Nei giorni scorsi si è tenuto a Limburgerhof, in Germania, il tradizionale incontro semestrale organizzato da Basf sulle prospettive dell'agricoltura europea. Di seguito un resoconto dei temi trattati e affrontati da Claus Illing, vice presidente del Gruppo Basf e responsabile della "Business Unit prodotti per l'agricoltura" per l'Europa

Potenzialità tecniche elevate e scarso peso politico

L'agricoltura europea ha grosse potenzialità ma soffre di una serie di congiunture sfavorevoli, frutto dello scarso peso politico che viene riconosciuto al settore in Europa.
Basti pensare al mercato mondiale del grano: l'Europa produce ben 230 milioni di tonnellate di grano (contro gli 85 milioni del Nordamerica) ma le quote di esportazioni europee di questo prodotto sono di appena il 19% contro il 41% del Nordamerica. In pratica l'agricoltura europea produce (e lavora) molto ma, nel panorama mondiale, non pare contare a sufficienza.

La percezione che ha la "gente comune" dell'agricoltura è quella di un "mostro che mangia sovvenzioni comunitarie consolidate" ma sono ben in pochi a sapere che, in realtà, meno del 15% delle sovvenzioni dell'Unione europea è destinato al settore.

Mettiamo ora a confronto il mercato automobilistico con quello agricolo: il "potere economico" dell'agricoltura in Europa, inclusi i settori a monte e a valle, è pari a circa 1.300 miliardi di euro contro 500 dell'industria automobilistica: si tratta di un potere enorme, che coinvolge circa 50 milioni di persone che operano nell'indotto; lo stesso inserimento dei nuovi Paesi ha ulteriormente aumentato il "peso dell'agricoltura".
Ma allora... come mai l'industria automobilistica ha molta più visibilità sul grande pubblico dell'agricoltura?

Secondo Illing la motivazione va ricercata semplicemente nel fatto che gli altri settori industriali, a differenza dell'agricoltura, hanno un maggiore "peso politico". Le decisioni politiche che incideranno tra qualche anno dipendono dalle decisioni che si prendono ora.

E ora la politica agricola europea che tipo di decisioni sta prendendo? Che strada sta imboccando l'agricoltura dell'Europa?

 

Aziende più grandi

Le stesse aziende agricole stanno attraversando una fase di "metamorfosi". La dimensione aziendale passerà dai 23 ettari (media della superficie delle attuali aziende agricole) a circa 31 ettari nel 2015 (tra soli 10 anni...). In Italia già oggi l'1% delle aziende agricole ha più di 100 ettari di superficie, ma questo 1% di aziende rappresenta il 25% dell'intera superficie produttiva.

Le aziende piccole (in dimensione o in organizzazione) sono quindi destinate a scomparire per concentrarsi in aziende più grandi e specializzate.

Le aziende che resteranno dovranno puntare sull'aumento della produttività e, contemporaneamente, a ri-tarare i costi di produzione, con migliori opportunità sulla possibilità di esportazione.

 

Le industrie si spostano, la terra no

In questi ultimi anni si è assistito alla migrazione dei principali poli industriali verso paesi "emergenti", dove i costi sono molto più contenuti e si hanno meno adempimenti amministrativi: basti pensare all'industria tessile, del cuoio o dei giocattoli, sempre maggiormente decentrata in Cina, India e Vietnam o all'industria farmaceutica che produce farmaci generici in alcuni paesi dell'Europa dell'Est e mantiene la leadership tecnologica negli USA.

L'industria si sta spostando verso i paesi dove la manodopera costa meno e l'agricoltura?

Ovviamente non è possibile "trasferire" le aziende agricole, il terreno e le condizioni pedoclimatiche ma, allo stesso tempo, non si può chiedere ad un imprenditore agricolo di investire oltre il 15% del tempo per adempimenti amministrativi! Forse sarebbe più intelligente investire tempo in ricerca e produzione?

