Continuano gli espianti di vigneti di uva da tavola nei principali areali di produzione. Si tratta di un fenomeno non nuovo, che va avanti da alcuni anni, ma che a partire dal 2022 ha visto una forte accelerata, causata dai bassi prezzi di mercato a cui sono state vendute le uve tradizionali italiane, come Vittoria e Italia, lo scorso anno.

 

E così molti viticoltori stanno espiantando i vigneti per passare alle varietà seedless o apirene, insomma senza semi. Nuove varietà che incontrano il favore dei consumatori e che quindi riescono a spuntare prezzi di mercato interessanti.

 

"Negli ultimi anni abbiamo visto un importante cambio dei consumi degli italiani e dei consumatori europei in generale", racconta Mario Colapietra, autore del "Manuale di Viticoltura. Il comparto dell'uva da tavola: aspetti tecnici, produttivi e commerciali", la cui ultima edizione è stata stampata proprio quest'anno.

 

"Se prima le varietà tipiche italiane, come Victoria e Italia, erano apprezzate per il calibro degli acini, per la croccantezza e per il gusto, oggi invece il consumatore preferisce la semplicità delle varietà senza semi".

 

Grappoli di uva Victoria

Grappoli di uva Victoria

(Fonte foto: Mario Colapietra, ricercatore in viticoltura)

 

Dilagano le varietà club senza semi

E così, a fronte di una minore richiesta di mercato, i prezzi dell'uva da tavola italiana sono scesi costantemente negli ultimi anni. Nel 2022 i produttori lamentavano quotazioni di 0,50 euro al chilogrammo, ma in certi casi la merce è stata pagata anche meno (30-40 centesimi). Certo, le uve di qualità, con pezzature alte, sane e con elevato grado Brix, hanno avuto migliori performance, ma è indubbio che il settore sia in crisi.

 

D'altronde, a fronte di una produzione che tutto sommato risulta essere stabile, intorno al milione di tonnellate, i consumi di varietà tradizionali sono in contrazione (10% lo scorso anno). "Tengono bene le primizie, come nel caso delle produzioni in serra della Sicilia, dove varietà come Victoria e Black Magic riescono già a metà maggio ad essere raccolte", sottolinea Colapietra. "Ma in piena campagna produttiva la concorrenza delle varietà seedless è forte".

 

Acini della varietà senza semi Allison

Acini della varietà senza semi Allison

(Fonte foto: Mario Colapietra, ricercatore in viticoltura)

 

E infatti moltissimi agricoltori hanno estirpato i vigneti tradizionali per impiantare le varietà apirene. La nota dolente riguarda il fatto che tali varietà sono "club", nel senso che i costitutori (in prevalenza statunitensi, greci e israeliani) richiedono il pagamento di royalties per il loro utilizzo. Ogni azienda ha la sua politica commerciale, ma non è inusuale dover far fronte ad un costo di 3mila euro ad ettaro.

 

"Con le varietà tradizionali italiane i viticoltori spesso si facevano le marze in casa. Con le varietà seedless invece occorre pagare le multinazionali per avere il diritto di impiantare le loro viti. E le royalties vanno pagate tutti gli anni, indipendentemente dall'andamento del meteo o del mercato", sottolinea Colapietra.

 

Senza semi, avanza la ricerca italiana

Su questo fronte però qualcosa si sta muovendo. Il Crea ha infatti avviato ormai quindici anni fa un progetto di miglioramento genetico per selezionare nuove varietà di uva da tavola, la maggior parte delle quali apirene, per renderle poi disponibili senza royalties agli agricoltori italiani.

 

"Sono trentasei le varietà che abbiamo selezionato, dodici già registrate e le altre in corso di registrazione presso il Cpvo, l'Ufficio Comunitario delle Varietà Vegetali", spiega Riccardo Velasco, direttore del Centro Crea di Viticoltura ed Enologia.

 

"Ad oggi le varietà sono date in prova nell'ambito del progetto Nuvaut al Consorzio dei Viticoltori Pugliesi, che ha il compito di verificarne l'adattamento al contesto italiano. Successivamente però queste varietà saranno disponibili per i vivaisti senza royalties, e quindi potranno essere commercializzate senza che gli agricoltori debbano tutti gli anni pagare i diritti".

 

Uva da tavola, in crisi i piccoli produttori

Quella che viene dal Crea è una buona notizie per i viticoltori italiani. Le aziende più strutturate sono infatti oggi in grado di estirpare i vecchi vigneti e di costituirne di nuovi, rinnovando gli impianti e procedendo all'acquisto di nuove barbatelle. Ma tante aziende agricole di piccole dimensioni, per abbattere i costi, preferiscono capitozzare le vecchie viti ed innestarle con marze seedless. Oppure si limitano ad estirpare le viti per poi effettuare il ristoppio con nuove varietà.

 

"Le varietà apirene che oggi sono disponibili sono di qualità elevata e hanno superato i problemi che avevano in passato. Oggi esprimono produzioni elevate, anche di 400 quintali ad ettaro, e la pezzatura degli acini è soddisfacente", sottolinea Colapietra. "Il mercato sembra rispondere bene, ma è indubbio che i costi di produzione sono in aumento, come anche le incognite a livello di clima".

 

Se in passato la viticoltura da tavola italiana ha potuto godere di un mercato ricettivo, che premiava le nostre produzioni, oggi i viticoltori devono fare i conti con un consumatore che sta mutando i propri gusti, che cerca qualità e innovazione. Inoltre la concorrenza del prodotto estero si è fatta più intensa, visto che sono aumentati gli areali di produzione. E a complicare il quadro ci sono i cambiamenti climatici e l'emergenza di nuove avversità che rendono sempre più complesso produrre uva da tavola.

 

"È un bene che anche in Italia si faccia ricerca sul fronte dell'uva senza semi, ma occorre che si facciano investimenti strutturali e che si crei un polo di riferimento, con ricercatori impegnati full time nella ricerca di nuove varietà. Solo in questo modo potremo fare concorrenza alle multinazionali straniere che oggi vendono i propri prodotti in Italia", conclude Mario Colapietra. "Per avere successo l'obiettivo deve essere quello di selezionare nuove varietà che siano migliori di quelle oggi in commercio".

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