E il mercato dei microrganismi - o meglio degli inoculi - è oggi in continua espansione: cresce al ritmo del 10% l’anno, con il vento della domanda nelle vele, ma deve fare i conti con un’industria che in alcuni casi ha messo sul mercato preparati scarsamente testati, che rischiano di mettere a repentaglio la credibilità di un comparto che invece ha alle spalle anni di sperimentazione seria e documentata da enti di ricerca e università.
Il futuro dell’agricoltura sarà anche fondato sui preparati a base di microorganismi, ma occorrerà lavorare ancora per mettere a punto più prodotti credibili e al tempo stesso commerciali e dotati di sempre più necessarie istruzioni per l’uso.
E’ quanto emerso ieri – 6 giugno 2017 - a Pontecagnano (Salerno) nella sede del Consiglio per la ricerca in agricolture e per l’economia agraria, dove si è tenuto il “II seminario sull’utilizzo dei microorganismi in agricoltura".
L’evento, organizzato dal Crea in collaborazione con la Ms Biotech Microspore, l'agenzia spaziale americana Nasa, il Collegio provinciale dei periti agrari e l’Ordine dei dottori agronomi e dei dottori forestali della provincia di Salerno, ha visto anche il contributo del Dipartimento di Agraria e Veterinaria dell’Università di Din Iasi, in Romania.
L’intervento di apertura è stato affidato a Vincenzo Michele Sellitto, manager della Ms Biotech, con sede a Larino (Campobasso), dove il laboratori Microspore hanno sviluppato un complesso ad elevata concentrazione di microbi multitasking del suolo (batteri Pgpr e funghi): “Ogni anno, secondo il Programma ambientale delle Nazioni unite, si perdono nel mondo fino a 50mila chilometri quadrati di suoli coltivabili per il deterioramento delle capacità produttive dovuto all’eccessivo sfruttamento della risorsa”.
Sellitto ha posto l’enfasi sulla necessità per le aziende di selezionare i microrganismi utili alla fertilità del suolo e alla protezione delle piante, di attivare processi con i prodotti così ottenuti e che questi possono innescare e infine di monitorare i risultati nel tempo: “In questo modo è possibile da parte nostra accompagnare le aziende agricole da un modello di agricoltura stechiometrico, basato solo sull’utilizzo di prodotti chimici, quali azoto, fosfato e potassio ad un modello biologico, dove i preparati contenenti batteri e funghi puntano ad aumentare la fertilità dei suoli e molto di più”.
Sellitto ha quindi affrontato il tema della rizosfera, il mondo di microrganismi che vive intorno alle radici delle piante, e ha sottolineato come l’azione di questi sia molteplice: “I funghi del genere Trichoderma sono molto di più di un semplice biopesticida, poiché hanno effetti ormai noti anche come biofertilizzanti, bioprotettori e biostimolatori”.
Altro caso quello della Bauveria baussiana, un fungo fino ad oggi ritenuto un bioinsetticida naturale, con una buona indicazione sugli acari: “In realtà abbiamo scoperto che può essere utilizzato anche per controllare i nematodi e come biostimolante”.
Gli effetti di microorganismi diversi nel suolo possono portare nel tempo ad un progressivo miglioramento della qualità, ma l’utilizzo dei diversi preparati disponibili non è sempre facile: “Stiamo predisponendo un manuale tecnico d’impiego per Pochare dei laboratori Microspore" ha annunciato Sellitto.
Massimo Zaccardelli, ricercatore presso il Crea Ort di Pontecagnano, ha affrontato il tema dell’utilizzo dei batteri sia nella protezione che nella biostimolazione delle colture agrarie. Nel suo intervento si è inoltre soffermato su come aiutare le aziende agricole ad autoprodurre un compost di qualità contenente i ceppi batterici più indicati ai propri ordinamenti colturali.
