Da sinistra, Claudia Sorlini, Diana Bracco,
Giuliano Pisapia, Roberto Maroni e David Wilkinson
Gran parte del dibattito è stato dedicato alle tematiche tematiche più attuali (e gettonate) dell'agroalimentare: dall'Italian sounding alla contraffazione, dalle eccellenze made in italy al land grabbing fino alla food securuty strettamente connessa all'aumento esponenziale della popolazione mondiale. Una problematica che nei prossimi anni occuperà sempre di più le agende istituzionali e non, insieme alla necessità di garantire a tutti l'accesso al cibo, senza però trascurare i concetti di qualità, salubrità degli alimenti e disponibilità limitata delle risorse.
"La terra è l'affare del secolo e la sicurezza alimentare è una sfida contingente ancora più urgente del cambiamento climatico - ha detto Paolo De Castro, presidente della Commissione agricoltura e sviluppo rurale del Parlamento europeo, poco prima di citare Hilary Clinton: "se non fossimo tanto distratti dalla crisi economica, ci accorgeremmo che l'agricoltura è la sfida del futuro".
Rilancia, quindi, De Castro l'importanza della ricerca e dell'innovazione, centrali nella corsa alla "intensificazione sostenibile", espressione con cui il Parlamentare europeo identifica una tra le risposte all'incessante aumento del fabbisogno alimentare.
"Anche per questo - ha detto De Castro - occorre affrontare il problema italiano e non solo, del consumo di suolo; noi e i nostri cugini francesi consumiamo il doppio del territorio rispetto alla Germania.
Per consumo di suolo - ha chiarito - intendo la sottrazione per usi diversi di terreno a vocazione agricola, una questione che dovrebbe essere avvertita come oggetto di interesse collettivo".
Una delle risposte più concrete invocate da Pisapia - "basta documenti pieni di propositi non ancorati alla realtà, è ora di trovare un centro concreto verso cui puntare", aveva detto il sindaco in apertura di lavori - è arrivata da Antonio Di Giulio, DG ricerca e innovazione della Commissione europea che ha presentato il neonato progetto Horizon 2020.
Con Horizon l'europa butta un occhio di riguardo alle piccole e medie imprese e ne sostiene lo sviluppo stanziando 70miliardi di euro a sostegno della ricerca finalizzata all'innovazione.
"Abbiamo già istituito i primi bandi - ha spiegato Di Giulio -, nati da un'analisi strategica fatta in questi mesi. Gli obiettivi di base individuati sono la sicurezza alimentare e l'innovazione sostenibile con un focus particolare sulla tutela delle acque". Ancora troppo limitato, secondo il rappresentante europeo, il contributo privato alla ricerca; "il 79 per cento delle risorse - spiega -, proviene dal pubblico".
Voce fuori dal coro quella di Ettore Prandini, presidente Coldiretti lombardia che, in modo molto pragmatico, ha puntato il dito contro quanti "distratti" si accorgono solo ora che la ricerca sta affondando e non ci sono risorse a sostegno dei giovani che, come spiegherà più tardi Massimo Iannetta di Enea, "sono vittime di una ricerca con il freno a mano tirato, e una volta formati e mortificati dal sistema nazionale, costretti a fuggire all'estero dove trovano apprezzamento e risorse".
"Stiamo perdendo quanto di buono è stato fatto fino ad ora - ha chiarito Prandini -, la preoccupazione di Coldiretti è che il consumatore si renda conto che nelle produzioni made in italy, di italiano è rimasto ben poco. Per questo, riteniamo urgente fare chiarezza su ciò che davvero è prodotto in Italia e su ciò che importato, entra nella produzioni italiane. Ne va della credibilità della nostra credibilità a livello europeo e nazionale".
Pensare diversamente, cambiando approccio, non solo nella ricerca ma nelle abitudini quotidiane di ogni cittadino che deve concentrarsi ogni giorno di più sulla tutela ambientale e sulla salvaguardia delle risorse, è stata la questione sollevata durante l'incontro, ma il punto focale l'ha centrato Franco Scaramuzzi, presidente dell'Accademia dei Gergofili, "Diciamo che le importazioni sono indispensabili poiché la produzione nazionale non riesce a soddisfare il fabbisogno interno - interroga Scaramuzzi -: ma chiediamoci, sono gli agricoltori che dovrebbero seminare e produrre di più pur lavorando in perdita, o sono le filiere che dovrebbero pagare prezzi remunerativi?".
Una soluzione interessante Scaramuzzi l'abbozza. Si dovrebbe operare nell'ambito della filiera come un'unica grande impresa sul modello delle singole aziende che sempre più producono, trasformano e si rivolgono direttamente al consumatore. Andrebbero concordati e assicurati ai produttori prezzi equi ricavando le somme necessarie dal valore aggiunto complessivo.
Utopistico? Forse, ma seguire un'utopia può essere meglio che avvitarsi in burocrazie, autoreferenzialità a volte presenti nel mondo universitario e nei "propositi disarcionati dalla realtà" tanto temuti dal sindaco milanese ma onnipresenti.
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Fonte: Agronotizie - Settimanale di tecnica, economia e innovazione in agricoltura
Autore: Michela Lugli