Troppo bella per essere vera la riforma della Politica agricola comune, quella vagheggiata a ottobre dello scorso anno dalla Commissione europea quando mise nero su bianco le proposte di regolamento. Produrre di più aumentando produttività e competitività delle aziende agricole, ipotecando il 30% degli aiuti diretti con la famosa e fantasiosa opzione ambientale 'greening' e riducendo il budget complessivo in termini reali.
Con queste premesse e con le perduranti incertezze sul negoziato relativo alle prospettive finanziarie, il serbatoio delle casse comunitarie da cui devono uscire i circa 55 miliardi di euro l'anno per finanziare fino al 2020 l'esercito di agricoltori europei, la trattativa sul nuovo assetto della Pac appare prigioniera di questo progetto tanto ambizioso quanto evanescenete. Quasi virtuale.
E siccome non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca, questi otto mesi di trattative sono serviti a disseminare tanti se e tanti ma, che possono tornare utili nella fase cruciale del negoziato per incrociare un modesto compromesso al ribasso, in grado di salvare i principi ispiratori della nuova 'rivoluzione verde' più nella forma che nella sostanza.
E così ha fatto il Parlamento Europeo che, alla prova del fuoco dei suoi nuovi poteri di codecisione, ha rispolverato nella relazione presentata giovedì scorso dall'eurodeputato Capoulas Santos, termini come gradualità, flessibilità, discrezionalità degli stati membri.
Così il greening, il jolly che vale il 30% dei pagamenti diretti - tirato fuori da Ciolos per lasciare la sua impronta ambientale sulla riforma che porterà il suo nome - il principio va benissimo. Ma, secondo il relatore, l'obbligo di adottare questo schema vale solo per gli Stati membri; per l'agricoltore invece deve essere una libera scelta, volontario.
Contento il ministro italiano Catania che, in numerose occasioni pubbliche, alzando di molti decibel il suo tono solitamente fermo ma pacato, ha rinfacciato all'amico Ciolos "il greening è uno schiaffo a chi fa impresa".
Già, chi fa impresa? Chi è agricoltore attivo. E chi è agricoltore attivo? Invece della categorica formula algebrica basata sul rapporto tra il livello degli aiuti e reddito extra agricolo, l'eurodeputatao portoghese si è limitato a fornire delle "linee guida", in base alle quali ciascuno Stato membro può decidere chi escludere dal diritto agli aiuti Pac: nessun sostegno a chi svolge un'attività agricola marginale, neanche un euro nemmeno alle società che non hanno come oggetto sociale l'attività agricola.
Il capitolo che presenta le maggiori divergenze è quello sulle convergenze dei valori unitari per ettaro: sembra un gioco di parole, in realtà è il dossier che preoccupa molto alcuni dei maggiori Paesi agricoli dell'Unione europea, tra cui Italia, Spagna e Francia.
A regime, nel 2019, tutti gli agricoltori dovrebbero incassare un importo unificato, con un pesante acconto di avvicinamento già nel primo anno della nuova Pac.
E siccome questi Paesi hanno mantenuto i titoli storici, con un ventaglio che va dai 400-500 euro per ettaro dei seminativi fino ai 2.500 delle colture industriali come pomodoro e tabacco, per questi settori sarebbe una vera debacle.
Anche su questo punto l'ammorbidente Capoulas ha cercato di intervenire per indorare la pillola, proponendo un periodo più lungo di spalmatura e una volta a regime far oscillare gli importi minimi e massimi entro una banda del 20-30%.
Una manovra comunque dura, che rischia di mettere in ginocchio interi settori. Va però detto che questa volta il commissario Ciolos non ha colpe specifiche.
L'unificazione dei premi, la cosiddetta regionalizzazione, era stata in realtà programmata già con la riforma del commissario Franz Fischler, insieme al disaccoppiamento: volontaria nella prima fase, obbligatoria dopo un lungo periodo di rodaggio.
Molti Paesi hanno già fatto i compiti a casa, compresa ovviamente la Germania. Ora quella cambiale è venuta in scadenza anche per i Paesi conservatori e il conto è molto salato.
Forse bisognava pensarci prima, anche in via sperimentale. Ora non si può far finta di cadere dal pero.