Le popolazioni che vivono vicino a vulcani attivi conoscono da sempre le proprietà fertilizzanti delle ceneri laviche. Alcune delle terre più fertili del Pianeta, come quelle dell'Indonesia, del Giappone o del Messico, hanno proprio un'origine vulcanica. Nonostante queste conoscenze empiriche, in Europa l'uso di questa risorsa è poco conosciuta, se non nelle aree interessate direttamente dall'attività vulcanica, come la Sicilia.
Ma quali sono le potenzialità della cenere vulcanica come fertilizzante? Per capirlo abbiamo interpellato Mario Pagliaro, ricercatore dell'Istituto per lo Studio dei Materiali Nanostrutturati del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) di Palermo, che ha coordinato un meta studio sull'argomento pubblicato di recente su JSFA Reports.
"La cenere vulcanica è un potente fertilizzante inorganico che potrebbe trovare ampio uso in agricoltura, non tanto per il suo contenuto di macroelementi utili alle piante, quanto per la presenza di elementi rari che vanno a nutrire il microbioma del terreno, il quale produce enzimi catalitici che rendono biodisponibile per le piante lo stock di elementi nativi del suolo".
I batteri, grandi alleati dell'agricoltore
Per capire il ruolo che possono giocare le ceneri vulcaniche occorre fare un passo indietro. Due dei macroelementi di cui ogni pianta ha necessità, fosforo e potassio, si trovano in quantità non trascurabili nei suoli di molte aree coltivate, ma le piante spesso non sono in grado di assimilarli in quanto si trovano in una "forma" non biocompatibile. Questo costringe gli agricoltori a fornire nutrienti attraverso la concimazione.
Nel terreno tuttavia sono naturalmente presenti consorzi microbici che hanno il potenziale di trasformare gli elementi nutritivi immobilizzati nel suolo in forme biodisponibili per le piante. D'altronde, in natura sono i batteri a sopperire alla concimazione svolta dall'agricoltore e lo fanno attraverso la produzione degli enzimi, efficaci catalizzatori naturali.
"La funzione catalitica svolta dagli enzimi batterici consente la trasformazione di una sostanza in un'altra, senza che l'enzima si consumi", sottolinea Pagliaro. Un esempio di reazione catalitica tratto dalla vita quotidiana riguarda le marmitte delle automobili, le quali contengono due catalizzatori, il platino e il palladio, che trasformano gas tossici come il monossido di carbonio e l'ossido di azoto in gas innocui, come l'anidride carbonica, l'ossigeno e l'azoto.
In agricoltura un enzima che gioca a sfavore dell'agricoltore è l'ureasi, che catalizza l'idrolisi dell'urea in biossido di carbonio e ammoniaca. Quando infatti si utilizza l'urea in campo si sa che una parte del concime non verrà assorbito dalla pianta ma volatizzerà sotto forma di ammoniaca, proprio a causa del lavoro di questi enzimi di origine batterica.
Le ceneri vulcaniche a sostegno degli enzimi catalitici
"Ebbene, gli enzimi sono macromolecole che contengono metalli, come il manganese, il magnesio o il molibdeno, relativamente abbondanti nelle ceneri vulcaniche", sottolinea Pagliaro. "Applicando queste ceneri ai campi coltivati si nutrono i batteri che producono enzimi catalitici utili all'agricoltura in quanto rendono biodisponibili sostanze nutritive bloccate nel suolo o nell'aria, come ad esempio l'azoto".
In altre parole le ceneri vulcaniche, pur contenendo fosforo, potassio, calcio, ferro e altri elementi nutritivi importanti per le colture, non hanno come scopo quello di nutrire direttamente le piante, quanto di nutrire il microbioma (i batteri) del suolo che a loro volta rendono disponibili i nutrienti che già sono presenti nel terreno, ma in una forma non assimilabile dalle piante.
Questa nutrizione indiretta permette di utilizzare piccolissime quantità di ceneri ad ettaro. La bibliografia internazionale parla di dosi pari a 2,5-7,5 tonnellate ad ettaro, equivalenti a 250-750 grammi/m2.
Le ceneri vulcaniche, da scarto a risorsa
L'aspetto positivo è che la cenere vulcanica non ha un costo di produzione e rappresenta invece un problema per molti comuni che si trovano nelle aree dove sono presenti vulcani attivi.
"La Regione Sicilia ha stimato che il costo di liberare le strade e le piazze di 42 città dalla cenere espulsa dall'Etna nel marzo 2022 sia stato pari a 15 milioni di euro", racconta Mario Pagliaro. "Il fatto interessante è che tali ceneri, per legge, sono considerate dei rifiuti e quindi hanno anche dei costi di smaltimento, quando invece potrebbero essere commercializzate come concimi inorganici, come tra l'altro accade in diversi Stati".
Insomma, la cenere vulcanica potrebbe rappresentare un esempio di economia circolare in cui un rifiuto diventa una risorsa importante.
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Cenere vulcanica, composizione e proprietà
Studi condotti negli Stati Uniti, in Russia, Indonesia, Egitto e Giappone mostrano come l'impiego delle ceneri vulcaniche abbia un effetto positivo sulle colture, sia per gli effetti catalitici di cui abbiamo parlato, sia per i nutrienti che sono direttamente apportati. Se si guarda la tabella sottostante si vedono gli elementi presenti nelle ceneri del vulcano indonesiano Papandayan.
Tabella: Elementi presenti nelle ceneri del vulcano indonesiano Papandayan
(Fonte foto: JSFA Reports)
Il silicio è al primo posto, seguito da alluminio, potassio, sodio, ferro, fosforo, magnesio, calcio e titanio. Il silicio è un elemento importante per la crescita, in grado di rafforzare le piante sotto stress di tipo abiotico e biotico, ad esempio per quanto riguarda gli attacchi fungini. Il fosforo e il potassio sono due importanti macroelementi, come anche il ferro e il calcio, di cui le piante hanno un fabbisogno ridotto.
E gli aspetti negativi? "Non ce ne sono. A parte i problemi legati nell'immediato dell'eruzione dai lapilli e dalle ceneri che impermeabilizzano il terreno, le ceneri vulcaniche non contengono sostanze dannose per le piante. Al contrario, non solo tutte le aree coltivate intorno ai vulcani sono rigogliose, ma le colture danno prodotti agricoli di altissimo pregio. Nel 2021 l'eruzione del vulcano dell'isola di Las Palmas, nelle Canarie, ha ricoperto di cenere intere piantagioni di banano, senza che si siano registrati danni alla coltura o che elementi come il molibdeno poi eccedessero la soglia di rischio nei frutti".