Se nel Dopoguerra la fauna selvatica ha avuto un brusco calo, negli ultimi anni è invece tornata a crescere. Basti pensare che i cinghiali hanno raggiunto due milioni di esemplari e i lupi le 600 unità. Animali che spesso si cibano delle colture o degli animali da allevamento. Alle specie autoctone, con cui gli agricoltori convivono dalla notte dei tempi, si sono aggiunte poi quelle aliene, arrivate in Italia da paesi lontani e che qui hanno trovato le condizioni ideali per insediarsi. La cimice asiatica è l'insetto che ha suscitato maggiore scalpore anche nell'opinione pubblica per la sua abitudine di rifugiarsi nelle case in autunno. Ma l'elenco è molto lungo.
Fauna selvatica, il boom che spaventa gli agricoltori
I cinghiali sono considerati il nemico numero uno da un gran numero di agricoltori. Sono infatti responsabili di danni diretti alle colture, di cui si cibano, ma sono anche la causa del protrarsi dell'epidemia di peste suina in Sardegna e non è frequente che entrino in città o che causino incidenti stradali.Secondo i dai della Cia-agricoltori italiani i cinghiali sono responsabili dell'80% dei danni all'agricoltura: si è passati da una popolazione di 50mila capi in Italia nel 1980, ai 900mila nel 2010 fino ad arrivare a quasi 2 milioni nel 2019. Per questo l'associazione ha presentato al Parlamento una proposta di modifica della legge 157/92 sulla protezione della fauna selvatica. Già, perché in molti casi il tema non è più proteggere specie sull'orlo dell'estinzione, ma controllare popolazioni sempre più numerose. Lo stesso vale anche per i cervi, che secondo Cia-agricoltori italiani sono passati da 70mila a 200mila dal 2010 ad oggi. Mentre i caprioli sono balzati da 465mila a 700mila nello stesso periodo. Ungulati che arrecano danni consistenti ai campi di erba medica, di grano e di orzo. Si cibano dei germogli e dei grappoli delle viti e scortecciano giovani piante, portandole alla morte.
C'è poi il lupo. Quasi scomparso dal territorio italiano, è sopravvissuto in alcune aree montane e ora si è moltiplicato ripopolando Alpi e Appennini e minacciando gli allevamenti. Secondo i dati forniti dalla Coldiretti negli anni Settanta in Italia sopravvivevano circa 200 individui, distribuiti in un areale discontinuo, mentre oggi sono circa 600. L'aumento è dovuto da un lato dal divieto di caccia, visto che è considerata una specie vulnerabile e ad alto rischio di estinzione. Ma anche dall'aumento degli ungulati, prede naturali, e dall'abbandono di ampie porzioni di territorio che si sono rimboschite, offrendo un nuovo habitat.
I danni apportati dai lupi sono limitati in termini assoluti, ma causano seri grattacapi alle singole aziende agricole che spesso hanno problemi a vedersi risarciti i danni dalle regioni, anche a causa della presenza nei boschi di cani inselvatichiti, le cui prede non sono contemplate nei risarcimenti. Inoltre sono gli allevatori che devono provvedere allo smaltimento delle carcasse degli animali uccisi, con un esborso non indifferente. Inoltre per prevenire gli attacchi gli allevatori sono costretti a riparare gli animali in ricoveri notturni anche durante le notti estive, ad installare recinzioni e sistemi di allerta.
La presenza del lupo in Italia nel 2015. Marrone = presenza permanente; giallo = presenza sporadica; verde = dati provenienti dai dati di distribuzione del 2012 e non aggiornati
(Fonte foto: Provincia autonoma di Trento)
I problemi arrivano però anche dal cielo. Storni e cornacchie sono diventati un piccolo grande grattacapo per gli agricoltori. Questi uccelli si cibano di frutta primaverile, come ciliegie, susine, albicocche, ma anche di colture estensive come il frumento o il girasole.
La Coldiretti Puglia segnala un danno agli oliveti provocato dagli storni fra il 30% e oltre il 60% nelle zone a ridosso del mare, Adriatico e Jonio, dove gli agricoltori non hanno strumenti per arginare la presenza eccessiva di questo uccello considerato specie protetta. Mentre i corvidi, come cornacchie, ghiandaie, gazze e corvi compiono incursioni nelle coltivazioni orticole. Ad Oristano gli agricoltori hanno lanciato l'allarme per gli attacchi su varie colture, come il melone.