E se il Bacillus thuringensis è già largamente impiegato come insetticida per la difesa da lepidotteri e coleotteri - ha fatto presente - “In Campania è attivo CarbOnFarm Project, un programma che consente di costruire delle stazioni di compostaggio aziendali, dove sono stati selezionati ceppi di Bacillus spp. che consentono di combattere i funghi patogeni come la Slerotina, Rhizoctonia Pythium e altri). I principali agenti di biocontrollo vanno dalla produzione di antibiotici e siderofori alla competizione per lo spazio e i nutrienti”. E aggiunge: "In molti casi è stato già fatto, i modelli sono qui in Piana del Sele".
Un capitolo a parte è l’utilizzo indiretto, quello della biostimolazione: “Alcuni ceppi batterici rendono le piante più forti agli attacchi dei patogeni" ha ricordato.
Infine, il capitolo fertilità. Ai noti cianobatteri e batteri azotofissatori e nitrificatori responsabili dell’arricchimento di azoto dei terreni, si aggiunge quello di altri ceppi batterici che “sono capaci di stimolare lo sviluppo delle radici e della parte aerea delle piante, grazie alla produzione di fitormoni stimolanti, quali acido indolacetico, gibereline e citochimine o grazie alla capacità di produrre Acc – deaminasi, un enzima capace di degradare l’etilene, noto ormone inibitore della crescita delle piante".
Michelina Ruocco dell’Istituto per la protezione sostenibile delle piante del Cnr di Bari si è invece soffermata sulla scelta dei preparati a base di microorganismi basati su Trichoderma spp.
“Sono diverse centinaia quelli in commercio e vengono usati sia come biofitofarmaci che come biostimolatori - ha detto - Le buone perfomance di questi prodotti, sempre più spesso frutto di un accurato lavoro di ricerca, sono però condizionate dal management dei terreni, dal rispetto delle rotazioni colturali, e dall’utilizzo corretto dei di fertilizzanti e sanitizzanti”.
Aurelio Ciancio, dell’Istituto per la protezione sostenibile delle piante del Cnr di Bari, ha affrontato nel suo intervento i tema del biocontrollo dei nematodi, ricordando come la sperimentazione dell’utilizzo del fungo endofita e ematofago Pochonia chlamydosporia “ha mostrato delle relazioni densità – dipendenti fra l’ospite e gli antagonisti. Inoltre, Pochonia chlamydosporia ha effetti di promozione della crescita delle piante, sostenendo la risposta di queste a molti stress biotici e abiotici”.
Gianluca Caruso del Dipartimento di Agraria dell’Università degli Studi Federico II di Napoli ha infine descritto le prestazioni fisiologiche, produttive e qualitative di peperone dolce – cultivar Brillant e Yolo Wonder – coltivate con quattro sistemi diversi: convenzionale in qualità di controllo, convenzionale con fertilizzazione arricchita con microorganismi, biologico in qualità di controllo e biologico con fertilizzazione arricchita con microorganismi.
Il sistema più performante è stato quello convenzionale arricchito dall’utilizzo di microrganismi, mentre sia il convenzionale che il biologico arricchiti di microrganismi hanno dimostrato la capacità di accrescere le qualità nutraceutiche dei peperoni, in particolare la presenza di antiossidanti, con ricadute positive sul prezzo.
“Il mercato mondiale degli inoculi cresce ad un ritmo del 10% all’anno e manca ancora una reale regolamentazione del mercato che punti sull’accertamento preventivo e obbligatorio della qualità dei preparati basati sui microrganismi – ha detto Raffaella Pergamo, del Crea Colture industriali di Caserta, che ha aggiunto – Questo mercato deve trovare regole che ne favoriscano l’affermarsi in termini di credibilità, poiché nel tempo i preparati a base di microorganismi sono attesi affiancare i prodotti chimici, che incontrano un limite forte non solo nelle norme ambientali, ma anche nella rarefazione nel tempo delle materie prime per ottenerli, come nel caso delle miniere di fosfati”.
Conclusioni affidate infine a Doug Ming della Nasa, che al Johnson Space Center di Houston si occupa di agricoltura spaziale e colonizzazione di Marte.
“Quando saremo nelle condizioni di utilizzare il suolo di Marte per le nostre principali coltivazioni – ha tra l’altro detto – fondamentale sarà la scelta del giusto mix di microrganismi per assicurare alle colonie umane su Marte di auto produrre cibo e rigenerare aria e acqua”.