La siccità, nonostante l'arrivo recente di alcune importanti perturbazioni, attanaglia ancora la Sicilia, dove peraltro il Governo regionale ha dichiarato lo stato di calamità sin dal 28 novembre 2023, e la Sardegna, dove il 12 gennaio il Consorzio di Bonifica della Sardegna Centrale ha vietato l'uso irriguo dell'acqua, per poter tutelare la risorsa a scopo potabile. A riferirlo in una nota stampa è l'Anbi, Associazione Nazionale tra i Consorzi di Bonifica e Irrigazione.

 

Sicilia, stato di calamità verso il bis

Secondo l'Anbi, Associazione Nazionale tra i Consorzi di Bonifica e Irrigazione, a gennaio in Sicilia è crisi idrica, uno status certificato dalla Regione Siciliana, e che ha già comportato il razionamento dell'acqua in 39 comuni nell'area di Palermo, Agrigento e Caltanissetta, una situazione appena mitigata dall'ondata di maltempo che ha investito l'isola nei giorni scorsi con abbondanti cumulate di pioggia con punte che hanno sfiorato i 100 millimetri in 24 ore a Monreale e Ragusa e grandinate su ragusano e trapanese. Non sono mancate le trombe d'aria marine, che hanno interessato i comuni di Siracusa, Terrasini, Capo d'Orlando, Portopalo di Capo Passero, Patti.

 

"Fino ad allora si erano avuti 3 mesi di siccità estrema - sottolinea Anbi, che cita i dati del Dipartimento Regionale dell'Autorità di Bacino del Distretto Idrografico Sicilia - con piogge pressoché assenti e temperature che hanno superato ogni record: al 1° dicembre 2023, le riserve idriche negli invasi in Sicilia erano inferiori di ben 45,6 milioni di metri cubi (-13%) rispetto ad un anno prima ed attualmente mancano all'appello circa 54 milioni e mezzo di metri cubi sulle medie più recenti".

 

Non a caso già il 28 novembre 2023, la Giunta regionale della Regione Siciliana, presieduta da Renato Schifani aveva dato il via libera alla dichiarazione dello stato di calamità per i danni causati alle produzioni agricole in Sicilia dalle ondate di calore e dagli incendi nel mese di luglio e dalla siccità nei mesi di settembre e ottobre 2023.

 

Secondo una nota della Regione Siciliana del 28 novembre i danni erano già ingentissimi a fine ottobre, quando le ondate di calore avevano determinato cali produttivi, per cascola e per rallentamento della crescita ed ingrossamento di frutta e ortaggi. Danni anche per il comparto vitivinicolo, agrumicolo, olivicolo, foraggero, apistico e zootecnico.

 

Ma la siccità in Sicilia non si ferma a fine ottobre e continua fino a quando, il 4 gennaio scorso, Fabio Caruso, direttore di Confagricoltura Catania chiede, durante un'intervista rilasciata a Rei Tv, che sia subito dichiarato lo stato di calamità per l'intero settore agricolo della regione. È la richiesta che la Federazione Sicilia di Confagricoltura ha già avanzato all'assessore regionale all'Agricoltura Luca Sammartino. Ove fosse deliberato dalla Giunta regionale, si tratterebbe - in pratica - di un secondo stato di calamità per la Sicilia, saldato temporalmente con quello già dichiarato a fine novembre, ma valevole solo dall'estate e fino a fine ottobre 2023.

 

La principale causa della crisi produttiva che sta investendo tutti i comparti, è il cambiamento climatico. Il direttore Caruso definisce "drammatica" la situazione che stanno vivendo ortofrutta e cerealicoltura, anche per l'impossibilità di seminare su un terreno reso polvere dalla siccità. Ma a soffrire sono anche zootecnia e vitivinicoltura. Colpa della scarsità delle precipitazioni "le più basse mai registrate da un secolo a questa parte" sottolinea Caruso e - di conseguenza - "l'impoverimento della principale risorsa idrica della Sicilia: l'Etna".

