Se trent'anni fa le aziende avessero proposto ai consumatori una birra o un vino senza alcol probabilmente avrebbero avuto poco successo. Oggi invece i gusti dei consumatori sono cambiati e le bevande dealcolate si stanno ritagliando uno spazio sempre più grande all'interno del paniere della spesa, erodendo percentuali sia al vino e alla birra tradizionali, sia alle bevande analcoliche.
Si tratta di un trend che interessa le principali associazioni di categoria. Sia Federvini che AssoBirra, che abbiamo contattato, vedono con favore questo nuovo stile di consumo, auspicandone la crescita e sollecitando anche la politica affinché intervenga sia a livello normativo che fiscale per incoraggiarne lo sviluppo.
Per comprendere bene questo fenomeno, che interessa fortemente l'Italia come produttore di birra e vino, è bene però partire da qualche dato.
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Bevande no alcol, non solo una questione salutistica
Tra i consumatori è cresciuta la consapevolezza che l'alcol, benché piacevole da assumere, è dannoso per la salute. Spesso ci chiediamo: qual è la quantità di vino/birra che posso bere senza che il mio corpo ne risenta. L'Organizzazione Mondiale della Sanità ha dato una risposta: zero. Una posizione tranchant che ha fatto molto discutere e che probabilmente non ha modificato le abitudini dei wine lover, ma che ha contribuito a cambiare la posizione di quella fetta di popolazione più sensibile ai temi salutistici.
Un sondaggio svolto in Germania dall'Università di Heilbronn ha evidenziato che i consumatori tedeschi non bevono bevande alcoliche per i seguenti motivi: per non perdere la patente (80%), per non ubriacarsi (71%), per questioni di salute (67%), per mancanza di interesse verso il prodotto (67%), per gravidanza (51%), per assenza di occasioni (34%) e per questioni religiose (12%).
Tutte motivazioni che aprono la strada alle bevande dealcolate. E sempre l'indagine svolta in Germania ha rivelato come ci siano almeno tre tipologie di consumatori che potrebbero essere interessati a questi nuovi prodotti. Da un lato gli antagonisti dell'alcol, quelli che per diverse ragioni ideologiche non vogliono bere alcolici (sono il 12,5% del campione). Ci sono poi i conoscitori, che bevono vino e sono aperti a nuove esperienze (sono il 21%). Ed infine il segmento dei giovani esploratori, che per natura sono alla ricerca di prodotti nuovi (11%).
"Secondo i dati del nostro Osservatorio, in collaborazione con Nomisma, nel 2024 sul mercato statunitense si assiste ad una crescita sensibile dei vini dealcolati rispetto a due anni fa: più 16% a volumi e più 52% a valori nel canale off premise", spiega Micaela Pallini, presidente di Federvini. "Sul fronte europeo anche la Germania vede crescere il gradimento dei vini no alcol con un più 6% a volumi e un più 17% a valori rispetto al 2022, sempre nel canale moderno (Gdo e discount). Si posiziona sulla stessa linea anche il Regno Unito con un più 6% a volumi dei vini senza alcol nel 2023 rispetto al 2021".
Interessante anche un sondaggio condotto dalla Silicon Valley Bank per quanto riguarda il mercato statunitense. Emerge infatti che i consumatori non acquistano vino per questioni di salute (il 16,7% del campione), di budget (16,2%), di gusto (9,8%), di dieta (9,3%) e per la mancanza di occasioni (8,8%). Anche in questo caso le bevande dealcolate rappresentano una buona alternativa, in quanto sono più sane e meno impegnative, essendo paragonabili ad un soft drink. Anche se, a causa del processo produttivo, hanno un costo maggiore rispetto al vino classico e un gusto distante dalla controparte alcolica.
E il gusto è un tema centrale. Se la birra dealcolata si avvicina molto a quella tradizionale, il vino senza spirito è invece molto più lontano e spesso viene "corretto" dopo l'eliminazione dell'alcol con l'aggiunta di aromi, zucchero e anidride carbonica, creando qualcosa di nuovo rispetto al vino di partenza.
