Nikolaj Ivanovic Vavilov (1887-1943) è stato un famoso genetista e botanico russo che ha viaggiato per il mondo studiando la diversità genetica delle colture e raccogliendo campioni che ancora oggi sono conservati nella banca del germoplasma a lui intitolata a San Pietroburgo.

 

Ad ottant'anni dalla sua morte, avvenuta in un gulag in quanto le sue idee erano in contrasto con l'ideologia del regime sovietico, è stato organizzato a Milano un incontro dedicato al ruolo che le Tea, le Tecniche di Evoluzione Assistita, possono avere nel migliorare le varietà che oggi si coltivano in tutto il mondo.

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Vite, grande malata d'Europa

La vite (Vitis vinifera) è una specie su cui si basa un pezzo importante dell'economia italiana e della cultura europea. Tuttavia, è una specie critica sotto almeno due punti di vista. Il primo è riassumibile in un dato: la vite è coltivata sul 3-4% della Sau europea, ma consuma il 65% dei fungicidi utilizzati ogni anno nel vecchio continente.

 

Questo perché la propagazione in purezza delle varietà di vite ha impedito quel processo di miglioramento genetico che in altri campi, come ad esempio nella cerealicoltura e nella frutticoltura, ha permesso di selezionare resistenze in grado di porre una barriera ai patogeni fungini. E così, il livello di suscettibilità della vite è rimasto costante nei secoli.

 

Il secondo punto critico riguarda invece l'adattamento ai cambiamenti climatici. In futuro ci sarà sempre meno acqua e la viticoltura rischia di farne le spese. Da un lato, infatti, i vigneti crescono spesso in aree, come le colline, difficilmente irrigabili. In secondo luogo la vite dà vita ad un prodotto, il vino, che è voluttuario e di cui l'uomo può farne a meno per vivere (su questo punto qualcuno potrebbe dissentire). Se in futuro, come sembra, ci sarà scarsità di acqua, la viticoltura potrebbe dunque essere l'ultima delle attività produttive ad avere accesso a questa risorsa.

 

Cosa fare allora? Il miglioramento genetico potrebbe dare una risposta ad entrambi questi problemi.

 

Il miglioramento genetico dei portainnesti

Quando nel 1863 la fillossera arrivò in Europa, trasportata inconsapevolmente con alcune piantine di vite americana richieste dai collezionisti francesi (come Borty e Laliman), fece strage dei vitigni europei (tutti appartenenti alla specie Vitis vinifera). Come è noto, si pensò allora di innestare delle marze su dei portainnesti di vite americana che, essendosi evoluta insieme a questo insetto, ne era resistente.

 

Nel corso degli anni si susseguirono diverse spedizioni negli Stati Uniti, come ad esempio quella di Pierre Viala, per andare ad individuare quegli esemplari di vite americana (come Vitis rupestris) con cui creare i portainnesti. Fu un lavoro avventuroso, che portò i ricercatori nelle aree rurali del Nord America alla ricerca degli esemplari più promettenti.

 

Il risultato fu che sacchi di semi furono inviati in Europa e, dopo un lungo processo di selezione, furono individuati gli esemplari più interessanti. Si trattava infatti di scegliere dei portainnesti che non solo fossero resistenti alla fillossera, ma che si adattassero anche ai terreni europei (come quelli francesi, ricchi di calcare) e che fossero in grado di sostenere una produzione di uva di qualità.

 

I portainnesti che utilizziamo oggi sono figli di quei semi importati da Oltreoceano, ma la variabilità genetica di cui disponiamo è estremamente limitata. Come illustrato da Attilio Scienza, decano della viticoltura europea, per ricercare nuova variabilità è necessario tornare ai bacini di originario sviluppo di queste piante, quali ad esempio gli Usa o l'Asia.

 

Vitis bainesii è una specie di vite, apparentemente frutto di un incrocio tra un banano e una pianta succulenta, che tuttavia appartiene al genere Vitis e può essere fonte di tratti interessanti

Vitis bainesii è una specie di vite, apparentemente frutto di un incrocio tra un banano e una pianta succulenta, che tuttavia appartiene al genere Vitis e può essere fonte di tratti interessanti

(Fonte foto: Tratta dalle slide dei relatori del convegno "Dopo Vavilov: Tecnologie di Evoluzione Assistita")

 

Solo in quegli areali infatti è conservata la grande variabilità genetica di cui abbiamo bisogno per migliorare i portainnesti. Andando ad individuare esemplari di vite che si sono adattati agli areali più siccitosi, come ad esempio in California e in generale nel Sud degli Stati Uniti, sarebbe così possibile ad esempio selezionare delle piante in grado di gestire gli effetti che i cambiamenti climatici avranno sul Bacino del Mediterraneo.

 

Grazie alla collaborazione tra l'Università degli Studi di Milano e l'UC Davis sono arrivati negli anni passati 150mila semi appartenenti a specie del genere Vitis che ora sono allo studio per identificare quelli più interessanti per lo sviluppo di nuovi portainnesti. Su questo fronte le Tea, e in particolare la cisgenesi, potrebbero fornire degli strumenti molto interessanti ai ricercatori.

