Indicazione d’origine in vista per le carni non processate...
Già da luglio 2011 si discute di estendere le norme di etichettatura già in uso per la carne di manzo a tutti gli altri tipi di carne. Proprio giovedì 17 ottobre, il tema sarà sul tavolo del Comitato tecnico di esperti di prodotti animali. L’intenzione è quella d’imporre ai produttori di inserire in etichetta il Paese in cui l’animale è stato allevato e quello in cui è stato macellato – non, invece, il luogo di nascita, che per la Commissione europea comporterebbe l’introduzione di un nuovo e costoso sistema di tracciabilità.
Le regole dovrebbero riguardare tutte le carni non processate a partire da dicembre 2014, a esclusione dei triti e delle frattaglie.
...sconsigliata invece per le carni processate
Cosa fare, invece, con i cibi contenenti carne? Ce lo si era chiesti anche all’epoca, ed era stato commissionato ai servizi della Direzione generale Salute e consumatori un rapporto sulla questione, poi accelerato a seguito degli scandali che quest’anno hanno coinvolto le carni equine.
Secondo le fughe di notizie – il rapporto sarà pubblicato ufficialmente solo tra qualche settimana – la Commissione europea ritiene che introdurre le indicazioni obbligatorie anche per le carni processate aumenterebbe i costi per gli operatori del settore da un minimo del 15% fino al 50%, oltre a un carico amministrativo aggiuntivo del 12%. Ovviamente, buona parte di questo costo verrebbe, di fatto, scaricato sui consumatori: il 90%, secondo il documento.
I più alti prezzi al consumo non sarebbero l’unica conseguenza negativa: potrebbe aumentare del 30% anche il costo dei controlli ufficiali, il che produrrebbe, a budget inalterato, una riduzione dei controlli stessi, col rischio di individuare peggio le frodi.
Inoltre, un simile provvedimento avrebbe il potenziale effetto di rinazionalizzare la produzione e il commercio e ridurre il numero degli intermediari.
Infine, gli operatori potrebbero essere incentivati a usare meno la carne come ingrediente di cibi pronti, causando perdite ai produttori stimate intorno al 10% e aumentando lo spreco alimentare degli prodotti secondari della macellazione, come frattaglie e grassi.
Un’opzione potrebbe essere allora di distinguere solo tra Stati Ue e non Ue, con un aumento dei costi per i produttori al massimo del 25%. Una misura, però, piuttosto generica e forse non molto utile, per cui il rapporto invita a valutarne attentamente costi e benefici.