"Nel 2023, le birre low e no alcol hanno rappresentato l'1,86% dei consumi totali di birra, con un aumento del 4,5% rispetto all'anno precedente", ci spiega Andrea Bagnolini, direttore generale di AssoBirra. "Questa crescita è sostenuta da numerosi birrifici italiani, sia grandi che piccoli, che hanno introdotto varietà di birre senza alcol nei loro portafogli. L'indagine condotta da BVA Doxa per il Centro Informazione Birra (Cib) di AssoBirra ha rivelato che l'80% degli amanti della birra conosce le birre low e no alcol, con il 67% che le consuma regolarmente. Questi dati riflettono l'aumento della domanda da parte dei consumatori che cercano opzioni più salutari senza rinunciare al piacere del gusto della birra".
Bevande alcol free: puntare su gusto e salute
Tutte le ricerche sottolineano come i temi salutistici siano importanti per i consumatori, anche se poi il maggiore consumo di zuccheri (soprattutto nel vino dealcolato) può allontanare le persone attente all'assunzione di calorie. Resta il fatto che sia la birra, ma ancora di più il vino, devono essere proposti come qualcosa di nuovo, non una semplice "brutta copia" del prodotto originale.
"Tramite il nostro Osservatorio di mercato, in collaborazione con TradeLab, abbiamo osservato un crescente interesse da parte dei consumatori italiani verso i vini con basso o zero contenuto alcolico", sottolinea Micaela Pallini. "Il 45% degli italiani, soprattutto i giovani, prevede che il fenomeno del low alcol influenzerà i consumi di bevande nei prossimi anni, in particolare il 33% degli italiani è interessato a consumare vini con basso o zero alcol, con un interesse più marcato tra i giovani".
L'interesse dei giovani verso le bevande a basso contenuto di alcol è sottolineato anche da AssoBirra. "Le birre low e no alcol sono apprezzate per il loro sapore piacevole e la leggerezza, con il 62% dei consumatori soddisfatto dell'offerta attualmente presente sul mercato. La Generazione Z e i Millennials, in particolare, mostrano un interesse crescente per queste bevande, riflettendo una tendenza verso uno stile di vita più sano e responsabile", sottolinea Bagnolini.
Le sfide verso vino e birra alcol free
Insomma, l'interesse dei consumatori verso le bevande dealcolate c'è e anche le etichette sul mercato iniziano ad offrire una certa varietà di scelta e una qualità soddisfacente. Non mancano però alcuni ostacoli che rischiano di rallentare il settore.
Il primo riguarda il costo. Le bevande dealcolate, dovendo subìre delle lavorazioni ulteriori rispetto alle bevande alcoliche normali, hanno un costo di produzione maggiore, che si ripercuote sullo scaffale. Devono dunque offrire "qualcosa in più" al consumatore e non essere percepite, come sottolineavamo prima, come un prodotto con qualcosa in meno.
C'è poi un tema ambientale. Una parte, anche consistente, della biomassa vegetale coltivata per produrre la birra e il vino si trasforma in alcol, che poi viene eliminato attraverso dei processi che a loro volta consumano energia. È quindi una produzione che dal punto di vista del bilancio ambientale non è molto sostenibile.
C'è poi un tema di conservazione. La birra, ma soprattutto il vino, sono prodotti che possono essere conservati sullo scaffale per lungo tempo, mentre le bevande dealcolate hanno una scadenza molto più breve e quindi una shelf life minore.
Infine la questione burocratica, visto che i produttori chiedono un cambio della normativa sia a livello di prodotto che di tassazione. "Occorre accelerare il processo di adeguamento normativo che il Ministero sta iniziando a mettere in atto", spiega Micaela Pallini di Federvini.
"Sarà fondamentale nel futuro un quadro normativo chiaro a protezione delle nostre denominazioni per evitare confusione con i consumatori. Assistiamo infatti a delle fughe in avanti di alcuni Stati come Francia e Germania che potrebbero creare confusione in futuro. Siamo fermamente convinti che se non siamo attori nella parte produttiva non saremo mai protagonisti convinti e consapevoli nella discussione delle regole".
E anche da AssoBirra arrivano richieste al Governo. "Chiediamo interventi specifici da parte delle istituzioni per facilitare l'innovazione e gli investimenti nel settore. Una delle richieste principali è la riduzione strutturale delle accise, che attualmente rappresentano un ostacolo significativo per la competitività delle birre italiane, sia sul mercato interno che internazionale. Inoltre, l'Associazione sottolinea la necessità di procedure più semplici per l'accesso ai fondi nazionali e comunitari, che potrebbero supportare ulteriormente la crescita e lo sviluppo sostenibile del settore".
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