Si esce meno a cena, si cucina di più in casa, con la conseguenza che i consumi alimentari delle famiglie (anche quelle mononucleari) sono cambiati. In questo scenario, anche la televisione e i programmi di cucina, inseriti nella più ampia categoria di lyfestyle television, potrebbero (o dovrebbero) giocare un ruolo educativo, come strumento per valorizzare le tradizioni e i prodotti di un territorio.

Ne è convinta Debora Viviani, docente di sociologia dell’Università di Verona e componente dell’Osservatorio sui Consumi delle famiglie italiane, fondato proprio dall’Ateneo scaligero, autrice – fra gli altri – di "Il corpo dei giovani: tra moda e tradizione", edito da FrancoAngeli e di "Mangiar simboli. Cibo, benessere e cultura materiale" (con Domenico Secondulfo).

AgroNotizie l’ha intervistata, partendo da alcuni dati di fondo, elaborati dall’Osservatorio sui Consumi delle famiglie italiane, che ci dicono che nel 2013 il 93,7% ha dichiarato di uscire a cena solamente una volta alla settimana e di preferire le cene a casa con amici, imparando o migliorando il proprio modo di cucinare.

Sempre nello stesso anno – dichiara Debora Viviani - Coldiretti ha registrato un incremento nell’acquisto di uova (+5%), miele (+12%), farina (+7%), preparati per dolci (+6%), dati che riflettono la tendenza a privilegiare l’acquisto di materie prime. I dati emersi da queste indagini avvalorano la tesi di un crescente fai da te in cucina”.

Dottoressa Viviani, questa tendenza riguarda anche il mondo dei giovani?
I recenti dati della ricerca Coldiretti/Censis ci dicono che sono 10 milioni i giovani tra i 18 ed i 34 anni che cucinano e lo fanno con piacere e per passione (38,6 per cento), per gratificarsi (24,5 per cento) o rilassarsi (24,4 per cento). Una tendenza che sembra interessare non solo le ragazze, ma anche i ragazzi. Se, infatti, da sempre, la dimensione di genere è importante, da questa ricerca emerge che il 38,8% dei ragazzi oggi cucina spesso, un dato che sta crescendo”.

Siamo primi in Europa per prodotti Dop e Igp, certificati e con una storia. Abbiamo non una cucina nazionale come la Francia o la Germania, ma più cucine del territorio, delle tradizioni. Come si può promuoverla?
Oggi si assiste ad un forte interesse da parte dei media alle dinamiche legate all’alimentazione. Sono sempre di più i programmi televisivi che insegnano a cucinare, che presentano vere e proprie gare in cucina, con concorrenti più o meno del settore e di diverse età, che insegnano quali sono i trucchi per gestire un ristorante di successo.
Questi programmi, che si inseriscono nella categoria della lifestyle television, fanno sognare il pubblico e rispondono all’esigenza di notorietà delle persone comuni. Attraverso il cibo, infatti, si crea un riconoscimento individuale da parte dello spettatore stesso, questo interesse mediatico per il cibo potrebbe contribuire ad avvicinare le persone alla cucina, nella sua tradizione
”.

Molte volte il pubblico di questi programmi è un pubblico giovanile.
Esattamente. Mi chiedo allora perché non pensare a raccontare, con mezzi mediatici ed estetici attuali e che hanno successo oggi, qual è la tradizione che fonda la nostra cucina”.

A suo parere, abbiamo a che fare con programmi che lanciano messaggi educativi?
Non particolarmente, per non dire assai raramente. Molto spesso, purtroppo, infatti, questi programmi non insegnano a mangiare bene. Il cibo in questi programmi appare più come un pretesto, il vero intento è fare intrattenimento, spettacolo”.

Bisognerebbe dunque modificare il messaggio?
Senza dubbio. Il cibo non dovrebbe più essere l’espediente, ma il vero protagonista, così la sua storia, le tradizioni, la cultura. Come diceva Foucault, il regime dietetico è un’arte di vivere. E questo dovrebbe essere insegnato”.

In vista di Expo, la battaglia per la lotta alla contraffazione con quali mezzi va combattuta?
Sicuramente la valorizzazione di ciò che è nostro, di quello che è il nostro prodotto è il primo passo, ma questa valorizzazione deve avvenire attraverso la comunicazione; una comunicazione che utilizzi i mezzi e le strategie mediatiche riconosciute ed amate dal pubblico, soprattutto da quello giovanile. Ci deve essere un avvicinamento, e per farlo, bisogna usare il linguaggio che il pubblico riconosce”.