Una raccolta, come racconta Luciana Bigliazzi - bibliotecaria insieme alla sorella Lucia e incaricata delle ricerche storiche sul materiale librario dell'Accademia – che copre di fatto quasi mille anni di contributi scritti sull’agricoltura.
E che comprende un ampio carteggio con tre presidenti degli Stati Uniti d’America: Thomas Jefferson (1743-1826, terzo presidente Usa, in carica dal 1801 al 1809) e i successori James Madison (in carica dal 1809 al 1817) e James Monroe (1758-1831, quinto presidente degli Stati Uniti, in carica dal 1817 al 1825).
Quella custodita nei 900 metri della Torre de’ Pulci, dove l’Accademia dei Georgofili ha sede dagli anni Trenta è una biblioteca arricchita da acquisizioni e lasciti in parte frutto dell’ondata anticlericale e laicista del primo e forse dei più accesi sostenitori del consesso accademico: Pietro Leopoldo d’Asburgo-Lorena, granduca di Toscana dal 1765 al 1790. Fu lui a operare le soppressioni conventuali che finirono per togliere o depotenziare – questo uno degli scopi, assecondato dall’epoca dei Lumi – l’autorità laica alla Chiesa, compreso il sistema educativo.
“Fu così che la biblioteca dell’Accademia dei Georgofili ereditò parti significative di altre biblioteche gestite appunto dal clero e dai conventi – afferma Luciana Bigliazzi -. Alle varie corporazioni vennero destinati i fondi librari di proprietà della Chiesa e all’Accademia dei Georgofili toccarono gli erbari e i libri di scienza agraria vera e propria, come il famoso scritto L’economia del cittadino in villa, scritto nel 1644 dal marchese bolognese Vincenzo Tanara”.
Uno scritto che ha enorme successo e che rappresenta una sorta di “galateo” del nobile acquartierato in campagna, ma non solo. Il manuale del Tanara costituisce un nuovo corso per l’agricoltura, da intendersi non soltanto come forma di sussistenza, ma con uno sguardo rivolto al mercato e al profitto.
Questo sarà uno dei testi che di fatto ispireranno, oltre un secolo più tardi, l’attività degli Accademici, perché – se è vero come è vero che l’agricoltura era fonte di sopravvivenza per tutti e di ricchezza per pochi – l’obiettivo dell’istituzione fiorentina si rivolge al rinnovamento dell’agricoltura.
Nella biblioteca dei Georgofili, ci sono libri anche più antichi de L’economia del cittadino in villa del Tanara. “Il più antico libro che abbiamo – ci dice Bigliazzi – è un incunabolo, un’edizione del Ruralium Commodorum libri XII, scritto nel 1303 da Pietro de’ Crescenzi (Bologna, 1233-1320, ndr), considerato il più importante agronomo del Medioevo. È un trattato sui giardini e sull’agricoltura che rimane in auge fino al 1600, per la rilevanza”.
Il patrimonio documentario e bibliografico dell’Accademia dei Georgofili è vasto, variegato, approfondito. Principalmente con opere sulla scienza agraria. Con edizioni cinquecentesche e secentesche. E anche qualche curiosità, come ricorda Lucia Bigliazzi. “Dal monastero di Vallombrosa, dopo la soppressione, ricevemmo numerosi volumi con gli ex libris apposti a mano dal monaco Bruno Tozzi (1656-1743), erborista, botanico e micologo fra i più affermati dell’epoca”. Annotazioni utili, curiose, dotte e pratiche.
È grazie ai georgofili che si deve una maggiore attenzione alla vita della gente di campagna e che si ripristina il patto mezzadrile, in qualche modo sfilacciatosi nel tempo. In quest’ottica si sviluppano sinergie con i contadini, allo scopo di promuovere l’istruzione, come veicolo per il progresso nei campi. Era convinzione ormai, grazie all’avvento dell’Illuminismo, che l’ignoranza generasse superstizioni inveterate.
Un esempio? Nel 1820 l’allora presidente dell’Accademia dei Georgofili, Cosimo Ridolfi, si vide costretto a dimostrare nella pratica l’utilità dell’aratro, introdotto in agricoltura grazie a un bando promosso agli inizi dell’Ottocento grazie all’Accademia stessa. E questo perché le maggiori ostilità verso l’aratro provenivano dai contadini, che preferivano zappare la terra. “Sembra una follia, ma è così”, commenta la dottoressa Bigliazzi, che ricorda come fu il Ridolfi ad abituare gli agricoltori a tenere corrette scritture dell’attività agricola.
Il solco era tracciato, d’altronde, già da diversi anni.
Infatti, l’attenzione dell’Accademia dei Georgofili verso la campagna aveva stimolato gli studiosi a occuparsi non solo dei fattori produttivi e agronomici in senso stretto, ma anche ai contadini. Vengono prese in esame le abitazioni rurali e Ferdinando Morozzi (1723-1785), ingegnere idraulico, matematico, cartografo e architetto, scrisse nel 1770 il trattato Delle case de’ contadini. Una pietra miliare se non dell’agricoltura in senso stretto, quanto meno dell’igiene, visto che per la prima volta fu suggerito di dividere gli spazi destinati agli uomini e agli animali, così come le disposizioni per la corretta cura dei pozzi o per costruire forni funzionali.
Sono numerosissime, inoltre, le memorie conservate nell’archivio storico dell’Accademia dei Georgofili. Ma quando il manoscritto era ritenuto degno di essere data alle stampe, era affidato al tipografo, con la conseguenza però che il documento calligrafo era distrutto.
L’Accademia dei Georgofili promuove gli scambi. E così, il georgofilo Filippo Mazzei, dalla Toscana parte per impiantare la vite in America. E, proprio mentre cominciano a delinearsi le tipologie di accademico ordinario, corrispondente e accademico emerito, nel 1847 a Firenze approda e viene ricevuto l’inglese Richard Cobden (1804-1865, commerciante, scrittore, parlamentare), acceso sostenitore del liberismo economico, che trova piena rispondenza nei georgofili.
Il liberismo economico, per molti tratti, sembra essere una guida costante degli accademici, tanto che il Granducato di Toscana abolì o ridimensionò pesanti gabelle che limitavano gli scambi di derrate fra gli Stati, specialmente nelle importazioni, necessarie per la popolazione toscana. Ma insieme alle merci, era noto, circolavano liberamente anche le idee.
Bisognava, tuttavia, in un’Italia ancora pre-unitaria, trovare il modo di comunicare. Ecco che il georgofilo Raffaello Lambruschini si profuse in numerosi scritti sull’unità della lingua italiana, anche per facilitare le comprensione nel mondo scientifico.
Trovato un idioma comune, non rimaneva che fare l’Italia, considerato che gli italiani, purtroppo ancora oggi, devono farsi, per citare Massimo D’Azeglio. “I georgofili – specifica la bibliotecaria - furono anche per questi motivi egualmente promotori, o affiancarono in modo partecipato, gli ideali e le azioni del Risorgimento italiano”.
Nel 1993, dopo l’attentato di mafia in via de’ Georgofili che uccise cinque persone e distrusse una parte della Torre de’ Pulci, fu allestita una mostra che raccontasse dei “libri violentati”, pazientemente recuperati grazie ad un lavoro e a una solidarietà umana che Firenze visse per la seconda volta nella seconda metà del Novecento, dopo l’alluvione del 1966.
In seguito a quel tragico evento, altri libri arrivarono a Firenze, all’Accademia dei Georgofili. Fra questi, la biblioteca e l’archivio fotografico della Reda, la casa editrice della Federconsorzi, allora in via di liquidazione.