Le sfide per i frutticoltori si moltiplicano ed è sempre più difficile riuscire ad arrivare alla raccolta con una buona percentuale di frutti di qualità sull'albero: inverni miti e gelate tardive, piogge concentrate e troppo intense, grandine, attacchi da insetti alieni, eventi atmosferici estremi sono tutte avversità che i frutticoltori conoscono bene e temono. Se nel 2006 la resa media, per quanto riguarda per esempio le ciliegie, in Emilia Romagna, si attestava sopra le 5 tonnellate ad ettaro, oggi non raggiunge le 5 tonnellate mentre la media nazionale non raggiunge le 4 tonnellate ad ettaro.

Sono alcuni dei dati resi noti all'ultima edizione di Macfrut, al convegno "Le nuove frontiere della frutticoltura protetta" cui hanno partecipato Stefano Lugli dell'Università di Modena e Reggio Emilia, Rino Ghelfi dell'Università di Bologna e Davide Neri dell'Università Politecnica delle Marche. Durante l'evento si sono analizzate le varie tipologie di reti e sono stati resi noti i risultati di un'analisi sulla sostenibilità economica dei vari sistemi di copertura.

Le tipologie di coperture in commercio sono di diverso tipo, potendo assolvere anche a più funzioni contemporaneamente: possono essere solo antipioggia e antigrandine o multifunzionali, appunto, quando prevengono anche gli attacchi di insetti, riducono il rischio di cracking, proteggono dal vento e dell'eccessiva insolazione. Esistono poi numerose forme di impianti, le due macro divisioni sono quelle fra le monofila e le monoblocco, ma poi ci sono impianti a capannina, particolarmente indicati quando la probabilità di grandine nella zona è alta, in piano, per le zone ventose perché limitano l'effetto vela, ad archetto.

La scelta del tipo di copertura poi influisce anche sul comportamento delle piante, ha detto Davide Neri durante il convegno. "Apposite reti fotoselettive, schermanti e riflettenti possono alterare in modo positivo lo spettro luminoso, l'ombreggiamento e il regime termico con un significativo impatto sulla fotosintesi e sul benessere delle piante in base al tipo di materiale (colore, tessitura) e d'istallazione".



Difficile e complessa quindi, visti anche gli importanti investimenti all'atto d'acquisto e sistemazione dell'impianto, di una copertura piuttosto che un'altra. Rino Ghelfi ha presentato i risultati di uno studio economico che può aiutare nelle valutazioni ma ogni frutticolture dovrà soppesare bene, prima di scegliere, tutte le variabili della sua particolare situazione aziendale.

Sono state esaminate 15 tipologie di coperture: antipioggia, antipioggia automatizzati, multitasking monoblocco, multitasking monofila e ogni tipo di rete comporta tempi diversi di manodopera. "Per analizzare la sostenibilità economica dei sistemi abbiamo fatto riferimento a un ceraseto tradizionale, nella zona di Modena, prendendo un impianto a palmetta con densità di seicento-settecento piante a ettaro, varietà Lapins. Abbiamo quindi ipotizzato 25 anni di durata di cui una ventina di anni in piena produzione", ha spiegato Rino Ghelfi, che poi ha aggiunto: "I sistemi finanziari si prestano bene a calcolare in maniera rigorosa una soglia di convenienza. Ci sono infatti dei livelli di prezzo e produzione al di sotto dei quali è o meno conveniente".
 
I costi a ettaro degli impianti analizzati, comprensivi solo di materiale e montaggio, sono molto ingenti: antipioggia tradizionali dai 66 agli 80mila euro; antipioggia automatizzati dagli 80 ai 93mila euro a ettaro; multitasking monoblocco fra gli 80 e i 90mila euro, se con sistemi di apertura e chiusura rapida si arriva poi a 114mila euro a ettaro, infine multitasking monofila fra i 75 e gli 83mila euro a ettaro.
I tempi di manodopera per la gestione annuali sono enormemente variabili, con un massimo che tocca le 97 ore a ettaro e un minimo di due ore a ettaro.
Importante anche la valutazione del ritorno dell'investimento, il momento cioè in cui l'impianto si è pienamente ripagato, che ovviamente varia al variare del prezzo al chilogrammo, più sarà alto il prezzo medio strappato al chilogrammo più il ritorno del capitale investito sarà veloce. Anche nella migliore delle ipotesi, però, con 3 euro al chilogrammo non si scende sotto il decennio.

difficile individuare una soluzione performante in termini di costi di produzione - ha concluso il professore - l'aspetto economico non deve guidare. Bisogna fare un impianto che segua le caratteristiche tecniche agronomiche del ceraseto, va fatto quello che è meglio da un punto di vista tecnico. I costi effettivi poi sono legati a situazioni aziendali, se c'è molta disponibilità di manodopera, posso optare per esempio su un impianto che mi richiede tempo per apertura e chiusura, dipende quindi molto dal tipo di impresa".