E’ in atto oggi nei campi sperimentali del Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria di Caserta una ricerca su come migliorare le varietà locali con più elevato potenziale gradimento sul mercato mediante l’utilizzo di portainnesti nanizzanti, un’attività sperimentale che ha preso le mosse dall’esigenza di tutelare queste varietà, tutte a rischio di estinzione. La Campania, con areali a vocazione cerasicola posti in zone di collina e montagna, da una tale eventuale ripresa produttiva potrebbe contribuire al rilancio delle aree rurali interne della regione.
E’ quanto emerso il 4 giugno 2019 a Caserta, durante la Giornata aperta del Ciliegio – organizzata dal Centro di ricerca Olivicoltura, frutticoltura e agrumicoltura del Crea del capoluogo di Terra di Lavoro, dove ha fatto sentire la sua voce l’associazione Città delle Ciliegie, pronta ad accompagnare il processo di rilancio della coltivazione di questa fruttifera in Campania
Ha aperto i lavori Milena Petriccione, responsabile di sede Crea Ofa Caserta, che ha introdotto i successivi interventi, ricordando come Felice Pennone e Vincenzo Abbate del Crea Ofa di Caserta nel 2001 hanno pubblicato uno “Studio sulle cultivar di ciliegio autoctone della Campania”. In questo lavoro sono state descritte ben 50 cultivar autoctone della Campania: un ventaglio di opportunità oggi ancora esistente e che presenta date di raccolto dal 5 maggio alla fine di giugno e oltre.
Felice Pennone del Crea Ofa Caserta, ha presentato il lavoro “Panoramica e prospettive della ciliegicoltura con particolare riferimento alla Campania”. Il ricercatore ha ricordato come - secondo l’Istat - in Puglia solo dal 1995 le superfici investite crescono fino al raddoppio, anche grazie ad importanti investimenti pubblici per la ricerca dell’acqua. In Campania, secondo l’Istat, si sono prodotte tra il 2013 ed il 2017 in media oltre 273mila quintali di ciliegie all'anno, vale a dire il 19,96% della produzione italiana. La Campania è seconda solo alla Puglia, che ha sì una produzione media stimata nel quinquennio considerato di oltre 406mila quintali (29,70%), ma anche superfici investite di gran lunga superiori: 18.609 ettari stimati dall’Istat nel 2017 contro i 3186 ettari della Campania, dei quali oltre il 60% concentrati a Caserta. Pertanto, le rese medie per ettaro risultano quadruple in Campania con 85,8 quintali, rispetto ai 21,85 quintali della Puglia.
Fino al 1986 la Campania era forte di ben 8277 ettari investiti a ciliegio. “Scarsa organizzazione e scarsa innovazione hanno ridotto superfici e produzione negli anni in Campania" ha sottolineato Pennone, che ha ricordato come la Campania sia anche caratterizzata da “forte vocazione ambientale, grande tradizione di coltivazione e grande patrimonio genetico autoctono”.
Dalla relazione di Pennone si apprende che diverse tra le 50 varietà locali oggetto di studio risultano idonee a tornare sul mercato, dopo un programma di miglioramento genetico, volto all’ottimizzazione dell’altezza delle piante, da inserire in sistemi di allevamento moderni e dalla gestione più economica. Di questo variegato germoplasma fanno parte la varietà precoce Maiatica di San Potito Sannitico, la Bertiello di Somma Vesuviana – la Duroncella Nera, la Spernocchia di Bracigliano, diffusa in provincia di Salerno e premiata nel 2011 come migliore ciliegia d’Italia, e l’Imperiale: diffusa in tutta la regione, ma che aveva un buon insediamento nell’areale del Monte Maggiore, in provincia di Caserta.
“La Campania ha potenzialità per riprendersi il primato produttivo nazionale, se si va alla radice del problema – ha concluso Pennone - non bisogna far scomparire le cultivar locali, ma occorre anzi partire da queste per il miglioramento genetico, investendo per ampliare la coltivazione”. Il perché di questa affermazione è anche da ricercarsi nei più bassi rendimenti quali-quantitativi negli areali campani delle cultivar commerciali introdotte negli ultimi anni.
