Il mais italiano è in crisi. Se nel 2000 il Paese era sostanzialmente autosufficiente con una produzione nazionale pari a 10 milioni di tonnellate, nel 2019 ci siamo fermati a 6,2 milioni. Al contempo le importazioni di granella dall'estero per soddisfare la domanda interna, principalmente destinata all'allevamento di bestiame, hanno raggiunto quota 6,4 milioni di tonnellate.

Come riportato nel report di Ismea "I costi di produzione del mais e i costi dei centri di essiccazione e stoccaggio" le cause del declino della maiscoltura in Italia sono diverse: prezzi estremamente variabili dovuti ad un contesto internazionale molto vivace, cambiamenti climatici, con piogge meno prevedibili, e più frequente contaminazione delle derrate con micotossine.

A questo si deve aggiungere il fatto che i costi di produzione sono aumentati in questi anni più velocemente rispetto ai prezzi della granella. Se non fosse per la Politica agricola comune (Pac) tali fattori avrebbero portato ad un collasso del sistema produttivo nazionale, visto che 22 delle 30 aziende analizzate nel report Ismea lavorano in perdita se non si considerano gli aiuti europei.

Come si esce da questa situazione? Sicuramente la promozione dei contratti di filiera aiuta le aziende agricole a programmare le proprie attività e le aziende di trasformazione ad avere approvvigionamenti certi ad un prezzo noto. E anche la stipula dell'accordo quadro per il mais da granella di filiera italiana certificata può aiutare la situazione, così come i 100 euro ad ettaro promessi dal Mipaaf a favore degli agricoltori che coltiveranno mais sulla base di contratti di filiera di durata almeno triennale.
  Ma tutto questo non basta se le aziende agricole non miglioreranno anche la propria operatività con l'obiettivo di aumentare la produttività per ettaro e al contempo abbassare i costi.

Ecco dunque quattro spunti di riflessione emersi dal report Ismea per migliorare la redditività del settore.


L'irrigazione

Se la resa di granella media in Veneto si è attestata a 12,1 tonnellate ad ettaro fa eccezione l'azienda Veneto 2 (situata a Badia Polesine, in provincia di Rovigo) che ha totalizzato 13,9 tonnellate ad ettaro grazie alla gestione dell'irrigazione tramite ala gocciolante, a cui ha abbinato la fertirrigazione. Con un prezzo della granella di 170 euro a tonnellata l'azienda ha avuto una plusvalenza rispetto alla media pari a 306 euro che tuttavia è azzerata dai maggiori costi per l'acquisto delle ali gocciolanti (pari a 300 euro). Anche se la razionalizzazione nell'uso dei concimi ha permesso di spendere solo 159 euro a fronte di una media di 233 il margine di guadagno è stretto.

Report Ismea - Veneto
Report Ismea - Veneto
(Fonte foto: Ismea)
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Se dunque l'aumento di redditività garantito dalla fertirrigazione viene compensato da un aumento dei costi è interessante riflettere su altri fattori. Il primo riguarda la sanità della granella, che con un sistema a goccia è tendenzialmente superiore in quanto si può facilmente evitare che la pianta vada in stress. Inoltre con un clima sempre più imprevedibile l'irrigazione a goccia permette di assicurare la produttività del campo nel caso in cui si presentino lunghi periodi di siccità, difficilmente gestibili su ampie superfici con altri sistemi di irrigazione.

Ha scommesso invece sull'aiuto del meteo l'azienda Veneto 7 (di Cervarese S. Croce, in provincia di Padova) che non ha irrigato affatto. La produttività è contenuta, pari a 11 tonnellate di granella ad ettaro, ma i costi variabili di produzione sono più bassi di quasi 300 euro rispetto alla media, il che sostanzialmente compensa la mancata produttività. Se però il clima fosse stato inclemente l'agricoltore avrebbe potuto perdere tutto l'investimento.

Visti i dati meteo storici favorevoli l'azienda Piemonte 1 (Vische, Torino) ha optato per il non irriguo e ha comunque ottenuto una resa in granella elevata, pari a 13,5 tonnellate per ettaro. Queste performance, sommate ad una gestione oculata dei costi (tranne la voce ammortamenti, pari a 434 euro) permette di essere in positivo pre Pac a 64 euro ad ettaro.

L'acqua risulta dunque essere un fattore produttivo cruciale e sono premiate quelle aziende agricole che per l'areale su cui insistono possono contare su piogge abbondanti. In questi casi la redditività è alta poiché diminuiscono i costi operativi.

Report Ismea - Piemonte
Report Ismea - Piemonte
(Fonte foto: Ismea)
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Gli affitti

Molte aziende analizzate coltivano terreni di proprietà e in affitto, mentre alcune solo terreni in affitto. Dai dati risulta evidente che l'affitto dei terreni è redditizio solo se si possono sfruttare delle economie di scala, ad esempio nell'ottimizzazione del parco macchine.

