Può un tasting di vini diventare il momento nel quale si misura il risultato dell'applicazione alla vitivinicoltura delle più moderne tecnologie 4.0? La risposta giusta a questo interrogativo - solo apparentemente bislacco - è che il tasting misura sicuramente il risultato edonistico delle tecnologie, le quali riescono a dare al vitivinicoltore molto di più quanto a conoscenza specifica e memoria del proprio modo di condurre la vigna e la cantina, modus operandi che possono diventare più sostenibili sia in termini ambientali che economici e che possono, sia pure in prospettiva, sfidare un cambiamento climatico ormai giunto e che riserva continue sorprese.

 

Si è parlato di tutto questo ed anche altro il 20 giugno scorso a Napoli in occasione di "Vino 4.0: Tecnologia, Ricerca e Sostenibilità per il settore vitivinicolo" un'iniziativa dedicata all'innovazione nel settore vitivinicolo, alla ricerca di soluzioni tecnologiche all'avanguardia e all'importanza della sostenibilità nella produzione del vino sia dal punto di vista ambientale che dal punto di vista socio economico, tenutasi al SocietingLab dell'Università degli Studi Federico II di Napoli.

 

L'evento "Vino 4.0: Tecnologia, Ricerca e Sostenibilità per il settore vitivinicolo" rientra all'interno delle attività di alfabetizzazione digitale promosse dal progetto PIDMed, che prevede un protocollo d'intesa tra Unioncamere e Università Federico II di Napoli nell'ambito del Piano Nazionale Transizione 4.0.

 

L'evento, condotto da Rural Hack con PIDMed, ha avuto come filo conduttore la presentazione di due progetti di ricerca sul settore vitivinicolo, Grease e Vintes, entrambi finanziati dalla Misura 16.1 azione 2 del Programma di Sviluppo Rurale 2014-2022, un confronto tra esperienze diverse che ha avuto anche lo scopo di avviare un dialogo fra i due Gruppi Operativi che hanno portato avanti i progetti.

 

Ad accompagnarne l'illustrazione il professor Alex Giordano, anima di Rural Hack, la task force del SocietingLab, il laboratorio dedicato alla digital social innovation dell'Università degli Studi Federico II di Napoli dove Rural Hack si dedica all'agritech, lavorando per facilitare l'applicazione delle tecnologie 4.0 alle produzioni agricole di qualità caratteristiche del made in Italy.

 

Progetto Grease, per un Greco che ottimizzi l'uso dell'acqua

Il progetto Grease "Modelli sostenibili di coltivazione del vitigno Greco: efficienza d'uso delle risorse ed applicazione di indicatori della 'Footprint family'" ha al centro della sperimentazione l'Azienda vitivinicola irpina Feudi di San Gregorio.

 

L'obiettivo è quello di migliorare la qualità e la produttività della vigna in vista della produzione di un vino bianco importante, il Greco di Tufo Docg, le cui impronte caratteristiche sono i toni aromatici della frutta al naso e la freschezza e la sapidità al palato. I partner scientifici del progetto sono l'Università degli Studi Federico II di Napoli, l'Università della Campania Vanvitelli e il Cnr. Il miglioramento della produttività urge anche per scoraggiare l'abbandono della coltivazione da parte di piccoli imprenditori, che spesso coincide con la perdita di conoscenze sul territorio e sui metodi di coltivazione ad esso legato.

 

Lo studio della vite da vino e del suo sviluppo è stato condotto utilizzando una tecnica tipica delle scienze forestali: la valutazione dell'architettura idraulica delle piante con tecniche retrospettive di dendro anatomia e isotopi stabili per valutare la variazione d'efficienza d'uso delle risorse nelle piante nel corso del tempo.

 

Dalle viti, sottoposte a carotaggio, alla stregua di alberi di alto fusto, sono stati estratti cilindretti di legno di minimo spessore, ma che una volta studiati sono serviti a verificare la risposta delle piantealle avversità climatiche e non solo.

 

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Da sinistra: Alex Giordano conduce la presentazione di Grease, con Veronica De Micco (UniNa) e Arturo Erbaggio (consulente di Feudi di San Gregorio)

(Fonte: Mimmo Pelagalli - AgroNotizie®)

 

Del resto una valutazione si impone, anche perché un altro cambiamento si è verificato: l'appezzamento oggetto di studio è un impianto di uva Greco, riconvertito sette anni fa dal metodo di potatura tradizionale al metodo Simonit & Sirch. "Questo approccio - ha spiegato Veronica De Micco, docente di Botanica all'Università di Napoli - ha l'obiettivo di formulare un modello varietale per il Greco, con le piante nelle condizioni di equilibrio e avere produttività e qualità elevata nel tempo, anche tenendo presente la sfida climatica". In sintesi, gestire al meglio il vitigno Greco per la produzione del vino monovarietale Greco di Tufo Docg, in una prospettiva di crescente scarsità idrica e di possibile futura apertura del disciplinare all'utilizzo dell'irrigazione.

 

In tale contesto non poteva mancare uno studio sulla gestione del suolo. Tre le prove effettuate su terreni omogenei per acclività, velocità di corrivazione delle acque e tessitura: terreno nudo sottoposto a diserbo, prato spontaneo gestito, inerbimento polifita, selezionando semi di essenze del territorio tra leguminose, graminacee, brassicacee.

 

Il terreno è stato mappato mediante droni, l'apposizione dei sensori ha consentito di stabilire con esattezza il livello uniforme di tessitura e permeabilità del suolo. Il sito è monitorato attraverso una stazione meteo Davis e sei punti di misura del contenuto idrico del suolo a tre diverse profondità.

