Il mondo delle produzioni animali, dalla carne al latte alle uova, è alle prese con un serio problema di comunicazione.
I consumatori sono lasciati in balia di informazioni distorte e pregiudiziali, che portano a convinzioni errate.
Per questo è necessario arginare le tante fandonie che si rincorrono su questi temi.
A volte strumentali, a sostegno di interessi commerciali, altre volte solo pregiudizi o distorsioni ideologiche.


Con qualche ritardo si cerca di correre ai ripari nel tentativo di ripristinare la verità sulla realtà degli allevamenti.
Va in questa direzione l'iniziativa voluta da Aisa, l'Associazione delle Industrie della Salute Animale, che ha riunito attorno a un tavolo virtuale alcuni opinion leader del settore per cercare risposte a un problema la cui soluzione è ormai indifferibile. Tema dell'incontro: "benessere animale, per mangiare e vivere meglio".


Il sondaggio

Si è partiti dalle analisi condotte da Swg, la cui attività nel campo dei sondaggi è nota, per verificare come il prodotto di origine animale venga percepito dal consumatore.
Non sono mancate alcune sorprese, evidenziate dai numeri esposti dal direttore di ricerca Swg, Riccardo Grassi.
Fra queste l'atteggiamento dei giovani, ai quali i prodotti di origine animale "piacciono", tanto da essere il gruppo che più sovente li inserisce nella propria dieta, dichiarando un consumo sino a 4 volte a settimana.


False convinzioni

Quando però si chiede a un intervistato se negli allevamenti italiani ci sia una forte attenzione al benessere animale, solo uno su cinque risponde in modo affermativo.
In altre parole, l'80% delle persone ritiene che negli allevamenti non ci siano condizioni di benessere.
E quando si parla di antibiotici, la maggior parte dei consumatori si dice convinta che se ne faccia un uso eccessivo e che dunque sia necessario porvi un freno.


In realtà l'impiego di antibiotici negli allevamenti è diminuito di circa il 45% negli ultimi dieci anni e in ogni caso gli antibiotici somministrati (quando serve e quanto basta e sempre sotto controllo veterinario) non arrivano nel piatto, come ha sottolineato Maria Caramelli, direttore generale dello Zooprofilattico di Torino.


Ma il consumatore non lo sa ed è convinto del contrario.

Come pure non sa che gli allevatori sono i primi ad avere a cuore il benessere dei propri animali, perché senza benessere non c'è né produzione né qualità.
Gli allevatori ne sono sempre più consapevoli e l'Italia in questo campo può vantare di essere già a un buon punto e i miglioramenti sono continui.


Il made in Italy piace

A dispetto della scarsa conoscenza della realtà zootecnica italiana e del continuo tentativo di screditare le produzioni animali, da parte del consumatore c'è un forte apprezzamento per i prodotti animali che possono vantare una sicura provenienza italiana. 
Il made in Italy trionfa anche in questo caso ed è opinione comune che sia motivo di maggiore sicurezza e qualità.

Solo 3 italiani su 10 sono guidati nell'acquisto dal prezzo più basso, mentre il 71% verifica puntualmente che ciò che mette nel carrello provenga da allevamenti italiani.

Una fiducia ben riposta, grazie all'efficienza dei nostri servizi veterinari.

 

Non è casuale, ha ricordato Caterina Bitti, medico veterinario e senatrice, che la medicina veterinaria afferisca al dicastero della Salute, al pari della medicina dell'uomo.
Un segno dell'importanza prioritaria che si dà agli aspetti sanitari rispetto a quelli economici.
In questo l'Italia è un'eccezione, visto che nella maggior parte degli altri paesi la salute degli animali fa capo ai ministeri agricoli. 


Una salute "unica"

Salute degli animali e salute dell'uomo fanno parte di un unico "sistema", sintetizzato dal concetto "One Health" e il veterinario avrà un ruolo sempre più cruciale nel garantire la salute degli animali e al contempo la salute dell'uomo.
Un aspetto sociale dai forti riflessi economici, poiché le malattie non trattate opportunamente portano a una riduzione nella disponibilità di cibo, che già i cambiamenti climatici stanno compromettendo.
Per questo i paesi che sapranno valorizzare le competenze dei veterinari si ritroveranno ad avere importanti vantaggi competitivi in un prossimo futuro.


Strategie da rivedere

E' poi importante valutare le conseguenze economiche delle crisi in atto e degli effetti di talune scelte nelle strategie europee di indirizzo delle produzioni agricole.
A questo proposito Luigi Scordamaglia, consigliere di Filiera Italia, ha puntato il dito sui progetti comunitari che si riconoscono nel Farm to Fork.
C'è il timore che l'obiettivo sia quello di una riduzione delle produzioni animali, cosa che finirebbe con il provocare un'ulteriore impennata dei prezzi al consumo.
Aumenterebbe così la "disuguaglianza alimentare", premiando solo chi può mettere mano al portafoglio per assicurarsi cibo di miglior qualità e sicurezza.


Al contrario, sarebbero opportune politiche di sostegno alle produzioni animali, premiando chi produce di più e meglio.
Ne guadagnerebbe anche l'ambiente, tenuto conto che una riduzione della produzione interna costringerebbe ad importare carne da paesi i cui allevamenti producono CO2 in misura cinque volte superiore a quanto avviene in Italia.


Allevamenti da "raccontare" 

Per non disperdere il patrimonio di fiducia che le produzioni made in Italy dimostrano di avere, a dispetto della disinformazione imperante, occorre lavorare sodo per "raccontare" gli allevamenti italiani.
Per farlo, ha detto in conclusione Arianna Bolla, presidente di Aisa, è indispensabile che la filiera delle produzioni animali impari a "fare sistema".
Per questo è necessaria la massima condivisione, non solo quando si parla di produzioni zootecniche, ma anche della salute degli animali, compresi quelli da affezione.


Gli argomenti da affrontare sono complessi ed è necessario imparare a comunicare con chiarezza
Importante sarà anche il ruolo delle istituzioni per intervenire sul sistema zootecnico e adottare gli strumenti utili ad evitare il pericolo di un gap sociale in tema di cibo.