 

Burocrazia europea alle stelle

In questo campo la politica dovrebbe (e potrebbe) fare molto di più. Qualche numero: le norme che regolano la produzione agricola sono più di 600 in Europa, circa 300 in America, meno di 200 in Sud America; eppure, nel mercato mondiale, il valore del grano o del mais è pressoché lo stesso, indipendentemente dalla provenienza.

Solo per la "sicurezza alimentare" in Europa ci sono oltre 100 leggi da rispettare e, molte volte, le aziende preferiscono cessare l'attività piuttosto che farsi travolgere da un mare di carta.

Esistono due filosofie opposte tra l'Europa e l'America nell'affrontare le problematiche legate ad agricoltura, ambiente e alimentazione: in Europa vige il cosiddetto "principio precauzionale": la politica detta le regole alla scienza per cui se una cosa è "potenzialmente sospetta di nuocere" questa può essere ritirata o vietata.

In America, invece, viene applicato il "principio pragmatico": la scienza definisce le modalità  con cui operare e la politica si attiene a quanto la scienza dice: quindi si prendono decisioni di ritiro o di divieto di uso di una sostanza solamente se è dimostrato che ha conseguenze negative.

 

La questione prezzo-qualità

La produzione agricola europea, proprio per la necessità di rispettare una miriade di regole e norme, costa necessariamente di più di quella proveniente dai paesi extra-europei ma il consumatore è disposto a pagare di più?

Studi condotti su diecimila consumatori di otto paesi hanno dimostrato che il 55% dei consumatori europei acquista in funzione del prezzo e non della qualità (reale o percepita). La situazione peggiora in Germania dove si vorrebbe la qualità ma ben il 62% acquista prodotti a prezzo basso. Solo l'Italia è disposta a spendere qualcosa di più per la qualità e solo il 37% dichiara che il prezzo è più importante della qualità.

Manca la coerenza tra quello che il consumatore vuole, quello che si vorrebbe spendere e la credibilità su ciò che consumiamo. Anche i messaggi tecnici non raggiungono i destinatari e lo sforzo di tutti per migliorare la sicurezza viene spesso vanificato con la corsa verso il "primo prezzo".

 

E il futuro?

Secondo Claus Illing il futuro dell'agricoltura europea è nelle mani di chi ci rappresenta politicamente. Infatti dal 2005 al 2015 la popolazione mondiale passerà da 6.470 milioni a circa 7.300 milioni di persone (con un incremento di 830 milioni di persone pari al 13% della popolazione mondiale); questi nuovi abitanti del globo si andranno ad aggiungere agli 800 milioni di persone che già oggi sono sottonutrite o riusciranno ad utilizzare prodotti sani, coltivati da agricoltori che potranno fare il loro lavoro senza perdite di tempo legate alla burocrazia? Domanda a cui, oggi, non è possibile dare una risposta.

Ma, indipendentemente dalla politica e dalle scelte dei nostri governanti, quali saranno gli alimenti che dovremo produrre in maggiori quantitativi?

Secondo Illing saranno necessarie oltre 160 milioni di tonnellate in più di verdure, 130 milioni di tonnellate di mais, 120 milioni di tonnellate di grano e circa 100 milioni di tonnellate di frutta. La coltura in cui è previsto un maggiore incremento percentuale delle superfici è sicuramente la soia per la quale è previsto un incremento di richiesta del 30% (passando da 210 milioni di tonnellate nel 2005 a circa 270 milioni di tonnellate nel 2015).

Mentre per il mais, la soia e lo zucchero la faranno da padroni i produttori di America e paesi Asiatici, l'Europa ha buone chances nel settore cerealicolo, nella colza (che potrebbe avere anche grandi possibilità nel settore dell'energia) e, ovviamente, nel settore di frutta e verdura dove l'Italia potrebbe svolgere un ruolo importante e difficilmente sostituibile.

 

Per informazioni: Basf Italia - Divisione Agro: www.basf-agro.it