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"Avremo una Pac più verde, più sostenibile, che è certamente frutto di un compromesso, ma va nella direzione giusta. Sarà una Pac più flessibile, anche grazie alla possibilità consentita agli Stati membri di definire il proprio Piano Strategico Nazionale".
Così ha detto il commissario europeo all'Agricoltura, Janusz Wojciechowski, nell'incontro per celebrare i primi dieci anni dell'Enaj, la Rete Europea dei Giornalisti Agricoli, presieduta dall'italiana Lisa Bellocchi.

Il ruolo della Politica Agricola Comune, in effetti, con gli anni è cambiato e la tinta verde si è fatta più marcata. Un'esigenza inevitabile, per stare al passo coi tempi e con le esigenze di ridurre l'impatto ambientale.


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Ci aveva già pensato la Pac 2014-2020, introducendo misure ambientali denominate Greening, ritenute poco efficaci rispetto agli ambiziosi obiettivi di "inverdimento", per tutelare la biodiversità e ridurre l'impatto ambientale.
Nella prossima programmazione, 2021-2027, che entrerà in vigore col primo gennaio 2023, l'indirizzo sostenibile sarà ancora più marcato, con la previsione di ecoschemi, relativamente ai quali l'Europa ha dato indicazioni di massima, lasciando gli Stati membri liberi di definirli in maniera più dettagliata, così da rispondere in maniera più puntuale alle esigenze delle diverse agricolture europee.


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L'indirizzo della Politica Agricola Comune nei mesi scorsi si è dovuto interfacciare, o meglio, intersecare, con le linee guida del Green Deal, che prevede una riduzione entro il 2030 di agrofarmaci, mezzi tecnici, fertilizzanti, utilizzo degli antibiotici. La direzione è indubbiamente corretta, anche se nel complesso sono venuti meno due aspetti fondamentali: la chimica di oggi e le molecole utilizzate sono decisamente più puntuali e meno impattanti dal punto ambientale rispetto al passato. C'è un abisso e i dati evidenziano già un loro minore utilizzo. Il mondo agricolo, che ha appunto già dato prova di maturità riducendo l'uso della chimica, chiede tuttavia uno studio di impatto economico e produttivo sul taglio nell'uso di fertilizzanti, mezzi tecnici, pesticidi (termine bruttissimo e ingeneroso, ma entrato purtroppo nell'uso comune per un'errata traduzione del termine pesticide).

Alcuni numeri per circoscrivere la tendenza li riassume Enrica Gentile, amministratore delegato di Areté. "I dati ci dicono che la nostra agricoltura è cambiata profondamente negli ultimi 15-venti anni e si sta evolvendo verso un'agricoltura sempre meno impattante e sempre più rispettosa dell'ambiente" afferma. "Negli ultimi 15-16 anni abbiamo avuto una riduzione del 56% nell'utilizzo dei fungicidi, del 60% dei prodotti insetticidi e del 26% degli erbicidi. Siamo di fronte a un abbattimento importante in tutte le regioni nell'utilizzo degli agrofarmaci, osservando i dati per unità di superficie. Questo vuol dire che l'attività agricola è diventata più efficiente e che la Pac ha già aiutato gli agricoltori a diventare più consapevoli, orientando l'agricoltura verso un sistema più sostenibile e più rispettoso dell'ambiente".

 

Ascolta l'intervento di Enrica Gentile e di altri esperti.
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Non si può derogare alle esigenze di incremento delle produzioni e all'obiettivo primario della Pac, che è quello di assicurare il cibo per tutti - obiettivo sul quale c'è sempre maggiore sensibilità, dopo la crisi pandemica - nel nome di una politica acriticamente verde. Ma tant'è.

Resta un tema di fondo, che invita al progresso e a una nuova agricoltura. "L'agricoltura del futuro non potrà essere uguale a quella del passato". E questa affermazione, rilasciata dal professor Luigi Cattivelli, responsabile del Centro di Ricerca sulla Genomica e la Bioinformatica del Crea, è limpida e incontrovertibile.
Il Centro di Ricerca di Fiorenzuola d'Arda del Crea si occupa di quella che è una nuova frontiera della ricerca in agricoltura, finalizzata ad aumentare la resilienza delle piante di fronte ad un mondo esterno che cambia (pensiamo al clima o agli attacchi di fitofagi o patogeni).

"Le strategie per indurre resistenza in una pianta sono molteplici" spiega Cattivelli. "Potrebbe essere più efficace andare a replicare il gene di resistenza all'interno della pianta che coltiviamo, introducendo una semplice mutazione. E questo è un campo enorme, in cui il genome editing gioca un ruolo fondamentale e la stessa Commissione Europea riconosce il fatto che il genome editing può conseguire largamente gli obiettivi del Green Deal, grazie proprio alla sua capacità di adattare rapidamente le piante alle nuove condizioni, modificando geni in modo specifico".

