Molto più di una categoria produttiva, i pastori sardi sono il simbolo di una cultura e di una civiltà secolare, alle prese oggi con la crisi dei prezzi del latte. Tanto che oggi in Sardegna approderanno il ministro delle Politiche agricole, Gian Marco Centinaio, e il presidente del Consiglio dei ministri, Giuseppe Conte, "per parlare e ragionare con i pastori sardi. Sono pienamente d'accordo con loro", annuncia da Radio Capital il ministro Centinaio.
"Ci pagano il latte troppo poco" fanno sapere gli allevatori, che oggi ricevono tra 58 e 60 centesimi per litro di latte. Un prezzo equo, secondo un rappresentante degli allevatori che hanno aderito a una protesta diffusa su tutto il territorio isolano, dovrebbe essere tra 90 centesimi e 1 euro al litro.
La dimostrazione che i pastori, disperati, sono decisi ad andare avanti con le azioni dimostrative e a non rinunciare a un aumento del prezzo del latte ovino sta nel fatto che la mobilitazione coinvolge i tre principali sindacati agricoli in modo unitario: Coldiretti, Cia e Confagricoltura. "In questa vertenza tutte le sigle sindacali operano in maniera unita nel sostenere le rivendicazioni della base, ribadendo il fatto che accogliamo positivamente l'apertura degli industriali e ora attendiamo un incontro nei prossimi giorni", fa sapere Luca Sanna, presidente di Confagricoltura Sardegna.
Confindustria Sardegna, intanto, ha dato la propria disponibilità a ricercare insieme alle cooperative soluzioni in grado di risolvere positivamente il conflitto sul prezzo e individuare una remunerazione sostenibile del latte.
Anche perché, qualora non si trovasse un'intesa in grado di restituire dignità e redditività alle aziende, i pastori sardi hanno annunciato che bloccheranno la democrazia, rendendo impossibili le operazioni di voto delle prossime elezioni amministrative del 24 febbraio.
La Sardegna conta circa 12mila aziende agropastorali, che allevano 2,6 milioni di pecore, quasi la metà del patrimonio ovino italiano. Forniscono 3 milioni di quintali di latte, più del 50% destinato alla produzione del Pecorino Romano, formaggio a denominazione d'origine conosciuto in tutto il mondo ed esportato prevalentemente negli Stati Uniti.
Il comparto del Pecorino Romano sta attraversando una fase di difficoltà, con consumi domestici che sono diminuiti del 2,4% in volume (anno terminale dicembre 2018 - Fonte: Clal.it) e con un'esportazione crollata in volume addirittura del 33,3% nel periodo gennaio-ottobre 2018 su base tendenziale (Fonte: Clal.it).
Gli Stati Uniti rimangono il primo mercato, ma da 128mila tonnellate del periodo gennaio-ottobre 2017 sono scesi a 69mila tonnellate.
Anche i prezzi sono crollati. Sono lontani i picchi di 9,38 euro/chilogrammo raggiunti nel 2015 dal Pecorino Romano "stagionato cinque mesi e oltre", nelle quotazioni della Camera di Commercio di Milano. Oggi il prezzo medio è di 5,53 euro/chilogrammo, valore raggiunto dopo una discesa costante dallo scorso marzo, quando i prezzi erano di 7,70 euro/chilogrammo. Il 2019, in particolare, registra un prezzo di quasi il 27% inferiore rispetto ai primi due mesi dell'anno scorso.
Secondo la Coldiretti negli ultimi dieci anni in Italia è scomparso un milione di pecore per colpa di scelte industriali irresponsabili. "E senza pastori la Sardegna muore", gridano gli allevatori.
Le remunerazioni offerte non sono solo indegne e offensive per i pastori, ma anche illegali, perché le norme sulla concorrenza vietano "qualsiasi comportamento del contraente che, abusando della propria maggior forza commerciale, imponga condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose, ivi comprese, ad esempio qualsiasi patto che preveda prezzi particolarmente iniqui o palesemente al di sotto dei costi di produzione". È quanto afferma la Coldiretti nel sottolineare i contenuti dell'articolo 62 della legge 1 del 2012, articolo nato proprio per combattere speculazioni e pratiche sleali.