Il Regolamento CE 889/08 sulla produzione biologica, attualmente vigente, non prevede delle norme specifiche per la produzione biologica in ambiente protetto. Pertanto, negli ultimi anni, nell'Unione europea i singoli paesi hanno interpretato ed adattato la normativa alle caratteristiche del proprio territorio ed alle proprie realtà operative. E questo ha determinato lo sviluppo di differenti sistemi di produzioni tra un paese e l'altro.

Basti comparare le colture protette siciliane con quelle della Danimarca per capire quali differenti sfide devono affrontare. Nel 2011 è iniziato un dibattito intenso a livello europeo per definire quali fossero le caratteristiche che le coltivazioni biologiche in serra dovessero avere a livello generale

I paesi del Nord Europa hanno produzioni intensive, che fanno largo uso di input produttivi, riscaldamento degli ambienti e perfino illuminazione supplementare durante i bui inverni. Nei paesi mediterranei invece le serre sono meno tecnologiche e produttive, ma più sostenibili dal punto di vista energetico, anche se hanno il grosso problema di utilizzare maggiori quantitativi di agrofarmaci per il controllo di malattie ed insetti dannosi.

Una differenza profonda tra Stati che crea malcontento tra gli stessi agricoltori, che criticano vicendevolmente i rispettivi sistemi produttivi. Ma che rischia anche di creare sfiducia nel consumatore che molto spesso ha delle conoscenze solo superficiali dei sistemi di produzione e che non si aspetta un uso così intensivo di input produttivi in un sistema biologico.

Per cercare di fare chiarezza sulla questione, la Commissione europea ha dato mandato al gruppo internazionale di tredici esperti sulla produzione biologica, denominato Egtop (Expert group for technical advice on organic production), di presentare un report sulla produzione biologica protetta, da sottoporre poi alla Commissione. Il documento, pubblicato nel 2013, ha acceso la discussione in sede europea. Discussione che però non si è ancora conclusa, neppure con la riforma del regolamento sul biologico, da poco approvata.

Sulla scia di questo dibattito si è inserito da aprile il progetto europeo GreenResilient, che si propone di disegnare agro ecosistemi stabili e produttivi in ambiente protetto, capaci di mantenere una produzione di qualità a basso impatto ambientale.

"In altre parole intendiamo individuare soluzioni condivise per rendere le produzioni biologiche in serra meno intensive e più sostenibili, sviluppando tecnologie e approcci agronomici innovativi", spiega ad AgroNotizie Fabio Tittarelli, ricercatore del Crea, coordinatore del progetto GreenResilient e già membro del gruppo Egtop.

Ad animare il progetto sono ricercatori provenienti da dodici centri di ricerca di otto paesi europei con competenze multidisciplinari (agronomia, agroecologia, chimica del suolo, entomologia, patologia vegetale e gestione delle infestanti). L'obiettivo è un approccio a 360 gradi sui sistemi di produzione in ambiente protetto, che valuti l'impatto dell'introduzione di innovazioni sia sulle produzioni, ma anche sulla sostenibilità ambientale delle stesse.

"Uno degli elementi che testeremo sarà l'introduzione di colture da sovescio nelle serre, pratica oggi non utilizzata nella maggioranza dei paesi dell'Unione europea", spiega Tittarelli. "I paesi del Nord, che hanno sistemi di produzione intensivi, ritengono che il sovescio non sia sufficiente a mantenere produzioni elevate, essenziali per rendere economicamente sostenibili le loro strutture. Noi eseguiremo delle prove sperimentali per sondare questa opzione".

Altro filone di analisi sarà lo studio della possibilità di produrre colture invernali, come ortaggi da foglia (winter leafy crop), in serre non riscaldate. "Se nel Nord Europa gli agricoltori vogliono produrre pomodoro a febbraio, l'impatto energetico non può che essere elevatissimo. Ma avremmo un impatto minore se invece puntassimo su altre produzioni, che non richiedono il riscaldamento delle serre, ma che hanno comunque mercato".

Nel caso dell'Italia, che certo non ha il problema di riscaldare o illuminare le serre, si studieranno sistemi di produzione che riducano l'utilizzo di agrofarmaci. "Il consumo di rame nelle serre è uno degli argomenti importanti di dibattito internazionale sulla qualità della produzione biologica mediterranea", continua Tittarelli. "Un'alternativa al rame potrebbe essere la messa a punto di pratiche agro ecologiche, tra cui rotazioni colturali più complesse, l'uso di ammendanti organici e di alcune colture da sovescio, che riducano il pericolo di insorgenza di malattie".

La sfida del progetto GreenResilient è dunque quella di individuare il giusto equilibrio tra una produzione biologica che assicuri un vantaggio economico per l'agricoltore e la sostenibilità per l'ambiente.

"Uno degli aspetti a cui teniamo particolarmente è la relazione con i consumatori", conclude Tittarelli. "Creeremo degli eventi in cui porteremo persone comuni nelle serre per aumentare la consapevolezza tra i consumatori di che cosa significa fare biologico in ambienti protetti". E' l'applicazione, nei limiti delle dimensioni di un progetto di ricerca, del concetto di Food Citizenship che rappresenta uno degli aspetti più innovativi ed attuali nel dibattito sull'agroecologia in Italia ed in Europa.

Il progetto GreenResilient è stato selezionato nell'ambito del bando di ricerca transnazionale CORE Organic Cofund e finanziato da enti nazionali che sono partner dell'Horizon 2020 ERA-Net project CORE Organic Cofund.