e passa anni fa.

"Per sostenere  il  rilancio della maiscoltura risulta importante perseguire la strategia di  recupero dell'efficienza della coltura attraverso il miglioramento delle pratiche colturali e delle tecniche di miglioramento genetico per rispondere alle sfide ambientali", sottolinea Carlotta Balconi. "Il potenziamento delle azioni di ricerca e innovazione, unitamente ad azioni mirate di assistenza tecnica e formazione, costituiscono aspetti fondamentali per rafforzare le competenze dei tecnici e degli operatori e produttori della filiera maidicola"