La notizia risale all'agosto 2018, ma come al solito i tamburi ambientalisti sono abituati a rilanciare più e più volte le medesime news al fine di accertarsi che la popolazione non possa tirare un fiato di sollievo, restando sempre a rosolare sulla graticola dell'allarmismo

Giusto per riassumere, la Francia sarebbe andata oltre il divieto europeo per tre neonicotinoidi, ovvero imidacloprid, thiamethoxam e clothianidin, proibendo perfino thiacloprid e acetamiprid, non solo a pieno campo, bensì pure in serra, a quanto pare. Ovviamente il bando è stato salutato con grande gioia da apicoltori e attivisti ecologisti, mentre ha causato il prevedibile malcontento degli agricoltori, per i quali non esisterebbero al momento alternative paritetiche per proteggere le proprie colture dagli insetti attualmente controllati dai neonicotinoidi. Il divieto, secondo i produttori, non può cioè fare altro che esacerbare ulteriormente la concorrenza con i produttori europei e non europei che ancora tali insetticidi possono utilizzare. Del resto, chi è causa del suo mal, pianga se stesso.
 

Insetti e insetticidi

I commenti su tali decisioni transalpine possono essere sviluppati su più livelli. Il primo è quello relativo alla tossicità acuta sulle api. Per esempio, acetamiprid e thiacloprid è noto siano meglio tollerati dagli impollinatori, a differenza di altre sostanze attive della stessa famiglia chimica. Consultando i fact sheet di Efsa, le loro LD50 orali su ape risulterebbero pari rispettivamente a 14,53 µg/ape e 17,32 µg/ape. La LD50 per contatto sarebbe invece pari a 8,09 µg/ape per acetamiprid e a 38,82 per thiacloprid.

A termine di paragone, le medesime fonti europee riportano per imidacloprid un valore di 0,0037 µg/ape per la LD50 orale e di 0,081 µg/ape per la LD50 per contatto. Analogamente, thiamethoxam mostra una LD50 orale pari a 0,005 µg/ape e una per contatto di 0,024 µg/ape. Sono quindi su valori molto lontani da quelli mostrati da acetamiprid e thiacloprid, né paiono queste due molecole minimamente comparabili, per esempio, con spinosad, insetticida usato anche in biologico. Tale insetticida di origine naturale quanto a LD50 orali e per contatto mostra infatti valori pari rispettivamente a 0,057 e 0,0036 µg/ape. Qualche centinaio di volte più tossico quindi dei due neonicotinoidi caduti in disgrazia insieme agli altri tre già tartassati.

Quindi si parte già da valori di bibliografia che non dovrebbero porre fuori gioco le due sostanze attive come invece è avvenuto in Francia. Eppure, tanto è successo.

Circa poi il famoso declino mondiale delle api, chiamata anche pomposamente "bee-pocalipse" (l'apocalisse delle api), pare che le cose non stiano affatto come abilmente disseminato dal fronte proibizionista della chimica agraria. In senso tranquillizzante si sono per esempio espresse l'EPA americana, analogamente all'Usda, alle autorità canadesi e a quelle australiane.

Perfino il fronte ambientalista parrebbe mostrare ripensamenti in tal senso, per lo meno da quanto emerge consultando i pareri espressi da Sierra Club. Questa associazione ambientalista è la più antica al mondo, essendo stata fondata dal naturalista e conservazionista John Muir nel 1892. 

Traducendo un passaggio del loro documento, si evincerebbe infatti come gli impollinatori selvatici potrebbero essere messi a rischio sì dalle tanto vituperate pratiche agricole, ovviamente quando mal gestite, ma anche e soprattutto proprio dalle api allevate a scopi produttivi:

Uno studio sulle popolazioni di bombi selvatici lungo la costa californiana, dove le api allevate sono fondamentali per l'impollinazione dei frutteti di mandorle, ha rilevato che un aumento delle api da miele in una particolare area è stato correlato con un calo dei bombi. Il problema dello spillover va oltre la competizione: le malattie degli alveari commerciali possono essere trasferite a specie selvatiche quando le popolazioni si nutrono degli stessi fiori. Come con altri animali intensivamente allevati, il sovraffollamento e le diete omogenee hanno aumentato il livello di agenti patogeni e parassiti nelle colonie di api gestite. I ricercatori hanno rilevato elevati tassi di malattia nelle api selvatiche che vivono vicino a serre che utilizzano api allevate in Canada, Irlanda e Inghilterra. Secondo l'Unione internazionale per la conservazione della natura, il Bombus affinis, che era in via di estinzione all'inizio del 2017 dopo essere diminuito di oltre il 90 percento nell'ultimo decennio, può dovere questa scomparsa alle malattie diffuse dalle api commerciali”.