 

L'elenco di specie e varietà di vite allo studio per l'individuazione di nuovi portainnesti

L'elenco di specie e varietà di vite allo studio per l'individuazione di nuovi portainnesti

(Fonte foto: Tratta dalle slide dei relatori del convegno "Dopo Vavilov: Tecnologie di Evoluzione Assistita")

 

Uva da vino, possibile migliorarla?

Discorso diverso deve essere invece fatto per quanto riguarda le varietà di vite da vino oggi coltivate, il cui miglioramento tramite incrocio con parentali non appartenenti a Vitis vinifera, sebbene sia possibile, è di fatto difficilmente percorribile. Primo, perché incroci fatti in passato hanno dato vita a vitigni il cui profilo qualitativo era modesto. In secondo luogo, perché la legislazione e i disciplinari di produzione pongono dei paletti apparentemente insormontabili.

 

La vite può essere migliorata o tramite incrocio o tramite Tea

La vite può essere migliorata o tramite incrocio o tramite Tea

(Fonte foto: Tratta dalle slide dei relatori del convegno "Dopo Vavilov: Tecnologie di Evoluzione Assistita")

 

E qui entrano in gioco le Tea. Come spiegato da Riccardo Velasco, direttore del Centro Crea Viticoltura ed Enologia, oggi le nuove tecnologie di miglioramento genetico permetterebbero, non senza difficoltà, di mantenere l'identità genetica dei vitigni, apportando però piccolissime modifiche al genoma. E tali modifiche permetterebbero, ad esempio, di avere vitigni resistenti alle malattie fungine o in grado di resistere meglio agli stress climatici.

 

Certo, il Crea, come anche altri istituti di ricerca, ha dei programmi di breeding basati su incrocio assistito da marcatori molecolari, che hanno permesso di ottenere delle nuove varietà con dei tratti di resistenza (come una "Glera" resistente a peronospora). Eppure si tratta di lavori estremamente lunghi (quindici, venticinque anni), costosi e dall'esito incerto.

 

Insomma, si tratta di un approccio che certamente non consentirebbe alla viticoltura di aggiornarsi in tempi rapidi per permettere una diminuzione degli agrofarmaci utilizzati e un adattamento al clima che cambia.

 

Le Tea, e in particolare la cisgenesi e il genome editing, le cui caratteristiche sono state spiegate dal professor Carlo Pozzi (Università degli Studi di Milano), permetterebbero invece di migliorare le varietà attuali in modo veloce, preciso e sicuro. Si potrebbero ad esempio creare dei cloni di Nebbiolo che non contraggono la peronospora. Piante nuove, ma identiche alle originali, che potrebbero essere usate negli attuali disciplinari di produzione, salvaguardando così il prestigio delle denominazioni.

 

Durante il processo di addomesticamento e di selezione molta della variabilità genetica presente nelle varietà moderne è andata perduta

Durante il processo di addomesticamento e di selezione molta della variabilità genetica presente nelle varietà moderne è andata perduta

(Fonte foto: Tratta dalle slide dei relatori del convegno "Dopo Vavilov: Tecnologie di Evoluzione Assistita")

 

Da Vavilov alle Tea, un viaggio appassionante

Il convegno dedicato a Vavilov dello scorso 15 dicembre ha in effetti affrontato un numero molto elevato di argomenti, che in un articolo sarebbe stato impossibile riportare esaustivamente. I saluti introduttivi sono stati affidati a Flavio Barozzi e Osvaldo Failla, rispettivamente presidente della Società Agraria di Lombardia e presidente del Museo di Storia dell'Agricoltura di Sant'Angelo Lodigiano (Lo), organizzatori dell'incontro. 

 

Dopo una introduzione di Francesco Salamini (Accademia Nazionale dei Lincei), Carlo Pozzi ha parlato della storia del miglioramento genetico in agricoltura, dai tempi antichi fino ai giorni nostri con le Tea. Riccardo Velasco si è concentrato sulla viticoltura, come anche Attilio Scienza. Mentre Luigi Cattivelli, direttore del Centro di Ricerca per la Genomica e la Bioinformatica del Crea, si è focalizzato sul frumento.

 

Interessante l'intervento di Laura Rossini, docente presso l'Università degli Studi di Milano, che ha parlato di come si sono evolute le banche del germoplasma negli anni e di come oggi, grazie anche all'informatica, rappresentino uno strumento prezioso per i genetisti, che possono andare a cercare tratti di interesse.

 

Alessandro Vitale, del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr), ha invece dedicato il suo intervento alla normativa che regola l'uso delle Tea, strumenti che oggi ricadono sotto la Direttiva 2001/18 sugli Ogm, ma che presto potrebbero essere regolati da una nuova legislazione, al vaglio degli organi dell'Unione Europea. Al termine, Tommaso Maggiore, storico docente di Agraria, ha lanciato alcuni spunti di riflessione.

 

Tutti gli interventi possono essere ascoltati in questa pagina.