 

Sardegna, scattano i divieti d'irrigazione

Ma secondo Anbi è già crisi idrica in Sardegna ai primi di gennaio 2024, con invasi regionali ad un livello d'emergenza rossa nei comprensori di Sardegna Nord Occidentale, Alto Cixerri, Posada ed Ogliastra: "a causa della scarsità di piogge e del caldo anomalo - sottolinea la nota dell'Anbi, che cita l'Autorità di Bacino Regionale della Sardegna - la richiesta d'acqua è stata superiore al consueto e ha comportato, nel solo mese di dicembre, una riduzione di oltre 14 milioni di metri cubi nella disponibilità idrica presente negli invasi, dove attualmente mancano circa 380 milioni di metri cubi rispetto alla media degli anni recenti e il bilancio è negativo anche in rapporto all'anno scorso".

 

Su questo quadro desolante ha preso posizione Coldiretti Sardegna: "È  necessario dichiarare lo stato di calamità naturale in quelle zone che stanno soffrendo maggiormente il problema siccità, che sta portando a ripercussioni anche sul sistema agropastorale isolano con rischi sul sistema irriguo dei prossimi mesi - ha affermato il presidente Coldiretti Sardegna, Battista Cualbu lo scorso 12 gennaio - ma bisogna al contempo anche andare oltre e fare in modo che questi cambiamenti climatici possano essere affrontati nel migliore dei modi dalle nostre comunità locali".

 

Per Cualbu è necessario "avere una gestione più virtuosa ed efficace della risorsa idrica attraverso il miglioramento delle reti idriche infrastrutturali con una migliore gestione delle dighe, sostenendo e rafforzando il ruolo dei consorzi di bonifica e supportando le aziende agricole sarde attraverso il rafforzamento delle misure a investimento, finalizzate anche al sistema irriguo, e all'agricoltura di precisione".

 

E giusto il 12 gennaio scorso, il Consorzio di Bonifica della Sardegna Centrale ha vietato l'utilizzo dell'acqua ad uso irriguo in tutti e tre i sub comprensori di sua competenza, con un provvedimento del Consiglio di Amministrazione divenuto ineludibile essendo ormai esaurite le scorte assegnate dall'Ente Acque della Sardegna il primo gennaio 2023 per rispettivi 22 milioni per il bacino del Posada (Diga di Maccheronis), 21mila per il Cedrino (Diga di Pedra e Othoni), 8 milioni di metri cubi dal Taloro per il sub comprensorio della Media Valle del fiume Tirso.

 

Attualmente, per il distretto del Posada è stato stabilito il divieto assoluto di irrigazione. Per i distretti del Cedrino e media Valle del Tirso il divieto di utilizzo in campo aperto per erbai e prati di pascolamento.

 

"Siamo costretti dopo un anno di estrema siccità a ricorrere a questo strumento senza alternativa alcuna - spiega il presidente del Consorzio, Ambrogio Guiso - perché sostanzialmente dobbiamo preservare la poca acqua rimasta. Parliamo di 3 milioni di metri cubi nell'invaso del Posada, 7 milioni in quello del Cedrino. Permetteremo comunque l'uso potabile e gli abbeveraggi del bestiame. Non possiamo che prendere atto che le precipitazioni che garantivano l'apporto di acqua nei nostri bacini di accumulo stanno diventando sempre di più un'incognita. Fatto questo che ci deve portare a fare maggiormente attenzione alle programmazioni sul lungo periodo".

 

La mancanza di precipitazioni autunnali ha comportato infatti non solo un mancato apporto della risorsa, ma anche un consumo protratto per tutto il periodo autunnale, portando quindi la stagione irrigua a coprire periodi in emergenza. Le precipitazioni attese non hanno apportato la quantità necessaria, e se i primi mesi dell'anno saranno avari di precipitazioni si prospetta una primavera di forti e inevitabili restrizioni per il mondo agricolo della Sardegna centrale. Oltre seimila aziende distribuite tra i 4.300 ettari ricadenti nel distretto Cedrino, 5.700 ettari nel distretto Posada e 6.400 ettari nel distretto Media Valle del Tirso.