Il minore impatto ambientale è quello che si realizza negli allevamenti protetti (c'è chi li chiama intensivi), dove regnano efficienza, salute e benessere animale.
È lì che per unità di latte o di carne prodotta le quantità di CO2 emessa si riducono sino ad annullarsi, come accade per alcune tipologie di allevamento bovino.
Lo dicono le evidenze scientifiche presentate in occasione delle giornate di studio organizzate dalla Accademia dei Georgofili con la collaborazione di Fidaf, la Federazione dei dottori agronomi.
Due giorni di lavori, dal 13 al 14 novembre, quest'ultimo dedicato ai temi della zootecnia, con la partecipazione di ricercatori e studiosi delle Università di Bologna, Milano, Sassari, Palermo, Piacenza e Torino.
Efficienza e sostenibilità
Per ogni comparto della zootecnia, da latte e da carne, i risultati delle ricerche hanno confermato che l'efficienza produttiva è quella che consente di conseguire la maggiore sostenibilità, coniugata in chiave non solo ambientale, ma anche sociale ed economica.
Ma è necessario sgombrare il campo da pregiudizi e visioni parziali. In Italia è in discussione una proposta di legge (la numero 1.760) che vorrebbe ridurre consistenza e numero degli allevamenti intensivi.
Chi ha firmato questa proposta sembra non conoscere la realtà della nostra zootecnia.
Prendiamo a titolo di esempio il caso dei bovini. Nel mondo se contano 1,5 miliardi, mentre nel nostro Paese se ne allevano appena 6 milioni.
Anche azzerando il loro numero il beneficio ambientale sarebbe nullo. Anzi, si creerebbero enormi problemi sociali e ambientali.
Metano, un falso problema
Parlando ancora dei bovini, è ricorrente l'accusa che il loro allevamento sia responsabile delle emissioni di metano. Vero, ma si dimentica di dire che si tratta di un gas che fa parte di un ciclo biogenico, che nulla aggiunge in atmosfera rispetto a quanto già presente.
Nonostante questo, la ricerca non si è tirata indietro e ha individuato varie strategie per ridurre anche queste emissioni, indirizzando l'alimentazione degli animali verso minori fermentazioni metanigene.
È poi necessario ristabilire la verità sul reale contributo delle produzioni agricole all'emissione di gas climalteranti.
A livello globale solo il 14% di tali gas è attribuibile all'agricoltura nel suo insieme, valore che scende poco sopra il 10% per l'agricoltura europea.
Ancora più basso in Italia, dove si ferma poco oltre il 7%, per scendere al 5,8% considerando la sola zootecnia.
Oltre il 90% viene da altri settori e forse su questi conviene spostare di più l'attenzione.
Attenti all'azoto
Più del metano ci dovrebbero preoccupare le emissioni di ammoniaca e di protossido di azoto. A essere chiamate in causa sono tutte le specie di interesse zootecnico.
Anche in questo caso la scienza è al lavoro per dare risposte concrete.
È dimostrato che modulando opportunamente l'alimentazione degli animali, in particolare per la componente proteica, è possibile ridurre la quantità di azoto che residua nei reflui.
Un problema che può essere affrontato anche ricorrendo a nuove tecnologie.
La separazione di feci e urine consente di ridurre per queste ultime l'apporto di ammoniaca, che è responsabile di un aumento del particolato atmosferico.
Ma stiamo parlando del 2,5% contro il 64% del residenziale, come certifica Ispra, Istituto Superiore per la Ricerca e la Protezione Ambientale.
Tecnologie e genetica
A proposito di tecnologie innovative, la diffusione negli allevamenti di vari sistemi di robotizzazione, dall'alimentazione alla mungitura, sta migliorando l'efficienza delle produzioni, riducendo al contempo l'impatto ambientale.
Il vantaggio non è solo nel risparmio di manodopera, ma nella disponibilità di una serie di dati che queste "macchine" raccolgono, dati che opportunamente interpretati consentono di individuare punti di debolezza degli allevamenti sui quali intervenire.
Non meno importanti le tecnologie che avvalendosi di sensori consentono di individuare con tempestività anomalie nel comportamento degli animali che possono sfociare in patologie.
Se tutto questo non bastasse, ecco scendere in campo la genetica che con l'avvento della genomica e del sequenziamento del Dna ha consentito un balzo in avanti nel progresso genetico in tutti i comparti della zootecnia.
L'esempio dei polli
Quello avicolo, da tempo, è il settore che grazie al progresso genetico ha raggiunto un'efficienza produttiva straordinaria.
Si è accelerato l'accrescimento degli animali e soprattutto si è resa di gran lunga più efficiente la loro capacità di trasformare l'alimento in carne.
Il miglioramento dell'indice di conversione riduce l'impatto ambientale, che in avicoltura risulta fra i più bassi in ambito zootecnico.
Al contempo si ottimizzano i costi, rendendo le carni avicole fra le più convenienti e dunque disponibili per ampie fasce di popolazione.
Non a caso sono le carni più consumate al mondo, primato che continueranno a mantenere anche nei prossimi anni, stando ad alcune proiezioni sull'evoluzione dei consumi.
Benessere, sine qua non
Una maggiore sostenibilità si ottiene dunque perseguendo obiettivi di efficienza, irraggiungibili senza un adeguato livello di benessere animale.
Forti i progressi su questo fronte in ogni comparto zootecnico.
In avicoltura siamo ai primi posti in Europa nella riduzione delle gabbie, sostituite dagli allevamenti a terra.
Anche in suinicoltura si lavora per limitare le gabbie di gravidanza e parto al minimo indispensabile, ricorrendo anche a nuove proposte per ricoveri e tecnologie.
Per i bovini è interessante la proposta di allargare i consueti paddock esterni per dare accesso ad aree inerbite.
Nel caso delle vacche da latte si è visto che con solo 100-150 metri quadrati a capo, si ottiene un aumento della produzione di latte.
Nessuna coltura che su queste stesse superfici fosse coltivata riuscirebbe a dare un analogo risultato economico. Per di più si avrebbe un effetto positivo sull'immagine che gli allevamenti offrono alla collettività.
Evitare le concentrazioni
Ingiustificate dunque le accuse che i più, spesso non bene informati, rivolgono al comparto zootecnico. Ma non per questo il settore può essere completamente assolto.
Varie motivazioni hanno portato gli allevamenti a concentrarsi in poche regioni del Nord. Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, ospitano la maggior parte degli allevamenti zootecnici italiani.
Ai vantaggi di una contiguità delle varie fasi di lavorazione si contrappone la difficoltà nella gestione dei reflui zootecnici, che si trasforma da preziosa risorsa agronomica a possibile problema ambientale.
Anche il rischio sanitario non va sottovalutato. La concentrazione di allevamenti in aree ristrette può favorire il passaggio di patogeni fra allevamenti.
I ricorrenti focolai di influenza aviaria e oggi di peste suina africana dovrebbero indurre a un ripensamento.
Un problema che chiama in causa quanti hanno compiti in tema di indirizzo economico e produttivo e che esula pertanto dalle responsabilità degli allevatori. La loro parte già la stanno facendo.