Forse non è quindi per caso se nel medesimo documento si trova il seguente parere: “Il principale cambiamento che vorrei vedere è che l'apicoltura venga considerata un'attività estrattiva -  afferma Juan P. Gonzalez-Varo, ricercatore dell’Università di Cambridge - Molte altre attività estrattive sono consentite in aree protette come la caccia e il pascolo del bestiame, ma tutte sono regolate. Fino ad ora, gli ambientalisti sono stati molto permissivi con gli apicoltori ".

Un permissivismo facilmente comprensibile, dato che nasce dalla comunanza di interessi nata strada facendo fra apicoltori e ambientalisti, ove questi ultimi trovano sempre nuove armi anti-pesticidi proprio grazie alle vicissitudini degli apicoltori.

A simili conclusioni sarebbero giunti peraltro alcuni ricercatori spagnoli, i quali hanno potuto registrare le interferenze delle api allevate nei network di impollinatori selvatici [Link alla ricerca; Link alla sintesi in italiano].

In sostanza, se non v'è alcuna ragione di preoccuparsi per le api allevate, dato che ne regoliamo noi stessi le popolazioni facendole addirittura crescere come documentato negli ultimi vent'anni da più autorità internazionali, di ragioni ve ne sarebbero molte invece per gli impollinatori selvatici. Ovvero quelli che, a quanto pare, patiscono soprattutto della concorrenza e delle patologie portate dalle stesse api d'allevamento, le quali potrebbero in tal senso essere considerate pienamente alla stregua di "infestanti". Un po' come avvenuto per gli scoiattoli grigi americani a danno di quelli rossi nostrani.

Una serie di evidenze scientifiche, quelle sopra riportate, che potrebbe quindi far presto passare gli apicoltori da supposte vittime a conclamati carnefici.
 

Difesa dell'ambiente o caccia alle streghe?

Ma allora, visto quanto sopra esposto, com'è possibile che in Francia gli ambientalisti siano riusciti a ottenere un bando che appare ogni giorno sempre più bislacco se preso di per sé, a fronte della molteplicità di evidenze che confermano l'estrema multivariabilità delle pressioni esercitate sugli impollinatori a partire dalle stesse api allevate?

Da ciò che si sa, nel 2018 sarebbero stati 35 deputati francesi ad avanzare un'interrogazione parlamentare allarmando i colleghi con dei dati sul calo della produzione di miele in Francia, presentate dal manipolo parlamentare come in forte diminuzione dal 1990 al 2016. Sarebbero infatti scese, secondo loro, da 35 mila tonnellate a sole 9.000. Ciò pare sia però in contrasto con i dati dell'organismo ufficiale francese demandato a divulgare statistiche in tal senso, ovvero FranceAgrimer, secondo la quale nel 2016 sarebbero state prodotte 16 mila tonnellate, salite poi nel 2017 a 19 mila e 800, sfiorando nel 2018 le 20 mila. Circa i motivi del calo comunque sensibile dal 1990 al 2018 si è già scritto su AgroNotizie. Perché come si suol dire, "la colpa morì fanciulla perché nessuno la volle".

Peccato quindi che nessuno abbia difeso i prodotti per l'agricoltura incriminati, né smentito i dati dei 35 deputati ecologisti. Questi hanno infatti trasmesso il messaggio che la sola causa di un fenomeno già di per sé smentito dai fatti, ovvero l'estinzione delle api, sarebbero i "pesticidi". Ennesima prova che una minoranza motivata e rumorosa può ottenere tutto ciò che vuole se la maggioranza dorme sonni beati.

Non si sa a cosa porterà tale proibizione francese a tutti i neonicotinoidi, però si può intuire almeno in senso lato. Venendo a mancare la maggior parte degli aficidi attualmente impiegati, sarà molto difficile per gli agricoltori transalpini fronteggiare le avversità in modo soddisfacente ed economico come hanno finora fatto. Se poi dovesse arrivare sul serio la proibizione anche di glifosate, indipendentemente da quello che deciderà l'Europa, fare l'agricoltore in Francia potrebbe diventare una fatica di Ercole su molte colture.

Inizino quindi a meditare su ciò anche i vari consorzi di difesa e le associazioni agricole italiane, i primi decisamente troppo proni alle richieste abolizioniste oggi di questo, domani di quello (vedesi area Prosecco); le seconde troppo spesso divise e litigiose, concentrate in modo quasi ossessivo sulla richiesta di più fondi pubblici, in forma di sussidi e contributi vari, anziché battere i pugni sul tavolo pretendendo vengano lasciati i propri associati liberi di imprendere in modo produttivo ed economicamente sostenibile. Andando avanti di questo passo, infatti, la situazione agricola italiana non potrà che peggiorare, con i produttori nostrani ormai capaci di produrre oggi meno del 70% dei fabbisogni interni, contro l'oltre 90% dei primi anni '90.

Perché prima di difendere il made in Italy dall'odiato Italian Sounding, questo benedetto made in Italy bisogna pur ben produrlo. E se ai produttori si tolgono ogni giorno sempre più strumenti efficaci ed economici, illudendosi magari di rimpiazzarli con qualche assicurazione, il destino dell'agricoltura italiana è già segnato.