Diceva un economista negli anni '80: "quando i cinesi inizieranno a usare la carta igienica sarà la fine per le foreste nel mondo".
Non sappiamo e non vogliamo saper molto delle abitudini cinesi nelle ritirate – di certo però la domanda cinese condiziona oramai marcatamente tutto il mercato mondiale.
Quest'anno sono per esempio ben evidenti all'orizzonte le nubi di quella che potrebbe essere una tempesta perfetta per il mercato della soia.

Lo scorso 6 luglio i cinesi hanno rincarato i dazi sulla soia importata dagli Usa come ritorsione ai provvedimenti del presidente Trump. L'importazione cinese di soia negli ultimi anni è aumentata con tassi formidabili, fino ad arrivare a 100,5 milioni di tonnellate per un controvalore di oltre 14 miliardi di dollari.
Una cifra vertiginosa dovuta all'esponenziale sviluppo dell'allevamento in Cina.

Come nell'Italia degli anni '60 oggi i cinesi stanno cambiando le loro abitudini alimentari e non possono quindi fare a meno della classica e borghesissima fettina di carne. Il problema è che la Cina produce appena 15,2 milioni di tonnellate di soia ed è quindi ben lontana dal soddisfare il proprio fabbisogno di semi proteici.

I cinesi certo hanno subito attivato un accordo Asia Pacifico con cui potranno importare soia in maniera agevolata dai diversi paesi della loro area - c'è però da scommettere che a breve si produrrà un vorticoso movimento dei mercati.