 

Il tasting sui tre Greco

E sulla base di queste tre differenti lavorazioni del terreno, sono state effettuate tre rispettive microvinificazioni, poi sottoposte a tasting proprio nella serata del 20 giugno scorso, con il consulente esterno enologo di Feudi di San Gregorio Arturo Erbaggio e condotto dal presidente di Ais Campania, Tommaso Luongo.

 

Si è così potuto apprezzare un Greco che nella lavorazione del terreno a nudo presentava un intenso profumo di frutta matura con sfumature di frutti tropicali ed una generosa freschezza al palato, accompagnata da una giusta sapidità.

 

Nella lavorazione a prato gestito da seme originario dei luoghi, il Greco si è presentato all'olfatto con sentori di frutta matura molto sfumati e poco definiti, ma con una prevalenza della componente minerale. Al palato il Greco in questo caso restituisce una minore freschezza e una maggiore sapidità.

 

L'inerbimento controllato del terreno mediante semina di essenze del territorio selezionate configura invece un vino con note profumate di media intensità e si apprezza per un maggiore equilibrio. Perde però personalità al palato, per una freschezza meno viva.

 

Progetto Vintes, il profumo varia sulla mappa di vigoria

Il progetto Vintes vede la partecipazione di tre imprese vitivinicole: la Il Poggio della famiglia Fusco, la Pulcino Domenico, che vinifica sotto il marchio Torre dei Chiusi e la Cantina Morrone, tutte impegnate in un'area di pregio del Sannio; tra Torrecuso e Guardia Sanframondi. Sono aziende con meno di 20 ettari di superficie vitata e il tema è quello del costo di acquisizione delle tecnologie 4.0: sia in termini economici e che di competenze necessarie per poterle gestire.

 

Pertanto l'obiettivo primario del progetto è stato soprattutto quello di creare un modello di gestione delle tecnologie 4.0 applicate alla viticoltura che abbia il pregio di essere trasferibile alle piccole e medie imprese. Soggetto capofila del progetto è AgroDigit, il Crea ha avuto un ruolo nella consulenza della gestione dei vigneti, mentre Università del Sannio si è occupata della qualità dei vini e la Cia di Benevento si sta dedicando della divulgazione dei risultati.

 

Gli obiettivi di campo da raggiungere sono quelli della maggiore sostenibilità dei vigneti uniti ad una qualità ottimale dei vini, mediante la realizzazione di mappe di vigoria, per abbattere l'utilizzo di fitofarmaci, in special modo i fungicidi.

 

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Da sinistra: Alex Giordano conduce la presentazione di Vintes con Paolo Storchi (Crea) e Valentino Salvatore (AgroDigit)

(Fonte: Mimmo Pelagalli - AgroNotizie®)

 

Valentino Salvatore di AgroDigit ha spiegato "Ovviamente si è puntato anche a migliorare la qualità dei vini ottenuti, proprio utilizzando le mappe di vigoria". Paolo Storchi, ricercatore al Centro di Ricerche in Viticoltura del Crea, ha sottolineato l'esigenza territoriale di operare un trasferimento tecnologico verso le Pmi del Sannio, dove ad una elevata presenza di ampie aree vitate si contrappone una forte frammentazione della maglia aziendale.

 

Il progetto ha prodotto una carta della qualità dei suoli con definizione a 100 metri e funzionale agli obiettivi: riduzione del 50% dei trattamenti e l'utilizzo del 35% in meno dei principi attivi inizialmente adoperati. "Obiettivi già raggiunti - ha assicurato Paolo Storchi - mentre il processo di divulgazione e disseminazione delle informazioni riguardanti il progetto è già in atto".

 

Il tasting su Falanghina e Aglianico

La degustazione dei vini sperimentali realizzati in microvinificazione del progetto Vintes - condotta dal presidente di Ais Campania, Tommaso Luongo coadiuvato da Valentino Salvatore di AgroDigit - ha avuto come punto di riferimento due diverse collocazioni sulle mappe di vigoria per uno stesso vino monovitigno ottenuto da Falanghina beneventana condotta in biologico su un terreno di circa 2000 metri quadri a Guardia Sanframondi, inoltre è stato apprezzato un Aglianico del Taburno Docg da vigne allevate in Torrecuso.

 

Il bianco da Falanghina Beneventana proveniente da una vite a bassa vigoria della parete vegetale ha presentato al naso un profilo aromatico delicato, ma una maggiore espressione di note aromatiche diverse mentre al palato ha consegnato l'acidità che di solito contraddistingue questo monovarietale.

 

Il bianco da Falanghina Beneventana proveniente da una vite ad alta vigoria della parete vegetale, per di più consegnata su un terreno più aperto e dove è presente una vena calcarea, ha presentato al naso una maggior forza nel profumo di fruttato, conferendo al palato un'acidità di minore spessore, qualità che hanno conferito al vino un maggiore equilibrio.

 

L'Aglianico del Taburno Docg - vendemmia 2019 - provenienza delle uve Torrecuso, vigneto allevato a Guyot, vino ottenuto da uve ben mature, colore tra rubino pieno e granato, ha presentato un profumo di frutta scura, con sentori speziati di chiodi di garofano e pepe; giustamente tannico al palato, anche se limato da un passaggio in botte di legno, non ha lasciato sensazioni di vaniglia.

 

A testimonianza del fatto, anche in questo caso, che un buon controllo delle fitopatie e della vigoria della pianta può consentire la realizzazione di un prodotto ottimale, a ridotto impatto ambientale ed a sobrio impatto del lavoro di cantina.

 

Guarda il video dell'incontro

 

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