Che i principi attivi candidati alla sostituzione, oltre essere particolarmente complicati da comprendere, fossero divisivi ce n'eravamo accorti, ma che il Pesticide Action Network (Pan), una delle più scatenate Organizzazioni Non Governative (Ong) ambientaliste, si scatenasse contro l'Eppo, che si occupa di protezione delle piante e di standard di efficacia, non l'avremmo mai immaginato. Ma andiamo con ordine.

 

Dal 1951 l'Eppo si occupa di protezione delle piante nella zona euro-mediterranea e tra le sue numerose attività stila le linee guida per la valutazione dell'efficacia dei prodotti fitosanitari

 

Nel suo elaborato "Pesticide Paradise", l'Ong punta il dito contro i criteri adottati nella cosiddetta "Valutazione comparativa" attuata ogni volta che le autorità devono concedere o rinnovare l'autorizzazione di un prodotto fitosanitario contenente sostanze attive candidate alla sostituzione. Se non vi ricordate bene che cosa siano, potete consultare i riferimenti in calce a questo articolo, ne abbiamo scritto di recente.

 

Il dossier di questi prodotti, oltre a contenere le informazioni necessarie a dimostrare che non costituiscono un rischio inaccettabile per l'uomo e l'ambiente, devono contenere un'apposita sezione, denominata Valutazione comparativa (Comparative assessment), dove per ogni uso proposto si analizzano alternative chimiche e non chimiche a minore impatto e le conseguenze dell'eliminazione dal mercato del prodotto in questione.

 

Poiché i criteri che i prodotti fitosanitari devono rispettare per poter essere autorizzati pongono come condizione imprescindibile l'essere sufficientemente efficaci (anche il prodotto più "green" ha degli effetti collaterali e se non è efficace diventa automaticamente dannoso) anche tutte le linee guida sulla valutazione comparativa adottate dagli Stati partono da questo aspetto, prima di verificare le differenze negli effetti indesiderati. Questo approccio sembrerebbe disattendere la regola di buon senso "Primo non nuocere" ma ci dobbiamo ricordare che se un prodotto è autorizzato nella quasi totalità dei casi (il rischio zero non esiste) non nuoce. Ma anche alternative chimiche, se sono state autorizzate, è perché sono efficaci. E allora come se ne esce? Ancora un po' di pazienza.

 

L'Ong punta il dito sul fatto che nelle linee guida per la valutazione comparativa non si tiene debito conto delle alternative non chimiche, il che porterebbe a rimuovere dal mercato in quantità minore del dovuto prodotti contenenti candidati alla sostituzione. Nei criteri stilati dall'Eppo le alternative non chimiche vengono prese in considerazione se costituiscono una prassi consolidata negli anni, non essendo sottoposte a verifica preventiva. Cioè una pratica agronomica prima di poter essere attuata non ha bisogno di autorizzazioni, mentre i prodotti fitosanitari devono essere autorizzati sulla base di un dossier che deve dimostrare efficacia e rischi accettabili.

 

Fortunatamente l'analisi costi/benefici di una pratica agronomica viene effettuata quotidianamente dall'agricoltore, che di solito sostituisce soluzioni inadeguate prima che le autorità glielo impongano. Il fatto che, come sostiene l'Ong, non si siano verificate rimozioni dal mercato di prodotti candidati alla sostituzione perché disponibili pratiche agronomiche altrettanto efficaci dipende forse dal fatto che non sempre possono essere attuate e sicuramente perché questo tipo di esame per essere effettuato in maniera accurata richiede expertise che non è facile da trovare.

 

Un altro punto critico sollevato dalla Ong è la strategia di gestione delle resistenze adottata dall'Eppo, che prevede che per ogni fitoparassita dannoso (insetto, malattia, erba infestante), a seconda del rischio di resistenza, sia disponibile un numero minimo di meccanismi di azione, che è due nelle situazioni a basso rischio di resistenza, tre nelle situazioni a medio rischio e quattro nelle situazioni ad alto rischio.

A sua volta il rischio di resistenza viene determinato dalla recrudescenza del fitoparassita, dal numero di trattamenti normalmente effettuati e dalla disponibilità di principi attivi multisito. E le pratiche agronomiche? Qui in effetti l'Ong ha ragione: nel documento sui criteri di efficacia da adottare in caso di sostituzione forse questo aspetto non viene citato esplicitamente, ma le pratiche agronomiche consolidate hanno sicuramente influenza sulla recrudescenza del patogeno.

 

Ovviamente la realtà è molto più complicata, ma affermare, come fa l'Ong, che mantenere un numero sufficiente di meccanismi di azione non sia un buon mezzo per limitare le resistenze sembra molto difficile da comprendere, come molte altre opinioni sull'argomento.


Non si riesce ad attaccare il ragionamento? Attaccare il ragionatore

Come attacchiamo il ragionatore? Accusando l'organizzazione di conflitto di interessi perché nei suoi gruppi di lavoro ha, oltre a rappresentanti delle autorità, un numero limitato di esperti delle società produttrici dei mezzi tecnici chimici. Questo fa parte della normale prassi in cui per affrontare discussioni tecniche è necessario che al tavolo partecipino anche persone che conoscono la materia, fermo restando che le decisioni vengono prese dalle autorità che, guardando i numeri dei mancati rinnovi degli ultimi anni, sembra che abbiano fatto tutto tranne che sottostare ai diktat delle imprese, ammesso che ce ne siano.


Altro cavallo di battaglia degli ambientalisti è il fatto che gran parte dei contributi informativi alle strategie antiresistenza sia fornito dai comitati Irac, Frac e Hrac, che si occupano di resistenza rispettivamente negli insetticidi, nei fungicidi e negli erbicidi. Questi comitati sono espressione dell'industria, ma chi meglio dell'industria conosce i principi attivi e le loro debolezze?


Approfondimenti per studiosi, addetti ai lavori o semplicemente curiosi