Anche la Spagna è in procedura di infrazione per violazione della stessa direttiva, che ha lo scopo di ridurre l'inquinamento idrico causato o indotto dai nitrati provenienti da fonti agricole e di prevenire ulteriore inquinamento.
Non è la prima volta che la Commissione Ue avvia la procedura d'infrazione contro l'Italia sulla Direttiva nitrati: l'illustre precendente risale al 2006, quando l'Italia mancò di identificare le zone vulnerabli nelle regioni Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, poi aggiunte ed infine beneficiarie della deroga al limite dei 170 kg di azoto spandibile per ettaro in un anno. Questa volta, invece, secondo la Commissione, entro il termine del 31 dicembre 2017, l'Italia non ha designato le zone vulnerabili ai nitrati, né monitorato le proprie acque e non ha adottato misure supplementari in "una serie di regioni interessate dall'inquinamento da nitrati da fonti agricole" non meglio precisate nell'ambito dell'aggiornamento previsto nel quadriennio di attività 2012-2015.
Il contenuto della daily news è però in contraddizione con il lavoro comunque svolto dalle regioni italiane, competenti in materia agroambientale, e sul quale si sarebbe al più potuto eccepire delle carenze, ma non certo la totale insussistenza. Non solo: dai dati raccolti da AgroNotizie sul report quadriennale inviato a Bruxelles dal Governo italiano, nella disponibilità dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale e del ministero della Salute, traspare che l'inquinamento da nitrati di origine agricola sia in diminuzione, che esistono regioni che non hanno il problema o dove i piani di azione si sono rivelati efficaci. E l'unico rilievo Ue valido sembra essere quello della mancata adozione dei piani d'azione aggiornati di tre regioni, ma due di questi risultano comunque redatti e con in corso le procedure della Valutazione ambientale strategica.
La relazione di aggiornamento quadriennale sui nitrati di origine agricola
L'articolo 10 della Direttiva nitrati prevede che gli Stati membri presentino, ogni quattro anni, una relazione alla Commissione europea sullo stato di attuazione della Direttiva sul territorio nazionale. La relazione deve contenere informazioni relative, tra l'altro, ai risultati di monitoraggio delle acque superficiali e sotterranee con le relative mappe, le zone designate come vulnerabili, i codici di buona pratica agricola applicati su tutto il territorio e un sommario dei principali aspetti dei programmi di azione elaborati per le zone vulnerabili, nonché dei risultati conseguiti attraverso l'attuazione delle misure dei programmi d'azione.Ricognizione dei nitrati nelle regioni italiane nel 2012-2015
Secondo l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, tutte le 19 regioni e le due province autonome d'Italia effettuano il monitoraggio della concentrazione nelle acque di nitrati di origine agricola. Secondo il ministero della Salute le regioni italiane hanno designato ben 5.036 punti di campionamento su acque sotterranee e 3.745 siti di monitoraggio per le acque di superficie: fiumi, laghi, costiere, marine e di transizione (foci e lagune).In particolare, il ministero della Salute tiene a precisare: "La densità dei siti di campionamento risulta di 16,8 su 1000 km2 nel caso delle acque sotterranee e 12,5 ogni 1000 km2 per le acque superficiali, quest'ultima ben superiore alla densità di campionamento proposta nella linea guida sul monitoraggio ai sensi della Direttiva nitrati di 1 stazione ogni 300-1.000 km2 per le acque superficiali (fiumi)". Da questi dati, l'attestazione della Commissione secondo la quale "non sono stati effettuati i monitoraggi" appare totalmente destituita di fondamento.
I risultati del monitoraggio 2012-2015
Secondo i dati in possesso dell'Ispra nel quadriennio 2012-2015, per le acque sotterranee, i risultati relativi alla distribuzione delle stazioni di monitoraggio nelle differenti classi di qualità per contenuto di nitrati (0-24,99 mg/l; 25-39,99 mg/l; 40-50 mg/l; >50 mg/l) hanno evidenziato che il 72% delle stazioni, presenta un contenuto di detto inquinante inferiore a 25 mg/l e che solo l'11% dei punti monitorati ha registrato una concentrazione media superiore ai 50 mg/l di nitrati.Il confronto dei risultati del quadriennio 2012-2015 con quelli relativi al quadriennio precedente (2008-2011) ha evidenziato un incremento di quattro punti percentuali della classe caratterizzata da una concentrazione di nitrati inferiore a 25 mg/l ed una percentuale pressoché costante della classe caratterizzata da una concentrazione superiore ai 50 mg/l. Inoltre, tra i due quadrienni di riferimento, nei punti di monitoraggio in comune, è stata riscontrata una diminuzione della concentrazione media di nitrato pari al 37% che arriva al 43% dei punti se riferiti alla concentrazione massima di nitrato, ed una situazione stazionaria in termini di concentrazione media pari al 38% dei punti.
