Una tassa sul 'cibo spazzatura' - il 'junk food' - al pari di quanto avviene in Francia con la 'taxe soda' applicata dal primo gennaio alle bibite gassate.

L’ipotesi è allo studio del Governo e delle Regioni e - secondo un sondaggio Coldiretti sulla bozza di lavoro inviata dal ministro della Salute Renato Balduzzi alla Conferenza delle Regioni - piace a più di otto italiani su dieci (81%), a patto che le risorse siano destinate al sostegno dei cibi genuini del territorio.

In Francia: 'taxe soda'

Dal primo gennaio 2012 è entrata in vigore in Francia la 'taxe soda' che pesa 7,16 euro per ettolitro, cioè 11 cent per 1,5 litri o ancora 2 centesimi di euro a lattina di bevanda gassata. In totale la tassa dovrebbe portare 280 milioni di euro nelle casse dello Stato che saranno utilizzati per ridurre il costo del lavoro di raccolta in agricoltura e sostenere così la frutta e verdura. Gli sciroppi, i succhi di frutta senza zucchero aggiunto, i frullati, gli yogurt da bere, i latti per l’infanzia, le bevande nutritive a finalità medica e i prodotti destinati all’esportazione - precisa la Coldiretti - non sono toccati da questa misura.

Coldiretti: opportunità per l'Italia

“Non c’è tempo da perdere nell’affrontare una emergenza che sta mettendo a rischio il futuro delle nuove generazioni”, ha affermato il presidente della Coldiretti Sergio Marini nell’esprimere un “forte sostegno per scoraggiare il consumo di cibo spazzatura che deve essere però individuato con criteri oggettivi e seri mentre deve essere contestualmente sostenuto il cibo genuino e del territorio anche a scuola”.
"Un'opportunità - precisa Marini - per un Paese come l’Italia che è leader europeo nella produzione di frutta e verdura e degli altri alimenti base della dieta mediterranea".


Federalimentare: una tassa inutile

Non la pensa così Federalimentare che, in proposito, ha interpellato il nutrizionista, Andrea Ghiselli, dirigente di ricerca e responsabile dell'Ufficio comunicazione Inran.
"Non entro nel merito politico-economico di una tassazione del cibo perché esula dalle mie competenze, ma non si faccia in nome di un miglioramento dell''alimentazione degli italiani perché non ha senso. Una tassa discriminatoria potrebbe aumentare la confusione. Non è corretto classificare gli alimenti in buoni e cattivi, cibi sì e cibi no ed è cattiva educazione alimentare. Secondo Ghiselli "dobbiamo invece educare il consumatore ad adeguare la propria alimentazione al proprio fabbisogno energetico, facendo discriminazione tra sedentarietà e attività fisica, non fra alimenti buoni e alimenti cattivi, cosa che inevitabilmente distoglierebbe l''attenzione dallo stile di vita".

Se la parola passa al mondo dell'industria, la reazione, come è logico, è ancora più radicale. Filippo Ferrua Magliani, presidente di Federalimentare – l'associazione che rappresenta le industrie produttrici del food&drink rifiuta l'ipotesi di tassa di scopo per due ragioni. La prima: "E' un'ipotesi che non ho difficoltà a definire malaugurata perché ritengo che la tutela sanitaria non si persegua con le tasse, ma con l'educazione alimentare. Non esistono cibi cattivi di per sé: occorre adottare corrette diete e modalità e frequenze di consumo.

La seconda ragione è relativa agli effetti della tassa ipotizzata: "Esiste una vasta letteratura scientifica che testimonia l'inefficacia di politiche sanitarie rivolte a penalizzare alcuni consumi alimentari ritenuti, impropriamente, come testimoniano molti esperti, dannosi. Oltre alla distorsione di concorrenza e al rinforzo delle spinte recessive, purtroppo già operanti nel nostro Paese, il risultato sarebbe paradossale. I consumatori, costretti a salvare i cosiddetti consumi anaelastici – quelli dei quali, come la benzina, non si può fare a meno – di fronte a un aumento dei prezzi di quelli elastici, dirotterebbero le proprie scelte verso prodotti analoghi, più economici e di peggiore qualità. L'effetto sarebbe l'opposto di quello auspicato, generando gravi effetti sull'occupazione del nostro settore".