Il muro di Vladimir Putin non crolla e la Russia dice nuovamente no al rinnovo dell'accordo per l'export di grano dall'Ucraina attraverso il Mar Nero. Fallisce (per ora) la missione a Soci del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, fin dall'inizio dell'invasione russa dell'Ucraina l'unico interlocutore fra i Paesi Nato che ha portato a casa qualche risultato nel confronto con Putin.

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Non è escluso che nelle prossime settimane - secondo alcuni analisti a novembre - si riesca a sottoscrivere una nuova intesa sul corridoio del grano, entrata in vigore nel luglio del 2022 e rinnovata a più riprese fino allo scorso luglio, quando Mosca impose uno stop.

La motivazione di alcuni mesi fa è stata ripetuta recentemente da Putin, con un j'accuse già noto. Gli accordi sul grano? "I Paesi occidentali ci hanno costretto ad accettarli, imbrogliandoci sulla loro motivazione umanitaria" ha dichiarato da Soci lo zar Putin. "Ma saremo pronti a considerare la possibilità di riattivare l'accordo non appena si realizzeranno tutte le intese previste per l'abolizione delle restrizioni all'export della produzione agricola russa".

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Se almeno sulla carta non sono applicate restrizioni all'export agroalimentare russo, vi sarebbero alcuni ostacoli che rendono l'iter complesso, a partire dall'esclusione della Russia dai circuiti finanziari internazionali interbancari Swift, con ripercussioni sui pagamenti, sulle assicurazioni, ma anche in alcuni casi sui trasporti e la logistica.

 

Poi vi sarebbero anche altri punti contestati da Mosca, che chiede di consentire l'ingresso in Russia di macchinari agricoli e parti di ricambio; di scongelare le proprietà dei produttori russi di fertilizzanti in Europa; di ripristinare l'accesso ai porti e le assicurazioni marittime; di riparare la condotta che trasporta ammoniaca russa da Togliatti a Odessa.

 

Vladimir Putin contesta anche l'efficacia degli accordi sul grano, stipulati per evitare rischi di carestie e per destinare i cereali ai Paesi più esposti sul fronte dell'insicurezza alimentare. Finalità che secondo Putin non sarebbero state raggiunte, tanto che la Russia avrebbe spiegato che dell'export di cereali di un intero anno di accordo, del 70% dei volumi commercializzati avrebbero beneficiato Paesi ricchi, mentre solamente il 3% sarebbe stato destinato ai Paesi più poveri. Forse gli equilibri non sono del tutto esatti, ma Putin dovrebbe ricordare che quasi un quarto dell'export di cereali partiti dai porti dell'Ucraina sul Mar Nero è approdato dagli "amici senza limiti" della Cina. E pesano anche le accuse di Kiev, che più volte anche in passato ha denunciato l'appropriazione indebita di grano da parte dei russi, letteralmente rubato da terreni e magazzini ucraini.

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La Russia, irremovibile nel proposito di non firmare alcuna intesa, si è comunque offerta di esportare gratuitamente cereali a sei Paesi africani più poveri (Burkina Faso, Zimbabwe, Mali, Somalia, Repubblica Centrafricana ed Eritrea), nella misura (annunciata) di 25mila-50mila tonnellate per ciascun destinatario. E anche l'Egitto, uno dei principali importatori mondiali di grano, avrebbe sottoscritto contratti di acquisto con Mosca per circa 480mila tonnellate, a prezzo particolarmente agevolato, al di sotto delle quotazioni rilevate su alcune principali piazze di riferimento a livello mondiale.

 

Con il corridoio del grano del Mar Nero che resta sigillato e a rischio sicurezza, e con i porti dell'Ucraina bombardati dai russi, che puntano a colpire i magazzini di stoccaggio, si cercano percorsi alternativi per garantire l'approvvigionamento ai Paesi che necessitano di ritirare derrate di cereali.

Il mancato accordo rischia di innescare nuove speculazioni su prodotti agricoli essenziali, già esposti nei mesi scorsi a una forte volatilità di mercato. Tensioni che non sempre fanno bene alle filiere. Di certo, quasi mai ai Paesi più poveri e più fragili in tema di food security.