È il campo delle cosiddette Tea, le Tecnologie di Evoluzione Assistita, che "non cambiano il genoma della pianta, inducono mutazioni in modo mirato". Un mondo completamente diverso rispetto agli Ogm, che rappresentano modalità superate.


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"Quando facciamo genome editing sappiamo a priori quale mutazione ci serve e dove ci serve e le piante ottenute mediante Tea portano una e una sola mutazione" spiega il professore Cattivelli. "Il Crea lavora su queste tecnologie, lavoriamo sulle malattie, sui cereali, lavoriamo sulle piante di domani".

Recentemente il Crea ha dato il via al progetto Ningia Sos, con l'obiettivo di analizzare l'efficacia di estratti di specie appartenenti alle Brassicacee e Solanacee quali agenti insetticidi di origine naturale su insetti fitofagi ad apparato boccale masticatore o pungente succhiante, valutandone altresì gli effetti sulla perdita di biomassa vegetale. Si stima che gli insetti fitofagi, infatti, siano responsabili della distruzione del 20% delle produzioni agricole. La selezione di varietà ortofrutticole resistenti agli insetti fitofagi, siano essi invasivi o autoctoni, pur rappresentando una valida risorsa nella pianificazione di interventi futuri, non costituisce tuttavia uno strumento fruibile per un'azione nel breve periodo.

Una valida alternativa all'uso di insetticidi di sintesi è l'applicazione di metodi biologici, effettuabile attraverso l'introduzione di predatori, parassiti o antagonisti naturali delle specie da tenere sotto controllo. Tale strategia può offrire ottime possibilità in interventi confinati ad un'azione specie specifica, ma implica una scrupolosa valutazione dei rischi ambientali, applicabile soltanto dopo un'attenta procedura di valutazione del rischio. L'uso di bioagrofarmaci di origine naturale è una pratica utilizzata in agricoltura biologica mirata a contrastare infestazioni ed epidemie, attraverso l'impiego di composti già presenti in natura, ovvero biocompatibili, allo scopo di ridurre al minimo i rischi per la salute dell'uomo e dell'ambiente.

O ancora, fra i progetti in corso del Crea possiamo annoverare il progetto Smart-Breed, che risponde all'esigenza regionale (è sostenuto dalla Regione Lazio) e nazionale di innovare il settore agricolo tradizionale attraverso l'impiego di tecnologie avanzate che consentano la salvaguardia e la valorizzazione dell'enorme biodiversità agraria che costituisce la base della tipicità dei prodotti italiani, oltre che una più elevata competizione a livello internazionale.
Il progetto si propone di sviluppare tecnologie molecolari innovative per studiare gli effetti della variabilità genetica e utilizzare queste informazioni per accelerare il breeding di nuove varietà resilienti che mantengano le caratteristiche produttive e di tipicità in condizioni ambientali variabili ed estreme.

Nell'ottica dell'economia circolare, l'Istituto Spallanzani ha studiato le applicazioni concrete delle microalghe a supporto delle politiche in ambito di sostenibilità ambientale, concentrandosi in particolare sulla filiera lattiero casearia e dei reflui zootecnici, in un comprensorio ad alto tasso zootecnico come la Pianura Padana.


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La partita ora si concentra sulla riforma della Pac e sugli ecoschemi. Lo spiega bene Paolo De Castro, europarlamentare e referente in Commissione Agricoltura per i Socialisti e Democratici, più volte ministro dell'Agricoltura in Italia e docente di Economia e Politica Agraria all'Università di Bologna. "Con la nuova Pac si passerà da un approccio 'one size fits all' come quello degli attuali obblighi greening, a un sistema premiante secondo il quale più gli agricoltori decideranno di impegnarsi in pratiche ad alto valore aggiunto ambientale, più verranno ricompensati tramite i fondi del Primo Pilastro" scrive De Castro sul proprio sito ufficiale.

"Vengono infatti inseriti ecoschemi obbligatori per gli Stati membri, ma volontari per gli agricoltori, che consisteranno in pratiche quali l'agricoltura biologica, l'agroecologia, la difesa integrata dalle specie nocive, il risparmio idrico, ma anche misure volte a migliorare il benessere animale, per un valore minimo del 25% dei pagamenti diretti, che per l'Italia significa circa 900 milioni di euro annui. Gli Stati membri dovranno scegliere quali misure offrire ai propri agricoltori, a seconda delle proprie caratteristiche geografiche e climatiche, sulla base di un menù di indicazioni preparato a livello Ue. Per i primi due anni, 2023 e 2024, nel caso in cui l'adesione a tali schemi sia inferiore al 25%, ma comunque superiore al 20%, gli Stati membri avranno la possibilità di riutilizzare i fondi non spesi per altri interventi".

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