La crisi della suinicoltura, il dialogo di filiera, il ruolo dei marchi Dop e Igp e dei brand aziendali, le nuove strade per la commercializzazione, le ipotesi per rilanciare il settore e lo sciopero del prosciutto che in questi giorni sta minacciando il futuro della salumeria di qualità. Parla a tutto campo Francesco Pizzagalli, presidente di Assica, l'Associazione degli industriali delle carni suine aderente a Confindustria, nell'intervista rilasciata a Veronafiere - Eurocarne 2009, la manifestazione internazionale organizzata in collaborazione con Ipack-Ima Spa e dedicata alle tecnologie per la lavorazione, conservazione, refrigerazione e distribuzione delle carni, alla quale Assica ha annunciato la partecipazione con una forte partnership istituzionale.

Presidente Pizzagalli, si parla ormai da anni della crisi della suinicoltura. Qual è la situazione?

«E' così. Il momento è estremamente difficile. La filiera suinicola non sta producendo valore. E questo vale, in modo particolare, per gli allevatori, per l'industria mangimistica, per i macelli e per l'industria di trasformazione. Basti pensare a un dato su tutti, che è estremamente significativo: il prezzo medio di vendita del prosciutto crudo di Parma, nel 2007, è stato di 7,50 euro, nel 1998 era a 8 euro e 30. Abbiamo perso valore».

Nel suo elenco degli anelli della filiera suinicola che stanno attraversando un momento particolarmente sofferto sul versante economico, non ha citato la grande distribuzione organizzata. Questo significa che la gdo sta traendo qualche beneficio dall'andamento del mercato dei suini, delle carni e della salumeria?

«Non credo proprio. La gdo ha vissuto in passato anni di crescita, favorita anche da particolari condizioni che il mercato offriva. Ma adesso neanche la grande distribuzione organizzata sta vivendo un momento positivo: sta subendo la diminuzione dei consumi alimentari, i prezzi della carne di maiale sono quelli che hanno subito i minori rincari rispetto ad altre carni, con una crescita dell'1,1 per cento contro il 5-7 per cento di altri prodotti. Oggi la carne suina costa meno del pollo».

Certo la grande distribuzione organizzata, nella catena del valore, è il segmento che trae i maggiori guadagni…

«Sì. Proprio per riequilibrare i margini di reddito su tutta la filiera ritengo sia necessario un coinvolgimento della gdo nella filiera in maniera forte. Da un anno a questa parte i macelli hanno dovuto sottostare alle politiche di prezzo delle grandi catene. Non possiamo più permetterci, a livello economico, di soggiacere a forti vessazioni».

Quali sono i costi che incidono maggiormente nella filiera suinicola?

«I costi della materie prime, quelli di trasporto, di packaging, ma anche i rinnovi contrattuali e il rincaro di carburanti ed energia hanno messo in difficoltà i macelli e complessivamente tutti gli interlocutori che si occupano di maiali. Il sistema nel suo complesso è in grande difficoltà».

Assica, quali soluzioni propone per uscire dalla crisi o quanto meno per tamponare questo trend fortemente negativo?

«Pensiamo sia necessario valorizzare le materie prime che abbiamo. Attualmente oltre il 50 per cento del valore di un suino è dato dalle cosce per la produzione di prosciutti crudi dei circuiti a Denominazione di origine protetta. Bisogna fare in modo di dare valore sul mercato anche agli altri tagli, dal carré alla carne fresca, in grado di competere anche per qualità con il prodotto estero».

Per questa operazione il ministero delle Politiche agricole aveva promosso il Consorzio del Gran suino padano, il primo marchio Dop per le carni fresche. Ma il progetto, seppur appoggiato dalle industrie di macellazione e dagli allevatori, non è mai decollato. Adesso a che punto siamo?

«Il Gran suino padano è uno dei punti chiave dell'accordo di filiera sottoscritto proprio al Mipaaf fra allevatori e macellatori. Su questo, ma anche su altri obiettivi siglati lo scorso 5 dicembre e confluiti in un protocollo per il rilancio della suinicoltura italiana, discuteremo il prossimo 28 maggio al ministero delle Politiche agricole».

All'indice ci sono anche altri aspetti sui quali lavorare...

«Certamente e per ogni punto dell'accordo - che prevede l'identificazione di un mercato unico nazionale, la valutazione delle carcasse a peso morto, la programmazione delle produzioni, lo sviluppo delle filiere Dop, un maggiore controllo anche sanitario delle carni suine importate e la definizione di un piano operativo per l'eradicazione della malattia vescicolare suina - è stato costituito un gruppo di lavoro, all'interno del quale sono state già individuate possibili soluzioni. Ne discuteremo appunto il prossimo 28 maggio».