Ha preso quindi la parola Vincenzo Abbate, breeder esperto in ciliegicoltura del Crea Ofa che ha illustrato i “Risultati di prove sperimentali per la valorizzazione ed il recupero della cerasicoltura da industria e da consumo fresco nella Comunità Montana del Montemaggiore ed in alcune aree delle colline casertane”.
“Qui la maggior parte delle ciliegie sono da industria e la commercializzazione dei frutti comincia da fine aprile con la cultivar Santa Lucia e finisce a metà luglio con l’Imperiale – ha sottolineato - Fra queste due varietà ne maturano altre, quali la Stoppa la Cannamela, Margarita e Margaritone, e altre varietà poco diffuse, ma non per questo meno importanti".
"Queste cultivar storiche in via di estinzione - ha aggiunto - sono ora conservate in un campo prova portainnesti delle ciliegie locali nel comune di Formicola (Caserta) avviato nel 2011. Oltre al ciliegio dolce ha importanza anche il ciliegio acido per la produzione di amarene, alcune di queste a frutto scuro, vendute alle industrie di trasformazione insieme al ciliegio dolce”.
Tra le varietà locali sotto osservazione e per le quali si sperimentano portainnesti innovativi, c’è l’Imperiale, diffusa nell’areale della comunità montana del Monte Maggiore in particolare nei comuni di Formicola, Pontelatone e Castel di Sasso. Presenta molti vantaggi: è idonea alla trasformazione industriale. Ma anche al consumo fresco.
“Per questo mercato bisogna raccoglierla ben matura e farla conoscere ai consumatori in quanto è a buccia giallo rosso e polpa chiara, tipologia scomparsa dai mercati per consumo fresco con l’avvento di quelle a frutto scuro – avverte Abbate - ma le caratteristiche organolettiche a volte sono superiori. Ha un elevato grado Brix (17-18) e una pezzatura medio grossa (7-8 grammi) ma se coltivata bene su impianti razionali può ancora migliorare”.
Vincenzo Abbate, nel 2011, per valorizzare queste produzioni, ha realizzato nel comune di Formicola una prova sperimentale sull’interazione tra dieci diversi tipi di portainnesti e alcune cultivar di ciliegio autoctone. Il campo sperimentale di circa 40 are. Un primo risultato di questo lavoro è che le cultivar tipiche di ciliegio locali sono state innestate, quindi salvate dall’estinzione. Per ottenere, però, dati certi che validino queste cultivar sui portainnesti occorrono altri anni di prove: “Questo perché alcuni portainnesti, specialmente quelli meno vigorosi, pur dando inizialmente risultati apparentemente positivi, in seguito ne hanno deluso le aspettative" spiega Abbate.
L’aspetto originale di queste sperimentazioni su portainnesti è che riguarda cultivar autoctone in un areale d’elezione, come quello della Comunità montana del Monte Maggiore. “Con i dati di questa esperienza, sommati a quelli derivanti da una analoga avviata sempre da me nel 2009 nell’azienda sperimentale del Crea di Francolise (Caserta), sul ciliegio acido – conclude Abbate - si potrebbe in futuro innovare, razionalizzare e potenziare la coltivazione del ciliegio acido e dolce da industria e consumo fresco in vari comuni della Comunità montana del Monte Maggiore (Caserta), costruendo una filiera, aggregando i cerasicoltori, dando nuova linfa a due specie di ciliegio che già in passato hanno offerto un notevole apporto all’economia locale”.
Infine, dopo la presentazione di “Risultati ottenuti, in Italia e all’estero, dalle analisi molecolari dei ciliegi con diversi sintomi associati alla presenza di fitoplasmi” di Mariella Pastore del Crea Ofa di Caserta, conclusioni affidate a Ferdinando Albano, presidente della associazione Città delle Ciliegie: ”Bisogna investire sui portainnesti nanizzanti per salvare cultivar autoctone come l’imperiale – ha detto - per tanto ci sarà tutto l’impegno a collaborare per sviluppare il progetto di Città delle Ciliegie”.