Se guardiamo ad esempio all'azienda Lombardia 6 (Cologno al Serio, Bergamo), che ha 17 ettari in proprietà e 11,5 in affitto, notiamo che oltre ad avere rese basse (11,5 tonnellate/ettaro) ha dei costi di ammortamento elevati (323 euro/ettaro) e comunque ricorre a lavorazioni conto terzi per 225 euro (ma sotto la media). Se a questo si aggiunge l'affitto (212,3 euro) e altri costi fissi (come manutenzione, assicurazione, oneri previdenziali) per 431 euro il saldo è negativo pre Pac a 315 euro.

Report Ismea - Lombardia
Report Ismea - Lombardia
(Fonte foto: Ismea)
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Fa eccezione l'azienda agricola Emilia 1 (Reggio Emilia) che nonostante abbia terreni solo in affitto e si affidi solo a lavorazioni conto terzi grazie alla buona produttività (12 tonnellate/ettaro) e al mantenimento dei costi fissi (no macchine proprie) e variabili (non irriguo) bassi riesce ad ottenere ricavi positivi pre Pac (pari a 46,6 euro).

Report Ismea - Emilia Romagna
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(Fonte foto: Ismea)
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Il parco macchine

Una delle voci di costo che in alcune aziende agricole fa "sballare" i conti riguarda l'ammortamento per le trattrici. Nella azienda agricola Veneto 4 (Rovigo) l'ammortamento incide per circa 500 euro ad ettaro. Un costo che probabilmente rileva un sovradimensionamento del parco macchine.

Al contrario l'azienda Veneto 5 (Stanghella, Padova) ha le migliori performance di redditività dovute non solo all'alta produttività (13 tonnellate/ettaro), ma anche al fatto che è riuscita a mantenere contenuti i costi variabili (nonostante faccia ampio ricorso al contoterzismo) e a ridurre all'osso quelli fissi, con un ammortamento del parco macchine che non arriva a 200 euro ad ettaro.

Altro esempio sono le aziende Piemonte 2 (Moncrivello, Vercelli) e Piemonte 4 (Barge, Cuneo) che hanno un parco macchine tale da spendere rispettivamente 524 e 585 euro ad ettaro di ammortamento, a cui si sommano, per la seconda, costi per lavorazioni conto terzi pari a 288 euro. Questi dati, insieme agli elevati costi fissi (537 euro per previdenza, assicurazione, manutenzioni, ...) rendono l'azienda Piemonte 4 in perdita di 776 euro pre Pac.

Legato al parco macchine c'è il tema del contoterzismo. Dalle analisi di Ismea emerge che la migliore strategia è quella di eseguire in proprio tutte le lavorazioni, ad eccezione della raccolta e dei trattamenti contro la piralide, che necessitano di attrezzature costose che solo aziende con estensioni molto elevate possono giustificare.

Di norma è invece da evitare di affidare tutto a conto terzi, come fatto dall'azienda Lombardia 1 (Grassobbio, Bergamo) che oltre ad avere una resa bassa per la zona (11 tonnellate/ettaro) ha una incidenza elevata dei costi di lavorazione conto terzi (pari a 1.020 euro ad ettaro). Se si considera anche il costo dell'affitto (400 euro) l'azienda è tra le peggiori in assoluto, perdendo 541 euro ad ettaro pre Pac.

L'azienda Lombardia 5 (Gadesco Pieve, Cremona) nonostante sia nella stessa situazione in tutti i valori, riesce a raggiungere la quasi parità pre Pac grazie al fatto di pagare meno i contoterzisti (775 euro a fronte dei mille e passa dell'azienda Lombardia 1) e di non dover pagare affitti.


Biologico Vs convenzionale

La maggior parte delle aziende agricole analizzate opera in convenzionale. Fa eccezione l'azienda Lombardia 3 (Vescovato, Cremona) che opera in biologico. L'azienda produce 9,8 tonnellate ad ettaro, contro una media che nel convenzionale, in regione, è stata di 12 tonnellate. Ma il prezzo di vendita è stato di 270 euro/tonnellata rispetto ai 172 euro di media del convenzionale. Se guardiamo ai costi fissi e variabili l'azienda è rimasta in linea con le convenzionali, con solo un maggiore costo dei concimi di circa 300 euro. Il bilancio a fine stagione ha comunque premiato l'azienda che si posiziona con un reddito operativo pre Pac pari a 175 euro, l'unico in positivo rispetto alle altre sette aziende.

Un'opportunità è rappresentata dalla coltivazione in convenzionale di varietà di mais particolari (da birra o per il consumo umano), come dimostra l'azienda Piemonte 6 (San Salvatore Monferrato, Alessandria) che spunta un prezzo di vendita di 200 euro a tonnellata. La produttività dell'azienda (non si sa per quali ragioni) è tuttavia molto bassa (8 tonnellate/ettaro) e nonostante una gestione oculata dei costi le rese basse provocano un rosso pre Pac pari a 283 euro.