Il 28 maggio è una data cruciale. Prima dell'incontro al Tavolo di filiera vi incontrerete con il Comitato di coordinamento degli allevatori, per discutere delle richieste avanzate proprio dai produttori. Senza accordi definiti, il rischio è che dal prossimo mese di giugno scatti quello che è stato definito lo 'sciopero del prosciutto', i suini cioè saranno consegnati senza la certificazione per poter essere immessi nei circuiti a marchio Dop. Un bel rischio per l'agroalimentare italiano...

«Senza dubbio sì, dal momento che la valorizzazione delle produzioni Dop e Igp è una delle linee condivise a livello di filiera. Comunque non illudiamoci che lo sciopero del prosciutto sia utile per la ripresa del mercato. Se è una mossa per richiamare l'attenzione sulla crisi, allora può anche andare bene. Ormai credo sia il momento di lasciarsi alle spalle le vecchie diatribe all'interno della catena agroalimentare e ragionare insieme, con un confronto serio e una collaborazione matura e non antitetica».

Insomma, il rilancio passa attraverso il dialogo e, mi pare di capire, anche altre strade, secondo lei. Ma quali, oltre al Consorzio del Gran suino padano e ai punti sottoscritti nel protocollo di filiera? Assica ne ha individuati altri?

«L'export sarà una chiave di volta cruciale per risollevare la filiera. Certamente ampliare l'export non è immediato e serve, come prerequisito fondamentale e costante quello della sicurezza alimentare e del rispetto dei requisiti sanitari lungo tutta la filiera. Se ad esempio apriamo un nuovo mercato in Australia, o in Corea del Sud, e negli allevamenti della Lombardia scoppia la vescicolare, nel giro di 24 ore quel nuovo sbocco commerciale si chiude e prima che si riapra passano mesi. Inoltre, serve che l'intero Sistema-Paese sia attrezzato a sostenere l'export agroalimentare nel suo complesso, con azioni mirate, condivise e un progetto comune, come ha fatto la Spagna negli ultimi dieci anni, che ha pianificato il proprio export in maniera unitaria e coordinata».

Esistono ulteriori leve di marketing, magari sul fronte del mercato interno?

«Un'altra soluzione potrebbe riguardare proprio il comparto della salumeria, che sta comunque tenendo sul fronte dei consumi, anche in virtù di una sempre più consolidata abitudine di pranzare fuori casa. La parte del leone, in termini di consumi, la fanno i prosciutti, crudi e cotti, con una percentuale sul totale del mercato che arriva al 49 per cento delle vendite totali. Ma dopo anni di stazionarietà o di frenata, anche il salame ha ripreso quota e la mortadella Bologna Igp sta confermando il trend positivo degli ultimi anni. Ma senza dubbio penso che sia giunto il momento di dare maggiore visibilità ai marchi aziendali, ai salumifici e all'industria di trasformazione che prepara e confeziona i prodotti. Uscire dall'anonimato potrebbe costituire un volano di crescita importante. Oggi non conta più solamente saper produrre, ma bisogna anche essere in grado di leggere il mercato, capirne le esigenze e soprattutto saper vendere i propri prodotti».

Eurocarne 2009 è un appuntamento di riferimento anche per le industrie di macellazione. Quali evoluzioni ci sono state in questi anni nei macelli?

«Direi che ci sono stati cambiamenti importanti e determinanti per il miglioramento della qualità e della sicurezza sul fronte igienico sanitario, dettate anche da un'evoluzione delle normative europee in materie e accompagnate da un'attenzione maggiore pure negli allevamenti, sul fronte del benessere animale. Tutti aspetti rilevanti per il miglioramento della qualità e della salubrità dei prodotti. Ormai i macelli sono diventati 'camere bianche' e anche le procedure di macellazione sono migliorate notevolmente».

Come si sono evolute?

«In un'ottica ovviamente di salubrità, di benessere animale e di miglioramento delle rese. Fino a qualche tempo fa, ad esempio, i suini, prima di essere macellati, venivano storditi con la corrente elettrica. Ora la tecnica è stata rimpiazzata dal bagno di CO2, che stordisce l'animale, ma senza traumi, con benefici sulla qualità organolettica della carne».

Ultima domanda sulla crisi del comparto. Gli allevatori sostengono che la depressione del mercato è dovuta ad una sovrapproduzione di suini, identificata come una concausa piuttosto determinante. E una delle strategie per risollevare la filiera secondo i produttori sarebbe quella di diversificare i suini, approcciandosi anche ad un suino di peso medio, adatto all'export o comunque destinato a non gravare sul circuito Dop. Condivide questa analisi?

«Se ci si ferma alla fotografia del momento, può essere. Ma credo che con una corretta valorizzazione gli spazi anche per le produzioni attuali ci siano tutti. Sulla diversificazione produttiva nutro qualche perplessità. Per allevare suini leggeri o di peso medio, occorrono genetiche diverse dalle nostre, strutture aziendali apposite, sistemi di alimentazione diversi, doversi mettere in concorrenza, anche sul versante dei costi, con gli allevatori del Nord Europa, e questo aspetto lo vedo piuttosto complicato. Credo sia meglio puntare sulla valorizzazione delle nostre Dop».