Specie aliene, l'invasione silenziosa
Se gli animali selvatici sono una variabile contemplata, a preoccupare gli agricoltori sono soprattutto le Specie aliene invasive (Sai) che comprendono tutti quegli organismi (invertebrati, vertebrati, funghi e batteri) che sono giunti in Italia da ecosistemi estranei al nostro e che qui si sono insediati.Il fenomeno non è certo nuovo. La fillossera della vite è un insetto della famiglia dei Phylloxeridae che arrivò in Europa alla fine dell'Ottocento e spazzò via la viticoltura del vecchio continente, costringendo i viticoltori a utilizzare portinnesti di vite americana, resistenti all'insetto. Ma se guardiamo all'Irlanda la grande carestia del 1845-49, che uccise un milione di persone, fu causata dalla peronospora della patata, che distrusse a più riprese i raccolti locali.
In Italia sono presenti oltre 1.500 specie aliene (dati Daisie - Delivering alien invasive species in Europe). Non tutte si sono diffuse sul territorio e solo alcune causano danni all'agricoltura, ma è certo che il loro ritmo di arrivo è in crescita. Ogni anno vengono registrate circa otto nuove specie di insetti fitofagi, mentre nel Dopoguerra non si arrivava ad una all'anno. Il motivo? L'estrema facilità con cui merci e persone viaggiano intorno al globo. Anche se controlli rigorosi vengono effettuati alle frontiere e alle dogane, è quasi impossibile frenare l'arrivo di specie aliene. Un container di frutta dal Sud America o il bagaglio di un turista dalla Cina sono difficilmente bonificabili, come d'altronde le ruote di un aereo.
Senza risalire alla dorifora della patata o alla diabrotica del mais, introdotte nel Dopoguerra, ultimamente gli agricoltori hanno un nuovo grande nemico, la cimice asiatica (Halyomorpha halys). Un insetto estremamente mobile, prolifico e polifago, che sta causando seri danni alla frutticoltura e al vivaismo. Un insetto contro il quale, ad oggi, non esistono strategie efficaci di controllo. A questo si deve aggiungere la Popillia japonica, un coleottero che sta creando danni soprattutto alle colture di mais.
La lista di specie aliene è assai lunga e viene aggiornata dall'Eppo (European and mediterranean plant protection organization). Per fare qualche esempio abbiamo la Metcalfa pruinosa, un omottero che reca danni alle colture ed è invece apprezzato dagli apicoltori per la produzione di melata di cui si nutrono le api. Ci sono poi afidi, cocciniglie, coleotteri e lepidotteri.
Tra i coleotteri si può ad esempio citare il cerambicide delle drupacee (Aromia bungii) che colpisce il susino, l'albicocco, l'olivo, il noce ed altre piante ancora. Mentre il lepidottero Tuta absoluta crea enormi danni alle coltivazioni di pomodoro. Per completare il quadro tra i ditteri il più dannoso è la Drosophila suzukii, un moscerino che ha devastato le coltivazioni di ciliegie e piccoli frutti della penisola.
Ha invece provocato 1,2 miliardi di danni la Xylella fastidiosa, il microrganismo che ancora oggi sta devastando gli olivi in Puglia e che sembra inarrestabile. Secondo la Coldiretti questo batterio che porta al disseccamento delle piante ha colpito 8mila ettari e 770mila piante di ulivo.
Non solo insetti e microrganismi. Ad arrivare in Italia sono anche uccelli e mammiferi. In questo articolo abbiamo ad esempio raccontato della proliferazione nelle campagne della minilepre (Sylvilagus floridanus), un leproide originario del Nord America introdotto intenzionalmente per scopi venatori e che oggi è presente in gran numero nelle nostre campagne. Come anche la nutria, altro animale importato e allevato in Italia per la pelliccia che oggi invece devasta gli argini dei canali e le colture.
Dal cielo arrivano invece i pappagalli. Il parrocchetto monaco e quello dal collare sono ormai diffusi in gran parte delle città italiane (a Roma c'è una comunità di oltre 10mila esemplari) e mettono a segno scorribande in frutteti, campi coltivati ad orticole, girasoli e mandorleti. La Coldiretti Puglia parla di danni ingenti causati da questi uccelli che, liberati o fuggiti da voliere, hanno dimostrato una certa predilezione per le mandorle che aprono grazie ai poderosi becchi.