L’export, la valorizzazione delle Dop, la diversificazione dell’offerta per intercettare nuovi consumatori. Potrebbero essere queste le soluzioni per il settore lattiero caseario made in Italy? Le opportunità e l’inventiva delle imprese italiane non hanno paletti. Quello che serve, però, visto da angolazioni differenti, sembra essere il recupero della competitività nei confronti dei sistemi agroalimentari esteri.

Analizzando il mercato e i dati di Clal, infatti, si evince una ripresa dei prezzi del latte alla stalla nell’Unione europea (+0,7%) e negli Stati Uniti (+1%), ma non ancora in Italia (-3,8% rispetto alla quotazione precedente). Anche il Global Dairy Trade dello scorso 15 dicembre ha dato segnali di ripresa: +1,9% sui valori precedenti.

Potrebbe essere l’effetto-Cina, che anche nel mese di novembre ha segnato performance positive in termini di importazioni di formaggio (+53,06%), latte per l’infanzia (+75,12%), latte confezionato (+87,04%) burro (+53,42)? Senza dubbio. Ma gli ingredienti di una vivacità dell’export, anche del made in Italy, si evincono non soltanto da questi numeri.

I numeri elaborati da Clal per i primi 9 mesi del 2015 individuano trend positivi nelle esportazioni delle grandi Dop italiane.
Per Grana Padano e Parmigiano Reggiano le esportazioni verso la Germania (che rappresenta il 22% della quota di mercato) sono aumentate dello 0,6% rispetto allo stesso periodo del 2014; addirittura +25,6% le importazioni degli Stati Uniti (Paese che rappresenta il 15% della quota di mercato).

La Francia (29% della quota di mercato dei formaggi grattugiati o in polvere) ha aumentato le importazioni del 6,4%, mentre la Germania (che rappresenta il 28% della quota di mercato) ha aumentato l’import di formaggi grattugiati o in polvere del 54,6 per cento.

Pecorino e Fiore Sardo stanno incontrando sempre di più il gradimento degli americani. Gli Usa rappresentano il 64% della quota di mercato e nel periodo gennaio-settembre 2015 hanno segnato un +20,1% per cento.

Il Gorgonzola ha messo a segno un +9,1% nelle esportazioni verso la Germania, un mercato che vale il 23% dell’export.

Una lettura incentrata sulle opportunità dell’export – seppure con logiche improntate sul savoir faire italiano che non sulla totale provenienza locale del latte – l’ha data agli allevatori Jean Marc Bernier, amministratore delegato del gruppo Lactalis Italia.
Solitamente taciturno, Bernier dapprima ha rotto il silenzio nelle scorse settimane rilasciando un’intervista a Il Sole 24 Ore. Poi, a pochi giorni di distanza, ha inviato una lettera ai conferenti di Lactalis Italia, analizzando il mercato e, in particolare, rifuggendo dall’immagine di coloro che “affamano gli allevatori italiani” che la stampa italiana ha cucito loro addosso.

Partiamo dall’export. “Quello dei formaggi è un mercato maturo a livello nazionale, ma in forte crescita all’esteroha scritto Bernier -. L’Italia oggi esporta solo il 10% di ciò che rappresentano i formaggi tipo italiano nel mondo, è quindi
necessario riflettere sulle potenzialità di questo mercato, favorendo le esportazioni del vero prodotto italiano, mettendo le aziende del nostro Paese in condizione di produrre sul territorio per esportare
”.

La disponibilità di latte in Italia arriva a soddisfare poco più della metà di quanto necessario per la produzione dei formaggi – ha proseguito - è quindi terribilmente rischioso per la sostenibilità dell’intero settore pensare di non confrontarsi con il mercato europeo e legare il concetto del made in Italy alla sola materia prima e non al saper fare della tradizione casearia italiana”.

Con queste condizioni proibitiveha puntualizzato - rischiamo di arrivare ad un punto in cui il latte italiano verrà utilizzato per le sole produzioni destinate all'Italia e per le Dop e si perderà così la vera occasione di sviluppo rappresentata dalle grandi esportazioni. È arrivato quindi il momento di cambiare le regole e discutere di soluzioni a lungo termine che
possano rendere veramente competitivo il settore, valorizzando il prodotto italiano
”.

Una questione, per Lactalis, di competitività. “È necessario infatti che il settore lattiero caseario italiano cambi velocemente direzione e avvii riforme strutturali che permettano di riacquisire competitività per non trovarsi ai margini del mercato a causa di un divario rispetto al resto d’Europa, che diverrà sempre più difficile colmare”.

Ma anche una questione di costi. “È evidente che produrre un litro di latte in Italia costa di più rispetto alla Francia, alla Germania o al resto dell' Europa – ha riconosciuto l’ad di Lactalis - ma è altrettanto evidente che il latte italiano è quello più pagato. Gruppo Lactalis Italia non ha mai pagato il latte italiano a prezzo tedesco e lo ha sempre valorizzato incrementando il prezzo di riferimento del 15-20%; ma nei prossimi mesi, con l’accordo appena siglato, rischiamo di arrivare a pagarlo fino al 35% in più ed è impensabile credere che questa sia una situazione sostenibile a lungo termine”.