"In generale quindi, è possibile asserire che la maggior parte degli acquiferi monitorati sia caratterizzata da una situazione stazionaria se non addirittura in miglioramento per quanto concerne la contaminazione da nitrati" è scritto in un documento dell'Ispra.
Le zone vulnerabili ai nitrati di origine agricole invariate
Un prima conseguenza di questo, se pur parziale, miglioramento della situazione è che non tutte le regioni italiane designano le zone vulnerabili ai nitrati: una su 19 e così pure le province autonome. E secondo i dati in possesso dell'Ispra molte regioni tendono a confermare i Piani di azione esistenti, rivelatisi efficaci o a modificarli solo leggermente, per renderli ancora più efficaci. "A fronte dei risultati del monitoraggio delle acque e del monitoraggio dell'efficacia dei programmi di azione – scrive l'Ispra - le competenti autorità regionali, nella maggior parte dei casi, hanno confermato per il periodo in esame 2012-2015 la designazione relativa al periodo precedente 2008-2011. Pertanto, la superficie di zone vulnerabili designate nel periodo è rimasta sostanzialmente invariata.Campania, un caso a sé
La Campania è l'unica regione ad aver sostanzialmente ampliato le zone vulnerabili, come noto ad AgroNotizie – giusto delibera di giunta del dicembre 2017 –, che però ha sospeso l'entrata in vigore dell'atto, nelle more dell'elaborazione di un nuovo piano d'azione. In più, in Campania si sta anche lavorando ad una ridefinizione dei risultati del monitoraggio, che così come è stato effettuato avrebbe ampliato in maniera eccessiva le zone vulnerabili. Questo perché, lì dove è presente inquinamento da nitrati di origine civile in acque superficiali, non sono stati presi in considerazione sufficienti campioni di acque sotterranee, risultate di relativa buona qualità in altre analisi ufficiali, pure effettuate in laboratori accreditati e sulla base di un campionamento molto più capillare.Aggiornamento dei piani di azione in ritardo causa Vas
Alcuni dei piani di azione più di recente modificati sono ancora soggetti a Valutazione ambientale strategica. Ed è questo forse l'unico rilievo della Commissione che ha fondamento: la mancata adozione di questi nuovi piani, in attesa della valutazione ambientale, risultata troppo lenta. Le regioni in ritardo causa Vas sono Puglia e Molise. Infine c'è la Campania, che lo sta ancora elaborando. Ecco alcuni aggiornamenti rilevanti dei Piani d'azione in vigore nelle regioni.La Regione Friuli Venezia Giulia con due successivi decreti presidenziali del 2013 ha approvato un nuovo Programma d'azione a seguito di procedimento di Vas, nel quale sono stati anticipati i periodi di divieto per lo spandimento dei letami ed assimilati dal 1° novembre al 29 gennaio, inizialmente previsto dal 15 novembre al 15 febbraio, e la possibilità che, nel caso di divieto di novanta giorni, i singoli agricoltori possano scegliere tale periodo di divieto nell'ambito dell'arco temporale 1° novembre- 28 febbraio.
La Regione Toscana, con decreto del presidente della regione del 2012, ha introdotto elementi di semplificazione finalizzati a ridurre anche gli adempimenti a carico delle aziende agricole.
Le Regioni Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, interessate dalla deroga concessa dalla Commissione europea con propria decisione del 3 novembre 2011, e confermata con successiva Decisione 2016/1040/Ue, che consente un apporto di azoto di 250 kg per ettaro all'anno, hanno apportato, nei loro Regolamenti approvati alla fine del 2011, delle modifiche ai loro Programmi d'azione.