La crisi climatica e ambientale si incrocia a quella economico-finanziaria. Alcune importanti ricorrenze politiche – a livello globale il vertice Rio+20 sulla sostenibilità e a livello europeo la riforma della politica agricola comune rappresentano fattori che convergono verso la stessa direzione: la necessità di orientare i modelli di sviluppo verso un'economia 'green', a basso tenore di carbonio, realmente sostenibile e innovativa. Un cambio di paradigma che non solo ci permetterebbe di affrontare il cambiamento climatico in atto, ma che offre anche concrete opportunità di rilancio dell'economia.

Così come accade in tutti i settori produttivi, anche la filiera agroalimentare deve riorientarsi verso modelli di produzione e sviluppo sostenibili e 'depetrolizzati' che richiedono ricerca e innovazione. Per questo la riforma della Pac al 2020, quella che dovrebbe porsi come traguardo la sicurezza alimentare dei cittadini europei, la dignità reddituale degli agricoltori nonché l'armonia del paesaggio rurale, deve non solo sostenere i modelli di agricoltura verdi, a partire dal e a far leva sul biologico, ma deve investire convintamente in ricerca e conoscenza.

E' questa la tesi di fondo dell'incontro 'Una politica argicola (per il bene) comune' promosso da Cgil, Firab e Legambiente e che si è tenuto il 2 marzo a Roma, all'ex Hotel Bologna.

Il convegno è stato coordinato da Piero Bevilacqua e vi hanno preso parte Vincenzo Vizioli e Maria Grazia Mammuccini per Firab, Massimo Morassut e Domenico Pantaleo per la Flc Cgil Cra, Giorgio Zampetti per Legambiente, Marcello Mastrorilli per il Cra, Mauro Gamboni per il Cnr, Giuseppe Blasi, responsabile della Direzione generale della competitività per lo sviluppo rurale del Mipaaf, e i senatori Francesco Ferrante, Leana Pignedoli e Paolo Scarpa Bonazza Buora.

"Nella definizione della Pac post 2013 – ha sottolineato Vincenzo Vizioli, presidente della Fondazione italiana per la ricerca in agricoltura biologica e biodinamicanon solo bisogna promuovere in modo deciso i modelli agricoli sostenibili e virtuosi, come il biologico, ma bisogna rinnovare profondamente il sistema di produzione di conoscenze e innovazione, dedicandovi risorse adeguate. Di più. La Pac del futuro deve investire in reti di conoscenze capaci di premiare la partecipazione dei produttori e la specificità ecologica e sociale dei territori e di offire idee innovative per un cambiamento di paradigma economico".

Partendo dal punto fermo che il cibo e il territorio non sono merci, bensì beni comuni, Cgil, Firab e Legambiente hanno sottolineato lo stretto nesso che lega la sostenibilità alla conoscenza, un binomio che dovrebbe essere centrale nell'orientare le scelte di indirizzo della politica agricola comune, così come nell'orientare i finanziamenti della ricerca di settore, riequilibrando i flussi di denaro pubblico dalla ricerca sull'ingegneria genetica vegetale a quella sull'agricoltura biologica e su recupero e valorizzazione della biodiversità di interesse agrario.

"L'esigenza di definire un nuovo modello di conoscenza nella ricerca agricola si accompagna all'istanza di riformare l'agricoltura - ha spiegato Massimo Morassut del Flc Cgil Cra - affinché risponda alle non più differibili esigenze di un uso rinnovabile delle risorse ambientali. Il sistema di ricerca e di acquisizione e produzione della conoscenza deve pertanto orientarsi e convergere verso criteri di sostenibilità ambientale, partecipazione sociale e validazione democratica che oggi la società richiede".

La fase, per altro, è proprio quella giusta per ridefinire le priorità tematiche della ricerca in agricoltura visto che sono in discussione le proposte legislative della Commissione europea sul nuovo programma quadro di ricerca 'Orizzonte 2020' e recentemente è uscita la comunicazione al Parlamento europeo relativa al parternariato per l'innovazione 'Produttività e sostenibilità dell'agricoltura' in collegamento proprio con il nuovo programma quadro e le proposte di riforma della Pac.

"In Italia si continua a perdere terreno agricolo e fertilità dei suoli, a consumare territorio e risorse idriche con gravi conseguenze ecologiche e ambientali, accentuate dai mutamenti climatici in corso". Questo il commento di Giorgio Zampetti della segreteria nazionale di Legambiente.

"Una risposta forte a tutto questo - ha sottolineato Zampetti - può arrivare da un modello agricolo multifunzionale che ha un ruolo sempre più importante nella tutela del territorio dal rischio idrogelogico, nella gestione sostenibile delle risorse idriche e nella mitigazione dei cambiamenti climatici. Obiettivi da raggiungere nell'interesse, oltre che della collettività, degli agricoltori stessi. Per questo motivo ribadiamo che la nuova politica agricola comune deve prevedere strumenti concreti per una riforma in questo senso del settore".